Si può passare una vita intera in cerca del fiore perfetto, sai perché? Perché tutti i fiori sono perfetti.
E’ stato quando la slavina dentro me ha ceduto, sopraffatto dall’angoscia, che ho compreso. Sostare nel buio nero dell’anima, nero come nera era la notte senza fine, mi ha fatto vedere per la prima volta.
La sapienza dell’anima
è la sua insipienza. Se “sapere è potere” come disse Bacone il “so di non sapere” è un “so di non potere”. Questo solo ho appreso, che le cose che non posso controllare sono molte più di quelle realmente sotto la mia volontà. Questo ho compreso fino infondo, dopo tanto vagare alla ricerca della verità. La realtà è ciò che si impone oltre la mia volontà. È mentre guardavo esterrefatto il mondo fuori, rispetto al quale mi sentivo impotente e incompreso, è mentre provano a dar voce con le parole alla mia volontà, che si ritraeva sempre più nel fondo del mio tormento, arresa e ad un tempo invincibile, la mia anima.
Quando tutto cede resta l’essenziale,
non l’immagine di te costruita, non la persona. Di fronte al terrore senza nome riemerge potente il soffio quieto della vita, la maestà imponente della sera, lo spazio infinito dell’universale che è dentro te e che può tutto in quanto ha sconfitto il mondo. Questo andavo cercando ed era dentro me, che aspettava solo di essere trovato.
Reale è ciò che obietta la mia volontà. La realtà esiste perché non tutto ciò che voglio si può realizzare, che se non vi fosse spazio tra il mio volere e le cose fuori, io sarei ogni realtà. Io sarei completamente pazzo, non sapendo distinguere una mia fantasia dalla realtà.
Cosa dovrei mai concludere?
Che io sono la mia angoscia? Forse meglio che è la mia angoscia a rendermi vivo. Non la felicità, ma la sofferenza è ciò che mi differenzia dalla realtà, che pone un confine tra me e il mondo, permettendomi di esistere.
D’improvviso mi appare la verità. Come un lampo, una luce abbaiante e tuttavia paga di sé.
Le cose che non posso sono quelle che determinano la mia libertà. Libertà da ogni colpa, o forse meglio dalla colpa originaria di essere venuto al mondo.
“Non dipende da me”
per me vuol dire soltanto che non è stata colpa mia, che non potevo e posso tutt’ora farci nulla. Le cose accadute sono le uniche che potevano accadere, le cose che ho fatto le uniche che potevo fare. Il mio senso di colpa era l’ombra gettata dalla mia vanità, rinunciare a quella vanità mi ha reso libero, restituendomi al mondo.
Restringersi sino a diventare un granellino di polvere in un insignificante deserto, non è rassegnazione, ma consapevolezza nuova. Sentirsi parte di un tutto più grande non è confortante all’inizio. Ci si sente dispersi, smarriti nell’assenza del proprio riferimento. Tutta via non è del male l’ultima parola. Quando tutto finalmente tace è possibile ascoltare in quei “sovraumani silenzi e profondissima quiete, over per poco il cuor non si spaura”.
INFINITO
Sempre caro mi fu quest’ermo colle,
e questa siepe, che da tanta parte
dell’ultimo orizzonte il guardo esclude.
Ma sedendo e mirando, interminati
spazi di là da quella, e sovrumani
silenzi, e profondissima quïete
io nel pensier mi fingo, ove per poco
il cor non si spaura. E come il vento
odo stormir tra queste piante, io quello
infinito silenzio a questa voce
vo comparando: e mi sovvien l’eterno,
e le morte stagioni, e la presente
e viva, e il suon di lei. Così tra questa
immensità s’annega il pensier mio:
e il naufragar m’è dolce in questo mare.
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