Per fare una pane di segale ci vuole una pasta madre di segale. Questa affermazione l’avrete senz’altro sentita in altri luoghi se siete qui e mi avete trovato nelle vostre ricerche. Ma perché? In questo articolo cercherò di fare chiarezza su alcuni principi di base della panificazione con pasta madre. Principi spesso presi sotto banco dalla panificazione domestica sopratutto italiana, abituata com’è a panificare con il frumento.
Esiste già nel blog un articolo su come avviare da zero una pasta madre di segale qui e un video tutorial su come avviare una pasta madre da zero in 5 giorni qui.
Cos’è una pasta madre di segale?
Partirei innanzitutto con il dire che il secondo nome di pasta madre è “pasta acida”. Questa può sembrare una banalità, ma non lo è affatto se ragioniamo bene sul perché è necessario panificare con una pasta madre di segale per fare un pane di segale.
Se ci limitassimo ad unire acqua e farina, noi non otterremmo un pane, ma un composto più o meno denso, che una volta in forno non aumenterebbe di volume. Ciò che permette l’espansione dell’impasto modificandone ad un tempo il sapore sono i lieviti. I lieviti fermentando producono la maggior parte dei composti volatili che poi si andranno ad accumulare nell’impasto sotto forma di bolle, perché trattenute dalla maglia glutinica (se c’è).
L’impasto per poter diventare un “pane” ha quindi bisogno di lieviti. Fuori da questa premessa non è possibile alcuna discussione. Che sia lieviti “catturati” dalla farina attraverso processi di fermentazione spontanee, o siano inoculi di ceppi noti, quindi il famoso Saccharomyces cerevisiae l’impasto aumenta di volume grazia alla loro fermentazione.
Perché una pasta madre di segale?
Partendo dalla sola farina di frumento infatti possiamo tranquillamente panificare con il solo lievito di birra. Grazie ai suoi composti aromatici la sua fermentazione modificherà oltre alla struttura dell’impasto prima e della mollica dopo, anche il sapore. Tuttavia man mano che inseriamo segale l’impasto sarà sempre più difficile da lavorare. Oltre il 20%, 30% per alcune tipologie di farina, non ci è più possibile utilizzare il solo lievito di birra. L’impasto infatti diventerebbe troppo colloso, ove non liquescente e impossibile da accordare. Superato il 50% di farina di segale invece ci ritroveremmo a fine cottura un pane umido, e una mollica collosa, oltre che un sapore orrendo.
Cosa manca dunque al pane di segale che il solo lievito di birra non gli da? Ricordiamoci del secondo nome di pasta madre e avremo trovato la risposta.
La pasta madre è un complesso di microorganismi fermentati di cui alcuni producono essenzialmente gas volatili (CO2, Etanolo) altri acidi organici (principalmente lattico e acetico). Stiamo parlando nel primo caso dei lieviti, del secondo dei batteri dell’acido lattico (d’ora in avanti LAB). I LAB sono tutti accomunati dal fatto di fermentare (nutrirsi) di zuccheri, convertendoli sotto diverse vie metaboliche in acidi di cui i principali sono appunto lattico e acetico.
Oltre una certa percentuale di segale nell’impasto ci serve dunque acidità oltre che spinta lievitante. In questo non c’è quasi di nessun aiuta il solo lievito madre, avendo una capacità acidificante scarsa (Ph 5, 5.5).
PASTA ACIDA E SEGALE
Le ragioni per cui la segale ha bisogno di acidità non sono affatto diverse da quelle per le quali hanno bisogno di acidità i grani antichi. Ho posto la questione più volte in questo blog, in particolare qui e qui e vorrei non tornarci per non appesantire l’argomento. Ci basti qui ricordare che la segale è un cereale completamente diverso dal grano. Che non è un grano debole, non è nemmeno imparentato con il frumento (vedi farro), per cui occorre proprio dimenticare tutto quello che si sa sul frumento se si vuole panificare con la segale. Di più le nostre conoscenze sul frumento ci depisteranno più che parecchio.
Avete presente i tanti blogger che fieri vi mostrano il loro barattolo di pasta madre di segale (liquida nella maggior parte dei casi) tronfi perchè ha triplicato? Bene l’unica certezza che avrete è che faranno un pessimo pane di segale, che aspetteranno tre giorni prima di tagliare, perché troppo umido. Dopo tre giorni tuttavia non state mangiando un buon pane di segale, ma pane raffermo! Perché il apne di segale se correttamente eseguita la lavorazione non né umido, né stopposo in bocca.
Per i discorsi che ci siamo appena detti quindi sarà facile per voi intuire, che se non era dei lieviti che avevamo bisogno, non ci interessa che la pasta madre sia in spinta, perché se quella ci fosse servita avremmo utilizzato lievito di birra e pace all’anima sua. Abbiamo bisogno dei LAB e del loro potere acidificante.
COSA SONO I BATTERI DELL’ACIDO LATTICO?
Quello di cui abbiamo parlato sin qui è la pasta madre tradizionale. La più conosciuta a livello domestico. Nello schema proposto sopra questo tipo di lievito madre avrà sia forza acidificante che lievitante, al contrario del solo lievito di birra che avrà solo forza acidificante.
Una pasta madre siffatta potrà poi essere regolata rispetto ai livelli di acidità e alla qualità degli acidi organici. Potrà quindi essere più o meno acido a seconda del tempo di stazionamento prima dell’utilizzo e potrà contenere più o meno acido lattico e/o acido acetico a seconda della tipologia di batteri lattici che avremo selezionato, prima contenuti nella farina stessa e poi condizionati dalle condizioni di mantenimento.
Cosa sono quindi i batteri dell’acido lattico?
Sono organismi poco evoluti (procarioti) GRAM positivi anaerobi facoltativi di forma bastoncellare che producono come metabolita secondario principalmente acido lattico (da cui il nome) partendo dal glucosio. Sono quindi capaci di acidificare l’ambiente circostante eliminando i “concorrenti”, ovvero inibendo la riproduzione dei patogeni e altri microorganismi ad eccezione dei lieviti, capaci di resisterebbe alle modificazioni del pH.
I batteri lattici sono dappertutto. Ne sono stati identificati circa una sessantina. Notizia a margine sono presenti nella vagina dove costituiscono circa il 97-98% della popolazione e da lì durante il parto (se naturale) contaminano l’intestino del bambino, che naturalmente al momento della nascita è sterile. Oltre al patrimonio genetico dalla madre ereditiamo quindi il nostro primo pattern di batteri lattici, essenziale per la nostra salute.
La simbiosi con i batteri lattici
Se non avessimo imparato a collaborare con i LAB piuttosto che farceli nemici, ci saremmo certamente estinti. Hanno piuttosto negli anni contribuito a “sterilizzare” l’ambiente per noi. E’ un fatto che l’acqua nella maggior parte dei casi non fosse potabile e che bere vino o birra fosse l’unica alternativa alla morte in tanti contesti (pensiamo ai campi di battaglia). Così come è semplice pensare che nelle dispense senza possibilità di refrigerazione i prodotti anziché putrefare e diventare non commestibili avevano la possibilità di fermentare (sotto opportune condizioni) in modo non solo di essere conservati per più tempo, ma anche migliorare le loro qualità nutrizionali. E’ questo il caso dei formaggi, yogurt, panna, dei salumi, ma anche delle conserve fermentata di proposito come la giardiniera, le olive ecc.
Tutto questo è possibile proprio grazie ai LAB e al loro potere acidificante. Esistono ancora oggi prodotti fermentati che costituiscono una ottima fonte di LAB quali il KEFIR e il KOMBUCHA, ma nella stragrande maggioranza dei casi purtroppo per noi mangiamo cibo sterile, con importanti conseguenze della qualità del nostro microbiota intestinale.
IL METABOLISMO DEI LAB IN UNA PASTA MADRE DI SEGALE
In questo articolo non spiegherò come avviare una pasta madre, avendo dedicato un mucchio di articoli. Ricordo soltanto che il processo fondamentale di innesco di una pasta madre è l’acidificazione, con conseguente sterilizzazione dell’ambiente, e solo secondariamente la lievitazione con innesto appunto di lieviti. La segale permette un avvio rapidissimo di fermentazione, per questa ragione vi occorreranno 5 giorni come mostro qui.
E’ più importante come si conserva la pasta madre, ma sopratutto come la si prepara alla panificazione che non il modo con cui la si avvia. Parlerò altrove di questi argomenti.
Fatte le dovute presentazioni occorre ancora precisare che i batteri lattici vengono distinti rispetto alla loro capacità di produrre acidi in 1) omofermentanti capaci di produrre solo acido lattico, ed 2) etero fermentanti (facoltativi e obbligati) capaci di produrre sia acido lattico che acido acetico, ovvero percorrere diverse vie metaboliche sotto diverse condizioni.
Metabolismo omofermentante degli esosi
I batteri omofermentanti degradano il glucosio attraverso la via della glicolisi con formazione del piruvato che viene poi ridotto ad acido lattico per opera della lattato deidrogenasi, con la contemporanea ri-ossidazione del coenzima NADH. Con questa via metabolica per ogni mole di glucosio si producono 2 moli di acido lattico e si ottiene una resa energetica di 2 moli di ATP è illustrata la via omofermentante di degradazione del glucosio.
1) Alte temperature, 2) farine con componenti cruscali e 3) alte idratazioni favoriranno lo sviluppo di omofermentanti e quindi acido lattico
Metabolismo eterofermentativo degli esosi
Nei batteri eterofermentanti la via fermentativa degli esosi non segue la glicolisi ma la via dei pentosi fosfati poiché mancano dell’enzima aldolasi (enzima della glicolisi che catalizza la scissione del fruttosio difosfato nei due trioso fosfati). Nella via dei pentosi fosfati la reazione chiave è la scissione dello xilulosio in gliceraldeide 3-fosfato e acetil fosfato, catalizzata dall’enzima fosfochetolasi. La gliceraldeide 3-fosfato viene poi metabolizzata a acido lattico seguendo la via omofermentativa; l’acetil-fosfato invece viene normalmente ridotto ad etanolo con contemporanea ri-ossidazione del coenzima NADH (vedi figura 1.3).
In condizioni aerobiche invece può essere convertito ad acetato mentre il coenzima NADH viene riossidato tramite la riduzione del fruttosio a mannitolo. I batteri etero fermentanti da una mole di glucosio formano una miscela equimolare di acido lattico, anidride carbonica e etanolo (acetato) con una resa energetica in ATP di una sola mole.
1) Basse temperature, 2) basse idratazione e 3) farine raffinare favoriscono lo sviluppo di etero-fermentanti.
Nomi e cognomi dei batteri lattici
- Gli omofermentati sono microorganismi molto aggressivi che tendono a far piazza pulita di tutto il resto, acidificano entro soglie limite di Ph 4.1 sotto il quale rallentano il loro sviluppo. Sono perciò poco graditi nella panificazione tradizionale a base di frumento perché restituiscono paste madre poco acide e con bassa forza lievitante. Appartengono a questo gruppo: lattobacilli omofermentanti. Lb. delbrueckii subsp. delbrueckii ; Lb. delbrueckii subsp. lactis; Lb. delbrueckii subsp. bulgaricus; Lb. acidophilus; Lb. crispatus; Lb. Jensenii; Lb. helveticus; Lb. salivarius.
- Tra gli eterofermentati facoltativi. Troviamo Lb. casei; Lb. paracasei; Lb. curvatus; Lb. pentosus; Lb. plantarum; Lb. sakei; Lb. rhamnosus; Lb. bavaricus. Sono detti “facoltativi” perché producono come gli omofermentanti acido lattico e sotto certe condizione acetico, etanolo e acetato.
- Tra i lattobacilli eterofermentanti obbligati troviamo: Lb. brevis; Lb. fermentum; Lb. kefir; Lb. sanfranciscencis; Lb. fructivorans; Lb. hilgardii; Lb. reuteri. Il famoso Sanfranciscencis che a il nome al famoso lievito di Sanfransisco è presente in praticamente tutte le culture spontanee a base di acqua e farina. Questi batteri sono di solito quelli che si cerca di selezionare nella gestione ordinaria della pasta madre a base di frumento. Perché producono sempre sia acido lattico che acetico.
Vale la pena ricordare che le diverse condizioni di gestione (temperatura, idratazione, tempo di stazionamento, qualità della farina) possono modificare l’equilibrio interno del microbiota presente nella pasta madre. Possono quindi far lavorare meglio i lieviti piuttosto che i batteri e tra questi meglio gli omofermentanti piuttosto che gli etero fermentanti. NON POSSIAMO PERO’ MEDIANTE I RINFRESCHI MODIFICARE LA MICLOFORA RESIDENTE, vale a dire aggiunge specie non presenti nel nostro ambiente. Spostare l’equilibrio della pasta madre in una direzione piuttosto che nell’altra richiederà inoltre un tempo congruo affinché in sostanza alcuni microorganismi prendano il sopravvento in modo definitivo su altri.
Che tipo di pasta madre ci serve per il pane di segale?
Quando parliamo di acidità della pasta madre non possiamo fare a meno di introdurre due concetti fondamentali che sono quelli di pH e acidità titolabile. Ne ho parlato qui. Vi consiglio di leggere l’articolo per capire ciò di cui vi sto parlando. Vi basti sapere qui che la pasta madre di segale va fatta e mantenuta con farina integrale per vari motivi. Il primo è che ci interessa il microbiota contenuto nella farina di segale (per cui va avviata con farina di segale). Il secondo è che le farine integrali sono sostanze tampone che quindi ci permettono di accumulare acidità maggiori lasciando invariato il pH. Dal pH infine dipenderanno tutte le reazioni chimiche nonché il metabolismo dei batteri e lieviti.
Oltre al livello di acidità effettiva della pasta madre (pH) occorrerà quindi anche avere come informazione la quantità di acidi effettivamente prodotti, quindi l’acidità titolabile, generalmente espressa in gradi SH.
Acidità titolabile
Si premetta inoltre che dei due acidi organici prodotti l’acido lattico è più persistente, l’acido acetico parzialmente volatile. Il primo da gusto al pane il secondo aromi e gusto aspro. I due acidi hanno anche diverse capacità acidificanti. La capacità acidificante di un acido è data dalla sua capacità di rilasciare ioni H+ in soluzione acquosa, il valore è espresso in termini di costante di dissociazione pKa. Qui ci basti sapere che l’acido lattico è 10 volte più acido dell’acido acetico. Non essendoci nella segale glutine atto a formare maglia, non siamo interessati alle sue interazione con gli acidi organici. Esiste tuttavia la possibilità di formare una pseudo-maglia a partire dalle strutture fibrose (arabinoxilani, B-glucani, emicelullose) che trae giovamento dalla presenza di acido lattico.
CONCLUSIONI SULLA PASTA MADRE DI SEGALE
Se mi avete seguito sin qui, sarà facile comprendere, che la pasta madre così per come siamo abituati a concepirla in Italia, semplicemente non è adatta al pane di segale e non lo è nemmeno quando è fatta di farina di segale. Ai voglia mostrare orgogliosi i barattoli di pasta madre liquidi pieni di orgoglio perché ha triplicato. Se era la capacità espansiva del lievito che ci interessava avremmo potuto fare a meno di una pasta madre.
Ci serve una pasta madre con livelli di acidità più alti di una normale pasta madre di frumento e ce ne serve tanto più aggiungiamo farina integrale di segale. Vale per la segale, ma in misura maggiore, quello che vale per i grani antichi. Laddove la spinta dei lieviti è un’attività largamente trascurabile, ci interessa la capacità acidificante del lievito, in particolare che questo produca la giusta dose di acido lattico.
Il segreto di una buona pasta madre di segale
Purtroppo quando parliamo di fermentazioni spontanee. Queste sono sempre un terno al lotto. La selezione avviene tra ceppi batterici e miceti effettivamente presenti nell’ambiente. Possiamo entro certi limiti assicurarci una selezione, adeguata, dei batteri che ci servono. Possiamo elaborare strategie adeguate di panificazione. Quindi metodi indiretti, maggiori quantità di pasta madre, maggiore durata dei rinfreschi ecc. Tuttavia se la nostra pasta madre non ha i ceppi batteri giusti è preferibile ricominciare da capo cambiando farina.
Allo stesso modo attenzione al cambio farine. Le pasta madri “eterne” semplicemente non esistono. Anche questa è una mitologia della nostra panificazione. Una pasta madre di cento anni, lavorerà esattamente come una di 5 giorni se abbiamo proceduto correttamente. Al contrario via via che si rinfresca si potrebbero perdere ceppi batterici utili, sopratutto nella gestione domestica che prevede continui passaggi in frigo. Risulta perciò utile quando ci si accorge che la propria pasta madre ha perso acidità resettare e ricominciare da capo.
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