“Andate, vi mando come agnelli in mezzo ai lupi”.
Il nostro Tao è scisso, infranto, separato. Siamo convintamente persuasi che il bene stia tutto da un lato e il male tutto dall’altro, che tanto più sia inevitabile il male tanto più se ne debba desiderare la risoluzione. Constatato poi che il male è nei fatti insopprimibile, per la semplice ragione che DEVE esistere affinché possa esistere il bene, la frustrazione che se ne ricaverebbe dal tentativo continuamente deluso di eliminarlo, viene risolta rimandando all di là l’ora della redenzione impossibile nell’al di qua.
Tutte le volte che ho visto i lupi non sono mai riuscito a convincermi che fossi io l’agnello. In questo gioco di contrapposizioni tra lupi e agnelli abbiamo preferito separare tra un interno ed esterno, un’apparenza e una realtà, per cui spesso parliamo di “lupi vestiti di agnelli”. Mi pare tuttavia che nemmeno questo colga bene la situazione.
Piuttosto ho sempre avuto netta la sensazione che io li avessi spinti a diventare lupi, affinché io potessi essere l’agnello; che per prendermi tutto il bene ci fosse bisogno di agganciare a qualcun altro tutto il male, che per essere sano da qualche parte qualcos’altro dovesse essere malato.
Il Tao del grande mondo
In questo gioco degli opposti che esprime il senso profondo della vita, il Tao del mondo, non pare esserci giustizia, ma solo l’esigenza di un equilibrio. Quando l’agnello domina sul lupo, quando lo costringe in una gabbia perché possa non nuocergli, quando spegne la vitalità e le pulsioni, in lui naturali, ma incontenibili per l’altro, l’agnello pare mettere il lupo in gabbia, ovvero, nel posto che prima era suo. Non lo fa con cattiveria. E’ solo convinto che una gabbia sia il posto migliore dove stare. In questo suo atto carico di pietà, crede di aver risanato un’originaria ingiustizia e si ritiene soddisfatto del risultato ottenuto. Adesso il lupo somiglia all’agnello e non può più nuocergli in alcun modo. Non c’è tuttavia modo di sanare un’ingiustizia, può solo esserne commessa un’altra, due ingiustizie non fanno una cosa giusta.
Tutte le volte che il lupo si è arreso e ha rinunciato alla sua vitalità l’agnello pare soddisfatto, tutte le volte che prova a riemerge l’agnello vede una recrudescenza di cattiveria, un’ostinazione insensata che deve essere domata. Pensa che ha sbagliato qualcosa nella cura, perché è questo che ritiene di fare: “curare”, quando invece sta provando a “domare” la bestia. Così le cose mi paiono avere preso il loro senso: l’agnello s’è fatto lupo e ha reso il lupo il suo agnello.
In questo scambio di posto per così dire non c’è verso di convincere l’agnello di essere fatto della stessa pasta del lupo. Non c’è vale a dire possibilità che il riconoscimento possa avvenire dal lato del debole diventato forte. E’ dalla disperazione dello sconfitto, dal mistero che egli incarna nella sua passione che riprende il cammino della storia. Solo il malato può voler tornare sano, non v’è dubbio che il sano non abbia nessuna intenzione di ammalarsi. Tuttavia resta necessario che il bene e il male riconoscano la loro reciproca appartenenza, comprendano che nello specchiarsi semplicemente cambiano verso.
Tutte le volte che sono entrate nel covo dei lupi ho trovato animali ragionevoli e mi sono sempre chiesto chi fosse il lupo e chi l’agnello. Bisogna occupare questa via di mezzo, restare nel confine per vedere meglio.
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