Il giovane Nietzsche
Nietzsche nasce a Röcken, villaggio della Sassonia prussiana, il 15 ottobre del 1844. Il padre, Karl Ludwig, pastore protestante, e la madre Franziska Oehler abitano con i figli Friedrich, Elisabeth e il piccolo Joseph. Nel nel 1849, una malattia diagnosticata come “rammollimento cerebrale” non conduce Karl Ludwig alla morte. Dopo la traumatica perdita, Franziska e i figli si trasferiscono a Naumburg, dove Nietzsche trascorre parte dell’infanzia.
Nell’ottobre del 1858 Nietzsche ottiene un posto gratuito nella rigorosa scuola di Pforta dove sono coltivati in particolare gli studi di latino e greco che lo avviano al mestiere di filologo. Matura sempre di più la ribellione radicale alle tradizioni familiari, alla severa e ristretta fede luterana ereditata da generazioni di pastori. Nei primi saggi filosofici dell’aprile 1862 (Fato e storia e Libertà della volontà e fato), si avverte la crisi della fede tradizionale cristiana – considerata una scelta di debolezza.
Congedatosi da Pforta dal 1864 Nietzsche frequenta l’università di Bonn. Dapprima iscritto a teologia, per compiacere la madre, si dedica poi agli studi filologici. Nietzsche si occupa dell’aspetto filologico della critica dei Vangeli, legge La vita di Gesù di David Strauss. Mette definitivamente in crisi i fondamentali della fede dogmatica.
Dall’ottobre 1865 Nietzsche si trasferisce all’università di Lipsia. Si apre il periodo in cui esercita in modo sempre più sicuro il mestiere di filologo. I suoi appunti mostrano come per lui la filologia sia una via privilegiata verso la filosofia. I suoi lavori sulle fonti di Diogene Laerzio stanno alla base di scritti come la Filosofia nell’epoca tragica dei greci.
Il rapporto con Schopenhauer
La pratica filologica si accompagna in questi anni alla profonda ammirazione per la filosofia di Schopenhauer. Nietzsche considera Schopenhauer il “filosofo più vero”, capace di “uno stile”, espressione “di una Germania rigenerata” e nemico della filosofia universitaria, il cui pensiero permette una considerazione estetica dell’antichità, patrimonio di pochi, contro un approccio meramente storico, proprio dei “dotti”. Ciò riflette il duro giudizio di Nietzsche sugli studi filologici della sua epoca, sulla loro confusione metodica, sulla loro angustia e incapacità di cogliere lo spirito dell’antichità. La validità dei lavori filologici di Nietzsche induce il filologo Friedrich Ritschl a procurargli una cattedra all’università di Basilea dove tiene la prolusione su Omero e la filologia classica, proponendo una nuova pratica della filologia fondata sulla filosofia schopenhaueriana.
Dalla metafisica dell’arte al distacco da Wagner
Apollineo e dionisiaco
All’origine di questa contraddizione troviamo, secondo Nietzsche, l’opposizione di due elementi all’interno della natura. Si tratta dell’elemento dionisiaco e quello apollineo. Apollo divinizza il principio di individuazione, della forma, della bella apparenza. Incarna un principio di armonia e di equilibrio, che si ritrova soprattutto nell’architettura e nella scultura greca. Il dio è una sorta di “sogno”, che libera dalla sofferenza. Dioniso è invece l’espressione immediata della forza primitiva che abbatte l’individuo e lo riassorbe nell’unità originaria. Egli riproduce continuamente la contraddizione come dolore dell’individuazione. La risolve tuttavia in un piacere superiore in quanto l’individuo stesso partecipa della sovrabbondanza dell’uno originario. Sua espressione tipica, nella grecità, sono i culti orfici e orgiastici.
Tutta la cultura apollinea si presenta come una maschera per sopportare la tragicità dell’esistenza. Le due dimensioni si richiamano l’una all’altra, perché proprio la paura degli aspetti più orribili dell’esistenza è la fonte dell’illusione apollinea. Il puro “dionisiaco” è invece barbarie distruttiva o pura letargia.
Necessità dell’arte
Questa struttura metafisica di fondo rende necessaria l’arte. E’ intesa come prodotto culturale che fonde in sé apollineo e dionisiaco. Prodotto che serve non solo all’individuo ma alla stessa natura. L’eterno soggetto creatore trova nell’arte la sua consolazione e la sua necessità. Il genio dell’artista dal canto suo lavora per la natura. La creazione artistica nasce infatti dall‘inconscia identità con l’uno originario. L’accettazione di meccanismi di illusione è finalizzata alla costruzione di una civiltà superiore. La volontà si esprime direttamente nell’istinto, considerato da Nietzsche un’illusione che perpetua la volontà di vivere, un inganno da parte del “genio della specie” a spese dell’individuo.
Il nichilismo
Il termine nichilismo (dal latino nihil, “niente”) compare per la prima volta tra Settecento e Ottocento, per affermarsi poi come problema centrale nel dibattito filosofico del Novecento grazie a Nietzsche. Il filosofo tedesco scrive: “Che cosa significa nichilismo? Significa che i valori supremi si svalutano. Manca lo scopo. Manca la risposta al: perché?”
Il nichilismo è la condizione dell’umanità , che si muove in una generale mancanza di senso dell’esistenza. La sua prima forma, giudicata da Nietzsche “imperfetta”, è quella del nichilismo psicologico. Questo subentra quando le categorie di “fine”, “unità” e “verità” con le quali ogni individuo fonda la propria esistenza vengono viste per quello che sono: autoillusioni. Questa forma di nichilismo è imperfetta perché non pone l’individuo di fronte assoluto nulla, ma sostituisce i vecchi valori con dei nuovi. La psicologica mentre declassa la religione a superstizione, gli riconosce comunque il valore di rispondere all’antico bisogno di credere.
E’ il nichilismo della ragione che contrappone alle verità di fede la spiegazione causale e meccanicistica della realtà. Ma si tratta solo di un momento di passaggio che conduce all’affermazione di quello che Nietzsche definisce “nichilismo completo”. Quest’ultimo conosce due momenti: il nichilismo passivo, che si limita a nutrirsi dello spettacolo del nulla e a idealizzarlo, e il nichilismo attivo o “estremo”. Quest’ultimo esplica tutta la sua potenza deliberatamente distruttiva per la quale tutti i valori tradizionali scompaiono.
E’ dal nulla assoluto che sorge per Nietzsche l’assoluta volontà 0 volontà di potenza, la quale conduce sino in fondo il nichilismo. Esso prende dunque la forma dell’eterno ritorno.
Tramonta il mito della rinascita dell’antichità
La considerazione su Wagner, del 1876, mette radicalmente in crisi la metafisica dell’arte e rappresenta un definitivo congedo dalle illusioni giovanili e dal mito del “genio”. Ora Nietzsche riflette in modo nuovo sul ruolo del filologo fino a prendere congedo dal mito di una “rinascita” dell’antichità. “Dalla civiltà antica noi siamo separati per sempre, in quanto le sue fondamenta sono per noi diventate completamente fradicie”. Il mito, il pensiero “impuro”, la religione e anche l’arte, che sostituisce la religione – in quanto “narcotici” e “medicine inferiori” – non possono essere i fondamenti della nuova civiltà.
Per questo compito, ai tradizionali educatori della gioventù tedesca, Nietzsche ritiene si debbano sostituire “il medico, il naturalista, l’economista”. La parola “rinascita” con i suoi vari sinonimi, sparisce dal vocabolario concettuale di Nietzsche. Liberatosi dalle pastoie wagneriane e schopenhaueriane, Nietzsche vedrà nei francesi del XVII secolo gli eredi più genuini della grecità. Vedrà un importante anello nella “grande catena del Rinascimento”. Il greco, come l’“uomo del Rinascimento”, resta la cifra ideale di un’umanità più chiara e affermatrice, di un’anima più vasta.
La filosofia dello spirito libero
Nel 1878 Nietzsche pubblica Umano, troppo umano, che rappresenta l’evento decisivo della “grande separazione” da tutto ciò che era stato venerato in precedenza. E’ come sempre succede in questi casi anche l’inizio della sperimentazione. Umano, troppo umano è caratterizzato dal gelo e dal disincanto della terapia anti romantica. Nietzsche ritiene ora necessaria la “filosofia storica” (non separabile dalle scienze naturali) e con essa la “virtù della modestia”. Non vi sono realtà eterne né verità assolute, tutto è in divenire. La storia è necessaria anche contro la falsa immediatezza dell’introspezione per ricostruire la complessità dell’io. “Giacché il passato continua a scorrere in noi in cento onde”. Da malattia che era nel suo pensiero precedente, la storia, riportando alla genesi e al percorso, illumina insomma la complessità che sta dietro la menzogna della metafisica. La Storia va contro l’opinione di “un’origine miracolosa” per le cose stimate superiori.
Umano troppo umano
In Umano, troppo umano si apre una dialettica tra lo “spirito libero” e il progresso della totalità. Il “progredire intellettuale” di una comunità è legato non alla forza e all’energia di un “eroe” che ne confermi o potenzi i valori, ma agli “individui più liberi, molto più insicuri e moralmente più deboli”. I malati, le “nature degeneranti” che “ammolliscono l’elemento stabile di una comunità” e attraverso le ferite inoculano qualcosa di nuovo. Il malato, rispetto a una società “sana” – cioè certa di se stessa e dei suoi valori – rappresenta la possibilità del movimento. La comunità forte è quella tollerante, che non esclude e che riesce a sopportare questa inoculazione senza dissolversi.
Per Nietzsche il carattere demistificante della scienza e della storia, è, in questo periodo, in primo piano. Si tratta di imparare a fare a meno dei dogmi idea-li, delle religioni che hanno bloccato e impedito lo sviluppo sociale e umano sulla base di menzogne antivitali. Di questo deve essere capace lo spirito libero al quale Nietzsche si rivolge, e che potrà così liberarsi dai pregiudizi e dalle ristrettezze della sua stirpe, della sua nazione, del suo Stato.
Zarathustra maestro dell’eterno ritorno
Nell’estate del 1881, Nietzsche presenta come rivelazione improvvisa il pensiero dell’eterno ritorno. Secondo Nietzsche, se il mondo è composto da un numero finito di elementi o centri di forza, deve in un tempo infinito ripetere le medesime combinazioni per un numero infinito di volte. Ogni cosa che succede succedere infinite volte, sempre la stessa. In tal modo è possibile affermare l’eternizzazione e la pienezza dell’attimo.
Nietzsche associa all’eterno ritorno una nuova forma di comunicazione e un nuovo scritto: Così parlò Zarathustra. Un libro per tutti e per nessuno (1883-1885). L’eterno ritorno, secondo Nietzsche, è la più scientifica delle ipotesi. Per modificare tuttavia la vita degli uomini è necessario che essa sia incorporata. Intere generazioni debbono lavorare a essa e divenire fertili per essa – affinché diventi un grande albero che proietti la sua ombra su tutta l’umanità avvenire. Lo Zarathustra vuole trovare nuovi interlocutori superando il linguaggio tecnico della filosofia e portando alle estreme conseguenze il linguaggio simbolico. Lo fa mediante una serie di discorsi del profeta e saggio iranico, Zarathustra appunto: il fondatore dello zoroastrismo che impersona in realtà lo stesso Nietzsche.
Dio è morto
Nell’opera, la parodia giullaresca dei valori cristiani si accompagna alla proposta di un nuovo ascetismo visto come uno strumento necessario di potenziamento e arricchimento. Mediante esso è possibile affrancarsi dai valori e dalle verità tradizionali, che possono soddisfare solo l’“ultimo uomo”. L’ultimo uomo resta ancorato al mero benessere materiale. A lui si contrappone l’“uomo superiore”, che al contrario, dopo la morte di tutti gli dèi, dopo il crollo della morale tradizionale, è in grado di rinunciare a quei valori.
Dio è morto!, dunque, ma l’“ombra di Dio” permane anche dopo la sua morte e costituisce il pericolo più insidioso per l’uomo superiore. A lui Zarathustra rivolge il suo messaggio. Deve tenersi lontano dalla piazza del mercato, istrionismo dei gesti, mentre la sincerità verso se stesso e la propria sofferenza deve diventare sofferenza per l’uomo, fino a desiderarne la fine. L’educazione dell’uomo superiore ad assimilare il pensiero dell’eterno ritorno senza andare in rovina comporta la sua profonda e radicale trasformazione nella direzione del “superuomo”.
La gaia scienza
L’anno successivo Nietzsche pubblica La gaia scienza. È un’opera per aforismi, composta di quattro libri (un quinto viene aggiunto da Nietzsche nella seconda edizione, del 1887), ed è aperta e chiusa da due cicli di poesie. Questa commistione della forma per aforismi, caratteristica del Nietzsche di questi anni, con la poesia non è casuale. Scopo dell’opera è infatti anche quello di rimediare alla frattura tra arte e scienza che contraddistingue il pensiero di Nietzsche. Ciò a cui il filosofo aspira con questo scritto è l’affermazione di una scienza, la “gaia scienza” appunto, che non sia, il risultato della condanna dell’arte, ma piuttosto una sintesi tra arte e scienza. Una scienza, non più asettica e neutra, ma che racchiuda in sé “il riso e la saggezza”, che non sia “né imbronciata né impettita”, e che sappia guardare al futuro dell’uomo dopo la morte della morale, della metafisica, della religione.
Il contesto de La gaia scienza è ancora quello della critica alla cultura del suo tempo. Nietzsche è radicale nell’interpretare i concetti di fondo della tradizione filosofica come travestimenti inconsapevoli di semplici bisogni fisiologici, che si sono “avvolti nel manto dell’oggettivo, dell’ideale, dello spirituale puro”. La filosofia passata deriva da un “fraintendimento del corpo”. La conoscenza, così come l’azione morale, è il risultato di un rapporto tra impulsi, tra istinti. La conoscenza non è mai disinteressata.
L’eterno ritorno
Da questa concezione della conoscenza discende in particolare il ridimensionamento del concetto di coscienza e quello di verità. Il primo è stata sopravvalutata nella storia della filosofia – afferma Nietzsche – “la maggior parte del nostro produrre spirituale si svolge senza che ne siamo coscienti”. La verità, di conseguenza, si trova fortemente minacciata dalla presenza nel conoscere di questo elemento inconscio. Non esiste una verità univoca, data, che il filosofo possa trovare. La verità è invece il risultato, sempre fluttuante, del gioco di forze tra i diversi impulsi dell’individuo.
Il risultato è che l’uomo si trova solo, senza certezze, per nulla rassicurato da quel concetto dell’eterno ritorno con cui si conclude La gaia scienza. Ciò che è stato, con tutti gli errori e le sofferenze conseguenti, è destinato a ripetersi in eterno, vanificando la stessa gioia che la scienza ci potrebbe procurare.
Il peso più grande, celebre aforisma
Che accadrebbe se, un giorno o una notte, un demone strisciasse furtivo nella più solitaria delle tue solitudini e ti dicesse: ‘Questa vita, come tu ora la vivi e l’hai vissuta, dovrai viverla ancora una volta e ancora innumerevoli volte, e non ci sarà in essa mai niente di nuovo, ma ogni dolore e ogni piacere e ogni pensiero e sospiro, e ogni indicibilmente piccola e grande cosa della tua vita dovrà fare ritorno a te, e tutte nella stessa sequenza e successione – e così pure questo ragno e questo lume di luna tra i rami e così pure questo attimo e io stesso. L’eterna clessidra dell’esistenza viene sempre di nuovo capovolta e tu con essa, granello della polvere!’ Non ti rovesceresti a terra, digrignando i denti e maledicendo il demone che così ha parlato?”.
Basterebbe aver vissuto, infatti, un “attimo immenso” perché il peso dell’eterno ritorno risulti alleviato, sopportabile.
Volontà di potenza e dionisiaco
Nietzsche approda negli anni Ottanta a una considerazione dinamica del reale che rappresenta la base per una critica distruttiva di ogni residuo dogmatico-metafisico. Individua centri di forza in perpetuo movimento che pongono in crisi anche ogni concezione dualistica di stampo platonico della realtà. Poiché l’essenza di ogni forza sta nel suo manifestarsi, al di là della forza non esiste una sostanza che ne sia sede: “tutto è forza”. Nell’essere organico, tuttavia, la relazione con le forze passa necessariamente attraverso la mediazione del corpo.
A partire dall’epoca di Zarathustra Nietzsche ricorre all’espressione “volontà di potenza” per designare un’interpretazione alternativa della realtà capace di creare nuovi valori. Coerente col pensiero dell’eterno ritorno. La “volontà di potenza” è quell’impulso che spinge a superare la prospettiva ristretta dell’ego, per raggiungere l’ampiezza della prospettiva, la capacità di vedere con più occhi. Il momento primario della potenza è l’esercizio del dominio su un caos da plasmare, una forma da dare attraverso gerarchizzazioni e funzionalizzazioni. Nei gradi più alti, consiste in un allontanamento dalla prospettiva ristretta e violenta del singolo centro di forza. Nella storia può avvenire la realizzazione casuale di individui capaci di impersonare la volontà di potenza e di arrivare alla “giustizia”. Tra i modelli più vicini che Nietzsche propone vi è quello di Goethe, “l’uomo più vasto possibile ma non perciò caotico”.
Il superuomo
Il superuomo è colui che supera la parzialità di ogni prospettiva vitale, non negandola ma incorporandola in una forma piena. E’ colui che ha la forza di assimilare se stesso a tutta la realtà, e tutta la realtà a se stesso, attraverso l’affermazione del ciclo eterno. In lui agisce l’amor fati (letteralmente l’“amore del destino”), l’espressione più alta e più ricca della volontà di potenza (“devi divenire quello che sei”), che gli permette di raggiungere una nuova libertà. “Un tale spirito divenuto libero sta al centro del tutto con un fatalismo gioioso e fiducioso, nella fede che soltanto sia biasimevole quel che se ne sta separato, che ogni cosa si redima e si affermi nel tutto – egli non nega più. Ma una fede siffatta è la più alta di tutte le fedi possibili: l’ho battezzata col nome di Dioniso”.
Il “metafisica” di Nietzsche
Se l’opera intitolata Volontà di potenza non fu mai scritta da Nietzsche, il concetto di “volontà di potenza” costituisce il centro del suo pensiero, seguendo un filo conduttore che risale sino agli studi filologici giovanili. Il mondo come tale è apparenza, noi conosciamo solo dei fenomeni, non delle cose in sé. Ma che cos’è l’essenza di cui tutto il resto è apparenza?
L’essenza è forza, è fatta di monadi, di particelle cariche di energia. Questi punti di forza si articolano su scale differenti. Gli atomi nella fisica, le molecole nella chimica, le cellule nella biologia. Ognuna di queste monadi è carica di energia. Il livello inferiore opera costantemente su quello superiore, dando all’insieme dell’universo l’immagine di una lotta volta alla sopraffazione in cui l’unico dato evidente è il desiderio della potenza di affermarsi. Nietzsche rilegge alla luce della volontà di potenza anche l’evoluzionismo di Darwin, considerato come un pensatore troppo ottimistico e finalistico.
La lotta tra le potenze nel mondo non ha per fine l’affermazione del più adatto ma, proprio al contrario, è fine a se stessa. La potenza non vuole prevalere, vuole semplicemente affermarsi, anche al costo di una distruzione totale. Al classico esempio per cui la morte dell’individuo è funzionale alla sopravvivenza della specie, Nietzsche oppone il modello degli organismi unicellulari. Questi di fatto si autodistruggono quando si dividono in due per creare due nuovi organismi. In questo atto suicida avrebbe luogo la vera manifestazione della potenza, che vuole se stessa anche al di là delle intenzioni del suo portatore.
Se hai dubbi o necessiti di chiarimenti, puoi commentare l’articolo, sarò lieto di risponderti! Non dimenticare che puoi sempre avviare una discussione su Forum plus+
Lascia un commento