Lina giocava sempre con il bicchiere vuoto, finito di bere.
Lo tratteneva con entrambe le mani stretto stretto, verificando quanto fosse resistente quel materiale. E quando aveva finito con quello cominciava a pasticciare con la mollica. La lavorava e lavorava tra pollice indice e medio fino a farla diventare pongo. Poi cominciava a organizzare esili figure. Una palla due filamenti più lunghi attaccati sotto, un’altra palla più piccola sopra e due filamenti più corti attaccati sopra. Era il meglio che le riuscisse di fare per rappresentare una tozza figura di bambola. Ne aveva sempre sognata una, ma in quella casa era sempre stato impossibile averne.
Sentiva soltanto brusii di sottofondo tanto era assorta nel suo macchinare, ma quella tavola in realtà era sempre animata da vivaci discussioni. animata quella tavola. I due fratellini accanto a lei Giovanni e Pietro litigavano di contino per tutto, la sorella maggiore Maria stava accanto al padre in un austero silenzio, e distante quanto più le riusciva dal lato rumoroso della tavole. La madre sedeva dall’altro capo accanto ai figli più piccoli.
Erano organizzati così a casa di LINA,
come si trattasse di una gerarchia, un diritto di nascita dal più grande al più piccole. Lei era solo la sesta e per un breve momento era stata la più piccola, ma era durato poco, come poco era durato per tutti gli altri. Di figli il buon Dio ne avrebbe mandato ben 13 in quella famiglia, ma al momento erano soltanto otto e lei infondo restava la più piccola tra le figlie femmine, la cocca di papà.
In quel lungo tavolone con due casse panche laterali e due sedie al centro stavano seduti tutti e 10. Mamma da un lato a gestire i più piccoli, Papà dall’altro a godersi il giorno sacro del riposo, da cosa poi, visto che non lavorava quasi mai e tutti i figli in mezzo. In quella disposizione non si capiva mai chi fosse il più fortunato o il più sfortunato e in effetti dipendeva dai punti di vista. I ragazzetti vicini alla mamma vivevano ancora la santa beatitudine dell’infanzia e godevano del pasto come una volta del seno materno. Il più piccolo veniva ancora imboccato di tanto in tanto, ma per la maggior parte del tempo faceva da solo.
Quello accanto era chiaro che soffrisse della perdita di quelle cure,
di quelle attenzioni. Insomma via via che ci si allontanava dalla Mamma si perdevano privilegi e si avanzava verso l’autorità del padre, il suo sgarbatissimo modo di rimproverare chi facesse capricci per mangiare o dare ceffoni emessi come sentenza e punizione di un comportamento ritenuto inopportuno.
“Quante volte ti ho detto che devi alzarti presto la mattina! Sei un imbecille a ritardare al primo giorno di lavoro”, faceva a Salvatore il maggiore dei figli maschi. Aveva fatto tardi quella notte, in preda all’ansia del suo primo giorno di lavoro, alla preoccupazione per un’adolescenza finita troppo presto, alla rabbia per dover lavorare al posto di un padre, che tutti sapevano essere uno scansafatiche.
Provo a replicare qualcosa,
ma a Papà bastò il suono di quella voce, l’intonazione iniziale delle prime sillabe. Un po’ come nel noto show televisivo “Sarabanda” c’erano persone che indovinavano la canzone ascoltando le prime due o tre note, a lui bastava quello per capire dove volesse arrivare il figli. Un tono accondiscendente? Sottomesso? Entusiasta? Di riprovazione? Tanto gli bastava e tanto duravano le discussioni con lui. Arrivava il solito ceffone, che Ciro il fratello maggiore ascoltava in silenzio, consapevole dei suoi limiti nel mondo.
Non aveva mai provato a difendere il fratello più piccolo, non lo aveva mai sostenuto nei momenti difficili, non gli importava nulla di quella famiglia. Non c’era mai in casa. Chissà come spendeva il suo tempo, chissà dove andava la notte. A nessuno importava per davvero, nessuno voleva sapere. Dava spesso soldi alla mamma, che si guardava bene dal chiedere da dove provenissero. Il bisogno era maggiore della curiosità, la fame dei figli più l’alleato principale di Ciro.
Maria guadava soddisfatta punire l’insolente Salvatore,
Concetta la terzogenita si faceva il segno della croce, mentre Salvatore nutriva rancore nel silenzio. Rosalia la sorella preferita di Lina stava con la testa china sul piatto per quanto adorava mangiare.
Poi c’era lei, che ogni tanto si assentava, che non adorava così tanto mangiare da distrarsi con quello a tavola, né era ancora così grande da dover subire il rimprovero o l’ordine paterno e comunque a lei di schiaffi non ne sarebbero arrivati. Non dal padre almeno, non osava mai, non da lucido, non per rimproverarle. Con lei poi era particolarmente dolce e benevolo.
Lina era piena di vergogna quando la rimproverava, si vedeva e lei era praticamente disposta a perdonagli tutto. Il suo comportamento ondivago, la sua incapacità di prendersi cura per davvero di una famiglia che si allargava all’’infinito, la sua incostanza degli impegni di lavoro, che perdeva troppo spesso, il suo “vizietto” con l’alcol. Insomma un padre buono, fragile, costretto a vivere nel mondo dei grandi senza essere mai cresciuto per davvero neanche lui, costretto a mettere una maschera francamente burbera, ma che con lei non funzionava.
Un ragazzo ferito nell’anima, che negli anni della seconda guerra mondiale, aveva creduto, senza mai averne certezza, di aver ucciso un uomo con il suo fucile. Era un soldato? Era un passante? Sparo quel colpo intimorito, lo prese dritto nel petto. S’accasciò a terra senza dire una parola. Temette il peggio e corse via da vero “eroe”. Papà era burbero, taciturno, aggressivo, ma non con lei. Con lei adorava parlare e le aveva raccontato mille volte quella storia, in mezzo alle lacrime che sgorgavano a dirotto.
Era un ragazzino, c’era la guerra,
ma a chi vuoi che importasse un morto in più o uno in meno. Importava a lui, gli importava non aver mai avuto il coraggio di fermarsi a vedere almeno chi fosse. Gli aveva intimato di fermarsi è vero, quello era un posto di blocco con tanto di filospinato messo alla buona.
Era solo in quel frangente, la guerra volgeva già verso la fine inesorabile che tutti conosciamo e le leve non abbondavano di certo. Non si era fermato quel deficiente. Ma chi fosse non ebbe mai modo di appurarlo. La città non era la sua. In quel lontano Nord gli sembravano tutti uguali e poi? A ragionarci meglio cosa vuoi che importi chi fosse? Amico o nemico che cambiava per davvero? Aveva sparato quel giorno, con l’intenzione di uccidere, questo lo faceva la differenza comunque fosse andata dopo.
Era quello il livello di intimità tra la giovane bambina e il suo Babbo. Un’intimità sospetta per qualsiasi studioso dei fatti della mente, ma non per quella famiglia, non per qualsiasi altra famiglia. Era amore infondo, amore incondizionato di lei verso il padre e viscerale del padre verso la figlia. La prediletta del Padre infondo c’è in ogni famiglia. Maria era stata la prima delle sorella e guardava arcigna, chissà perché aveva tanto rancore in serbo si chiedeva Lina.
Lei però era stata la prima,
ma mai la più amata e dopo di lei c’erano già stati sette figli più piccoli. S’era presto abituata. Concetta gustava già il momento in cui si sarebbe sposata e sarebbe andata via di casa. Non faceva altro che ripetere che quello. Salvatore, la pecora nera della famiglia, non veniva più neanche rimproverato per i suoi modi troppo gentili di rivolgersi al prossimo, per la sua incapacità di farsi rispettare dagli amichetti e la sua strana tendenza a passare troppo tempo con le ragazzine. Rosalia era la confidente della Mamma e Pietro e Giovanni erano troppo piccoli per avere ancora un opinione, per porsi problemi diversi dal mangiare e spartirsi le coccole della Mamma.
In mezzo a tutto questo trambusto c’era lei Lina che ogni tanto si assentava, un po’ come faceva il fratello, ma i suoi non erano lunghi e interminabili silenzi. Ogni tanto semplicemente la sua testa andava altrove, vagava nei dettagli degli oggetti. Adorava quel bicchiere, duro eppure trasparente, servizievole e tuttavia fermo nella sua posizione.
Continuava a stringerlo con tutte le sue forze,
ma proprio non riusciva a modificarle di un millimetro la sua forma, a comprimerlo per qualche verso. Ma come faceva quell’oggetto così resistente a rompersi in mille pezzi quando cadeva?
Lo fissava finito di comprimerlo, lo girava dal lato del fondo e da lì poteva notare il motivo a righe verdi e bianche della tavola tanto era trasparente e tuttavia deformante. Le righe infatti rimpicciolivano all’improvviso, per poi ritornare normali terminato l’ovale. Più lo teneva tra le mani e più si sentiva esattamente come quel bicchiere.
Trasparente, come invisibile in una famiglia così tanto popolata, facile da sporcare e fragile, estremamente fragile, come pure resistente super resistente. La gente viveva dando per scontato tutto e nessuno le risolse mai il mistero del bicchiere, come nessuno mai le spiegò gli abissi e le contraddizioni del suo animo.
“Cosa?” Sentì urlare Lina dalla punta del tavolo.
Era la voce di suo padre, un po’ artefatta, impacciata. “Sei di nuovo incinta?”. Ma che si credeva che i figli li portasse la cicogna? E perché mai era arrabbiato con la moglie? Non era lui a non saper porre freno ai suoi appetiti? Succedeva ogni volta che faceva un giro con gli amici. In giro per Palermo di Taverna in taverna. Lo conoscevano tutti e nessuno gli faceva credito, per cui metà del suo stipendio andava via così.
Tornava palesemente alticcio, a volte piangeva pensando alla miseria della sua esistenza, altre volte era già arrabbiato prima di entrare. Tutti s’erano abituati a intuire il suo umore lunatico e capivano dal suono che faceva la porta di casa quando si chiudeva che aria sarebbe tirata.
A volte sbraitava contro i figli più piccoli, sempre in rissa per qualcosa, altre volte si sedeva nel grande tavolo del salone e si versava taciturno ancora qualche bicchiere. Mamma lo rimproverava delle volte. “Ma dove eri finito?” diceva le prime volte. Con il tempo si era abituata e la preoccupazione fece posto alla rabbia. “Di nuovo hai bevuto disgraziato?” Le urlava.
“Di nuovo tutto hai speso? E noi come facciamo qui?”.
Diventava paonazza! Rossa in viso come un peperoncino. Sberle gliene arrivavano, pugni ne prese in ogni dove, ma s’era abituata, non subiva inerme. Quello non era un marito che poteva pretendere rispetto, non faceva il suo dovere di maschio della casa, non meritava rispetto, non dentro le mura di casa almeno e si rivolgeva a lui con un tono di disprezzo. Infondo se la cercava, pensava Lina ogni volta e non la compativa, non capiva che motivo c’era di infierire in quel frangente.
Perché causa l’ennesima lite, perché se poi finiva sempre per perdonarlo, per concedersi alle sue voglie, quando finalmente facevano pace?
Ogni Taverna era una lite furibonda, ogni lite un trambusto senza fine, ogni trambusto era una tempesta e come tutte le tempesta passava e si risolveva.. beh con un figlio.
In quella famiglia c’erano state tante liti e altrettanti figli. Lina si risvegliò d’improvviso dal sonno che producevano in lei i suoi pensieri. La mamma era scoppiata in lacrime. Non erano le stesse lacrime di papà. Era rabbia che colava dai suoi occhi, rabbia viva, rancore senza fine.
Avrebbe fatto pagare ai figli più tardi tutta quella rabbia che con il marito non poteva sfogare.
Infondo di che si lamentava? Era sempre incinta, sempre a lamentarsi di questo o quell’odore, quando non era in incita stava a litigare con il marito, che sia come sia comunque se la campava e poi tornava di nuovo incinta. Lina l’aveva sempre vista con il pancione. Era già incinta di Giovanni quando cominciarono i primi ricordi.
Poso il bicchiere sul tavolo. Era tutto unto adesso e ciò che c’era dall’altro lato non si vedeva più. Bastava sporcarlo infondo, pasticciarlo un po’ con le mani per farlo smettere di rispecchiare deformando quello che c’era dall’altro lato. Serviva sporcarsi un attimino per non farsi vedere dentro. Bastava mandare già il contenuto perché finisse la sua funzione. Giovanni si dette una calmata e la smise subito di tirare la maglia di Pietro, che beato lui ancora non capiva nulla di come andava il mondo. Mamma piangeva e scoppio in lacrime anche lui.
Ai quanto è dura essere donna e quanto e facile essere mamma quando la donna è costretta a subire le ingiustizie, subirle nel silenzio della devozione per il marito, nel rispetto dei costumi e dei ruoli. Smise di piangere, tolse Pietro dal seggiolone e lo rivolse al seno. Ogni tanto ancora lo allattava. Quel seno somiglia più ad un distributore di latte.
Una certezza per tutti e 8 i figli che comunque fosse andata avrebbero avuto cibo a disposizione.
Era la fonte del ristoro del piccolo, l’oggetto di invidia di tutti gli altri fratelli. Il seno era si abbondante, ma era solo uno. Era un inganno, un’oasi nel deserto che prima o poi ti sarebbe stata tolta. Pietro non lo sapeva ancora e gustandosi avido il seno della madre smise di piangere. Salvatore guardò indispettito.
Le sorelle avevano già capito come andava il mondo e non si stupivano certo della scena. Salvo arrossiva ogni volta che vedeva il seno della madre, si vergognava profondamente dei suo desiderio. Era in piena pubertà, confuso, sommerso da corpi femminili in ogni dove. Loro erano già 8, ma la stanza da letto solo una. Una per tutti intendo.
Ciro era già grande a sufficienza per capire come andava il mondo e nemmeno si girava più. Di seni ne aveva già visti tanti nei bordelli dove il padre lo aveva portato la prima volta e dove aveva continuato ad andare per conto proprio. Ciro era già un uomo dall’alto dei suoi vent’anni e in casa oramai non dormiva neanche più. Schifava il padre. Lo giudicava un debole, un poco di buono, inutile al mondo.
Provava solo pena per sua madre, che pure odiava allo stesso modo in quei frangenti, quando subiva in silenzio. Perché tanto chiasso quando tornava ubriaco, se poi lo perdonava sempre? Perché si faceva umiliare a quel modo da un uomo incontinente? Incapace di prendersi la responsabilità dell’accaduto?
Ciro era così, tagliava tutto con il coltello, pensava Lina e andava sicuro per la sua strada.
Ciro era forte, aveva un innato senso sella giustizia. Era così forte in lui il sentimento che spesso, troppo spesso, non si accorgeva della piega che aveva preso la sua vita. Proprio non capiva che “onore” non era la parola della gente per bene, ma di mascalzoni che si arricchivano sulle spalle dei più poveri, che facevano affari avvelenando le pance di ragazzi disperati con sostanze stupefacenti e che rispettavano solo il proprio, asservendo l’altro.
Ciro si sentiva troppo più grande della sua età e non aveva idea dello scivolo che aveva preso la sua vita. Proprio come avesse avuto le ruote ai piedi su di un piano inclinato, il suo destino era ormai segnato, ma ancora non lo sapeva. Si godeva il momento. Si godeva il rispetto dei “padri” fuori che s’era trovato. Più dei soldi, gli piaceva la loro approvazione, in cerca della quale non capiva nemmeno la gravità degli atti che commetteva.
Ciro non capiva che quel padre che tanto disprezzava e pieno di difetti com’era non aveva mai avuto il coraggio di compiere certi gesti perché aveva un cuore. Non aveva mai ceduto alla tentazione di mettersi in affari loschi perché era sempre inseguito dalle sue ombre.
Pensava a quel ragazzo offeso, lo mordeva la coscienza, beveva per dimenticare e ricordava una volta di più senza mai staccarsi per davvero da quell’anima che pure aveva separato dal mondo.
Il papà era un debole, certamente un vigliacco, ma mai sarebbe stato un criminale. Ciro avrebbe dovuto comprendere che il suo disprezzo deformava la realtà, esattamente come fa il fondo del bicchiere che tanto a Lina. Ma era giovane, era bello, forte, sicuro di sé, aveva tutto.
Lina lo guardava con distanza, non lo amava, non lo odiava. Di lui infondo non sapeva nulla, ne voleva saperne. Non gli piacevano i suoi modi spacconi, le occhiatacce che mandava al padre. Quell’aria di perenne giudizio che aveva addosso. Ma chi era lui per giudicare? Che ne sapeva della disperazione che attanagliava tanto il padre?
Che en sapeva delle angherie che dovevano subire soprattutto le sorelle dalla parte della madre? Lui era stato il primo degli 8 figli, forse l’unico che era arrivato voluto per davvero. E’ vero che dopo di lui tanti avrebbero assaggiato quel seno, ma lui era stato il primo e tutti sapevamo che tale era rimasto nei pensieri della Mamma. Questo era il problema! A Ciro mamma perdonava praticamente tutto. Ciro di qua, Ciro di là. Gli brillavano gli occhi al solo nominarlo. Portava soldi in casa poi, i soldi che il marito consumava in alcol. Ci fosse stata una volta, una sola volta che si fosse fermata a chiedere da dove venivano.
Ciro era già un criminale, ma chi avrebbe indagato mai su sua madre per istigazione a delinquere? Quante donne frustrate ci sono dietro i criminali che rischiano la galera si chiedeva Lina?
Lina era così piccola e così sveglia per sua sfortuna. Lina posato il bicchiere ascoltò la discussione giocando con le molliche rimaste a tavola. “Tu disgraziato, vigliacco di un uomo, ma che di credi che sia contenta?”. Urlava mentre strattonava di qua e di là Pietro intento a non perdere di bocca il capezzolo. Papà si era già alzato in piedi in una delle sue solite scenate teatranti. Diventava prima imputato e poi giudice di se stesso.
“Io di cosa ho colpa? Cosa dovrei fare ? Andare a puttane come fa Vincenzo? E poi cosa mi rinfacceresti, perché so che me lo rinfacceresti? Cos’hanno loro meglio di me?” E sbatteva i pugni sul tavolo in un frastuono che risuonava per tutta la stanza. Sembrava un tamburo che accompagnava il suono della sua voce. “Invece no! Io amo solo te, desidero solo te? Non è forse questo e so questo che dovrebbe importarti?” e li si vedeva proprio che non mentiva.
Era stato il peggiore degli uomini forse, ma mai gli aveva mancato di rispetto.
Quello era l’argomento forte, lo sapeva e lo tirava fuori ogni volta che sapeva altrettanto bene di essere in torto. Funzionava sempre. Come una civetta, soddisfatta di essere la prima, l’unica, la più amata, la più bella agli occhi del marito, si calmava all’improvviso, si raddolciva e probabilmente si preparava già al nuovo fagotto che avrebbe sfornato per lui.
Lina continuava a rigirarsi tra le dita quella mollica nel frattempo. Quelle non erano affatto le discussioni peggiori. L’annuncio di un nuovo figlio in arrivo infondo restava una buona notizia. Certo sembrava la discussione dei folli, il papa accusava la mamma si non so cosa e poi si difendeva da accuse mai ricevute. Però infondo erano liti che finivano presto. Papà era sempre contento quando arrivavano figli, li amava a modo suo, quella vita intorno riempiva il vuoto e il senso di morte che tanto lo attanagliava da sempre.
Certo farli era più semplice che camparli, ma a quello avrebbe pensato dopo, in un modo o nell’altro si sarebbe fatto, come si era fatto era fatto per gli altri 8 o quanti fossero, chi li contava più!
Papà si alzò e corse a consolare le lacrime della Mamma che però avevano cambiato suono.
Sapevamo tutti come sarebbe finita. Dette Pietro braccio a Lina per farsi abbracciare. Lina posò di colpo la mollica che nel frattempo era diventato un omino. Accolse il fagotto che riprese a strillare. Giovanni fu tolto via direttamente da Rosalia. I più grandi si erano già alzati e avevano preso la via della porta.
Una sola stanza da letto per dieci persone era troppo piccola. Questo però risparmiava i genitori dallo spiegare come si facessero i bambini. L’intimità è un lusso che i poveri non si possono permettere. Mai confondere la povertà con il disonore però.
I figli avevamo rispetto dei genitori, i figli sapevano già e li lasciavano soli. Infondo si amavano, infondo mamma si sarebbe calmata per un po’, infondo così era fatta la natura umana. C’erano tanti infondo, nessun pudore e nessuna vergogna per i bisogno del corpo. Infondo fare sesso era un atto, come lo era andare in bagno. Anche quello era uno solo per dieci persone, gli odori di uno erano gli odori di tutti i rumori che producevano i corpi avevano altre 18 orecchie che ascoltavano. Era sempre stato così e nessuno ne faceva un dramma.
La strada era la loro seconda casa, era così per tutti.
Due stanze possono essere abitate da dieci persone solo a patto che il mondo diventi un condominio. La vita si svolgeva tutta nei viottoli del borgo. Tra il mercato di Ballarò e Santa Chiara c’era il popolo vivo, c’erano le amicizie di Lina, c’erano tutte e due le sorelle di mamma e i sette tra zii e zie di Papà.
Lina uscì però con Pietro in mano. Quel giorno non poteva certo andare a giocare alla guerra con i compagnetti come faceva di solito. Doveva occuparsi del fratello più piccolo e senza un senso a disposizione da dargli per calmarlo. Si arrangiava come poteva, gli soffiava sulla pancia della volte, lo dondolava a ritmo di una canzone che adorava cantare: “quarantaquattro gatti infila per sei con il resto di due…”. Se li immaginava proprio tutti quei gatti messi in fila, trovava buffa l’immagine, non sapeva ancora fare di conto però pensava sempre a quei due gatti rimasti spagliati”.
Si sentiva spaiata anche Lina, un gatto nero, ma quella era un’altra canzone meno allegra che non riusciva a calmare Pietro.
Rimasero un paio d’ore fuori. Ciro sparito come al solito. Salvo che insieme a Concetta e alle sue amiche alla corda. Maria seduta accanto alla porta a riflettere in silenzio su chissà cosa e Rosalia cui infondo era finita peggio. Un bambino di due anni che ha già preso la poppata si addormenta in fretta. Un moccioso di 4 dopo il pasto recupera energia e Giovanni andava trotterellando di qua e di là inseguito dalla sorella stremata, che prendeva sempre troppo sul serio tutto, per cui proprio non le riusciva di giocare.
Rientrati i casa Papà russava nel letto. Lina poggiò Pietro che già dormiva da un pezzo nel lettone dei genitori. Dal bagno si sentiva il rumore dell’acqua del Bidet. Mentre la vasca già si riempiva. La Mamma sarebbe rimasta chiusa in bagno un’ora buona. Lina cominciò a sparecchiare con accanto Salvatore a darle una mano. Aveva occhi così dolci, così neri, così feriti. A Lina piaceva tanto era decisamente il suo fratello preferito. Mentre Lina si mise al lavandino Salvatore gli porgeva i piatti. Giovanni s’era messo davanti la TV e Rosalia finalmente si godeva un attimo di tregua.
Non credete mai, nemmeno per un solo minuto che in una famiglia così numerosa i poveri genitori facciano tutto da soli.
I figli della povertà sono da sempre braccia, che mangiano soltanto se si muovono abbastanza e abbastanza in fretta per sfamare tutti gli altri. I figli maschi avrebbero dovuto lavorare il prima possibile, le figlie femmine sposarsi il prima possibile.
I maschi avrebbero dovuto portare soldi in casa il prima possibile e le figlie femmine smettere di sottrarne pesando nelle tasche di altri maschi il prima possibile. Questo era il mondo allora, questa la legge. Non c’era scelta. Ma Lina ancora non sapeva, non immaginava. Aveva solo sei anni, ma già lavava e stirava in casa al posto di una madre sempre incinta. Si occupava dei fratelli più piccoli come fosse la loro Mamma e qualche volta riusciva ad essere una bambina.
Salvo era goffo, era timido, ma aveva già 13 anni.
Per lui era finita l’infanzia e toccava fare il suo dovere, toccava essere un uomo. Ma che uomo? Come il padre sempre pronto a posare il seme ove proprio non serve o come il fratello maggiore di cui leggeva tutto il disprezzo? Che uomo essere? Il genere di uomo che risolveva tutto a pugni, di quello che picchiava le mogli? No a Salvo tutto questo non piaceva, passava il tempo con Rosalia con Concetta già abbastanza grande per commentare di uomini e futuri spasimanti.
Giocava in cortile come poteva, ma mai a pallone con gli altri e per il resto taceva. Lina però adorava quei silenzi, trovavano posto nei suoi. E poi il silenzio in quella casa era un momento raro. Stava ore insieme a Salvo senza parlare, senza dire una parola, faceva cose, guardava cose o gli appoggiava la testa sul petto e s’addormentava.
Lina con Salvo poteva tornare bambina e solo con lui in quella famiglia.
A sei anni era già mamma dei fratelli più piccoli e consolava il papà come fosse stata una moglie. Finito di pulire i piatti Salvo e Lia si misero nel divano di fronte al tavolo da pranzo insieme agli altri. La Tv era stato un lusso concesso da Ciro. C’erano pochi canali, pochi programmi e questo tuttavia rendeva molto più semplice mettere d’accordo tutti.
La mamma finita la doccia entrò in camera da letto. Avrebbero continuato? Si sarebbe addormentata? A chi vuoi che importasse in quel momento. Era cominciato il Quiz. Tutti sognavano di arricchirsi in quel modo tanto semplice. Eppure la domanda teneva in suspence tutti “Lascia o raddoppia?”. Li si che era difficile decidere e partivano i dibattiti. Lì persino Salvo proferiva parola. Fosse per lui avrebbe sempre lasciato, non amava il rischio.
Le donne erano invece sempre per il raddoppia.
Loro sognavano mariti migliori dei loro padri, cavalieri nuovi pronti a salvarla, ma soprattutto ricchezza. Erano gli anni del boom economico, della povertà estrema, ma anche del sogno di una vita nuova. Dopo il programma si faceva la fila per andare in bagno. Si andava anche due per volta. Atto piccolo e atto grande non importava. Si commentavano gli odori di ciascuno. Le sorelle erano tutte già abbastanza grandi per aver maturato il senso del pudore ed entravano sole. Lei ne aveva soltanto sei e stava in bagno con Rosalia e Giovanni nell’ultimo turno. Gli organi genitali erano tutti fatti per far venir fuori cose non certo per accoglierne a quel tempo.
Si andava a nanna tutti assieme. Con lo stomaco che brontolava, perché no, non vi ho omesso di raccontarvi la cena, semplicemente non c’era. Sopratutto la domenica quando il pranzo veniva allungato fino al pomeriggio ed era più abbondante.
Non chiedete a Lina tuttavia come si facesse a dormire in dieci in un’unica stanza.
Si dormiva ad incastro, con piedi sulla testa e braccia sulla pancia. Una cosa però non mancava il contatto fisico. Lina si abbracciava alla sorella Rosalia nel lettino accanto a quello di Mamma e Papà. Maria e Concetta dormivano in un divano letto a parte messo in cucina (erano già “signorine”). Salvo aveva preso il posto di Ciro ai piedi del letto e Giovanni e Pietro nel mezzo tra mamma e papa.
Il punto era proprio quello occorreva sbrigarsi. Sbrigarsi a trovare marito per liberare posti letto. Salvo era già abbastanza grande e nessuno glielo diceva con chiarezza, ma avrebbe dovuto seguire le orme di Ciro e rendersi autonomo il prima possibile.
La notte tuttavia calò quella domenica e Lina si abbracciò insieme ai suoi pensieri. Pensava al gioco dei sassi, ai suoi amici e quello che avrebbe fatto il giorno dopo. Pensava, vedeva immagini e s’addormentava di colpo.
Lascia un commento