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01/07/2009 by Alessio Farina Leave a Comment

Campo rom Favorita, Palermo: la forma dell’acqua

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Prima di parlarvi della mia esperienza al campo Rom di Palermo. Vale la pena innanzitutto precisare che in Italia esistono i campi di accoglienza regolari e quelli abusivi, che nei primi le migliori condizioni di vita pagano il prezzo di una riduzione dei propri spazi di libertà e che nei secondi la libertà paga il prezzo della fame, dell’insulto e dello sputo. Esiste poi il campo Rom di Palermo.

E se questo vuol dire rubare, questo filo di pane tra miseria e sfortuna, allo specchio di questa kampina, ai miei occhi limpidi come un addio, lo può dire soltanto chi sa di raccogliere in bocca, il punto di vista di Dio.F. De André, Khorakané

Esistono poi quelle zone grigie, torbide, marce; quei drammi pirandelliani, quei luoghi fisici e mentali che non sono né abusivi, né regolari, ma semplicemente tollerati.

“Tolleranza” pare a sentirla una bella parola e invece nasconde un inganno.

Tolleranza è una parola che nasconde la storia di un disagio, la forza di un pregiudizio. “Tollerare “ vuol dire, infatti, sopportare e presuppone una situazione di vantaggio da parte di chi tollera. Se è così, allora, vale la pena dire che Palermo è una città tollerante.

 

 


Tollerante quando decide di “bonificare” alcune sue zone periferiche, di far pulizia in via Messina Marina prima e poi lungo tutto il Foro Italico, di case diroccate, giostre abusive, sporcizia, prostituzione, droga ed infine di Zingari (allora stanziati abusivamente lungo la costa, immediatamente a ridosso del mare). È tollerante quando decise di allontanare dallo Zen (quartiere tristemente famoso di Palermo) un altro gruppo di Rom (per lo più rifugiati di guerra). Di farlo perché mal sopportati dalla raffinata cittadinanza locale, devota serva della malavita organizzata. È tollerante  quando , messi assieme come fossero patate andate a male Serbi, Montenegrini e Kosovari, capisce che non c’è un posto dove metterli, che non esiste un tappeto così grande sotto cui infilare tutta quell’immondizia tolta via dalle strade.

In effetti un posto di comodo si trova, ma non è affatto un tappeto

E’ una distesa di terra ben dentro il cuore della città, una zona vicina ai tanti buoni servizi della Palermo “bene”, della gente che conta. Ed eccolo, appena coperto da qualche ramo, a 100 metri dallo stadio di calcio, subito ai limiti del parco naturale sorgere il campo Rom della Favorita. Lì sopravvive da circa 15 anni il campo Rom di Palermo, luogo “provvisorio” dove sono temporaneamente accolti gli zingari; lì a due passi dai grandi calciatori, dai cori dello stadio, dalle vie larghe e ben asfaltate, dalle corse per il footing e lo stretching, dai prati verdi e ben irrigati, dal parco giochi per i bimbi puliti della Domenica.

Questa è Palermo. Questa è la nostra anomalia: centinaia di persone che vivono in una vera e propria pattumiera, nel bel mezzo della città. Vivono in un luogo che non è esattamente abusivo, né tanto meno regolare, ma semplicemente “tollerato”. Questo è il campo Rom di Palermo: una distesa di terra, dove “spontaneamente” sono nati casotti in mattoni, in legno o come meglio veniva. Un campo rom dove non c’è un attacco fognario, né un canale di approvvigionamento per l’acqua (benché la rete fognaria e idrica siano ad uno schiocco di dita). Il luogo dove d’inverno si gioca in mezzo a pozzanghere putrescenti e ai topi e dove la cacca si somma ad altra cacca, per garantire un luogo caldo ed accogliente ai pidocchi, ai germi e alle infezioni virali.

Questo è il campo Rom di Palermo

Posto dove, nonostante ciò, il gruppo più stanziale ha costruito le sue case, si è sforzato quanto più poteva di costruire bagni e simulare l’acqua corrente. Il luogo dove un gruppo di uomini ha cercato di sopravvivere come una comunità di persone e non come animali da stalla.

Questo è ciò che Palermo si permette di “tollerare”. Lì dentro, in questo anno, abbiamo trovato bambini, sorrisi, accoglienza, volti umani, drammi quotidiani, abbiamo trovato le contraddizioni di una periferia disagiata e di un popolo complesso e ambiguo, che passando dagli imperi, ai feudi, alle nazioni, ha attraversato i cinque continenti, ed è giunto sino a noi senza mai portare né guerra, né sopraffazione. Ma soprattutto lì dentro abbiamo trovato PERSONE.


Quando un uomo smette di essere persona, ogni volta che la nostra amata “tolleranza” lo spinge all’ombra del disumano, insieme ai suoi stessi escrementi, ai resti delle carcasse, delle auto rubate, ai pannelli di amianto e ai brandelli di mobilia (gettati quelli sì abusivamente), si commette un reato, un crimine contro lo spirito di un’intera comunità. Si battano pure il petto in chiesa i nostri farisei, le anime petulanti della politica, i ciarlatani delle finte associazioni umanitarie; paghino la loro colpa col prezzo dell’ignoranza, con la povertà dello spirito, paghino per la loro tolleranza.

 Quella tolleranza che si incarna nelle ronde notturne della polizia

La stessa che sveglia la notte delle anime assonnacchiate per il “censimento”. La tolleranza che prende le impronte ai bambini, che infetta l’aria di notizie false, di facili fraintendimenti, che brucia le loro baracche e grida allo zingaro. Quella tolleranza che si incarna soprattutto nell’acqua che manca, nell’azione più vigliacca del Comune, che nel silenzio della sua voluta inadempienza, di fatto, non riempie più quei Silos che egli stesso aveva messo. Quella tolleranza che si incarna in quell’acqua che non permette di lavare le case, di pulire i bambini, che per vergogna non vengono più mandati a scuola e che sta svuotando lentamente ma inesorabilmente il campo.

Ad una ad una vanno via le famiglie,vanno via prima i montenegrini, più instabili e poi più lentamente i khorakhané, i più stanziali. Va via chi non ha il permesso di soggiorno o chi non se lo vede rinnovare da anni. Va via chi teme per sé o per la propria famiglia o più semplicemente chi sogna un posto migliore o chi pretende per sé più rispetto. Il governo è contento, perché quando anche l’ultima di quelle famiglie lascerà il luogo, ci si sarà sbarazzati finalmente dell’immondizia, portandola magari, come si faceva con le “balle” di Napoli, verso la Germania o la Francia.

Potrà finalmente fare un meraviglioso posteggio per lo Stadio e magari costruirne uno nuovo, più grande, come da anni sogna il nostro amato Zamparini. Per allora finalmente quella zona protetta del parco smetterà di essere tale, si supereranno tutti i limiti geologici, burocratici, politici e sociali, sorgeranno bancarelle, mega-negozi, centri commerciali, grandi cartelloni pubblicitari, luci che illumineranno a giorno il piazzale.

Per allora finalmente non mancherà l’acqua, anzi sgorgherà a fiumi 

I bagni saranno belli e ipertecnologici, con quelle lucette rosse che mandano già l’acqua senza più bisogno delle manopole, la fogna sarà bella e grande pronta ad accogliere cenni enormi e profumati fatti su misura per i nostri culoni raffinati. Per allora il verbo di Dio potrà trasformarsi in vergogna.

Il governo è contento, ma per noi volontari ogni famiglia che manca è un esperienza non vissuta, è un sorriso perso, un pezzo di cuore che se ne va. Mi chiedo allora che forma debba avere l’acqua, se sia giusto che essa venga intrappolata nei Silos, fornita a singhiozzi da rubinetti sempre strozzati dall’arsura e dalla sete, se sia giusto che essa debba stagnarsi nella dura terra e imputridirsi, o inumidire quelle fragili palafitte. È allora che mi pare di sentire, che mi pare di capire: lo zingaro ha la stessa forma dell’acqua!


Si adatta al recipiente, qualunque esso sia, al bicchiere di cristallo, alle pareti di metallo, al freddo  dell’inverno, al caldo dell’estate, forse anche alla sporcizia, all’umiliazione e alla fame. Ma la verità è che lui è nato per scorrere libero e vitale, per  nascere dal cielo e sciogliersi giù come neve dalle montagne sino alle sorgenti, e poi lungo i prati, le valli e i sentieri rocciosi del mondo, scorrere per giungere fino al grande mare e per ricongiungersi con l’altra acqua. È oggi che alla notizia dell’ennesima famiglia in procinto di andare vedo chiaro: un altro bicchiere è stato versato, ma l’acqua in un modo o nell’altro tornerà alla sorgete, mentre Palermo sarà una città più povera, più arida.

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