La verità come equità e giustizia
La verità è una storia d’amore tra l’anima e il suo mondo. E’ un racconto dove ciò che conta è la vicenda senza posa dei due amanti, che un po’ si appartengono, un po’ si contrappongono. Se i due infatti si appartenessero soltanto non potrebbero mai incontrarsi – essendo un unica e medesima cosa, e se si contrapponessero soltanto non potrebbero di nuovo incontrarsi, dacché in tutto mancherebbero d’interesse l’un l’altro.
La verità non è quindi un attributo dell’oggetto, né la posizione trascendentale del soggetto, meno che mai è un possesso. E’ piuttosto il sentimento della reciproca appartenenza dei due amanti, che sono solo allorquando si corrispondo (quindi non si appartengono, né contrappongono).
Solo l’anima si innamora e si innamora del bello. Nella sua ricerca della verità, l’anima è dunque mossa dal sentimento della meraviglia, quello stato di agitazione e insieme irrequietezza che la spinge a investigare sulle cose, finché non trova in esse la ragione del suo chetarsi, non trova in esse ciò che gli corrisponde: “Se dentro l’anima tu fossi musica, se il sole fosse dentro te, se fossi veramente dentro l’anima mia, allora sì che udir potrei, nel mio silenzio il mare calmo della sera, Quell’immagine di te, così persa nei miei occhi mi portò la verità, ama quello che non ha l’amore mio” (A. Boccelli, il mare calmo della sera).
La corrispondenza tra l’intelletto e le cose
Questa particolare relazione era definita da San Tommaso come “adequatio” (adeguamento), imponendo con la celebre definizione “adequatio rei et intellectus”, che potremmo appunto rendere con “La corrispondenza tra l’intelletto e le cose”. L’adeguare è l’atto del rendere “aequus” (unito, uguale), dal greco “eikòs” (simile) e “ieka” (uno). La verità era dunque per San Tommaso ciò che rende i due una sola cosa, non secondo legge universale, ma secondo natura. In modo semplice l’intelletto e le cose non si adeguano tra loro perché “forzate” da una legge, ma perché è nella loro natura incontrarsi, corrispondersi a vicenda. Come l’anima incontra il bello e di questo si innamora, così meravigliata dal mondo lo rincorre nei suoi sogni d’avventura che chiama conoscenza.
La rivoluzione moderna sulla verità
La verità per San Tommaso sana quindi la scissura tra l’anima e il mondo, ripristinando l’unità originaria. Se è pur vero che per il Santo non è all’uomo che spetta ricongiungere gli opposti ma all’alto fattore, resta il fatto che la verità, almeno nelle intenzioni, è intesa come un rendere equo, una ricerca costante di equilibrio, bella armonia, e corretto giudizio.
Solo la modernità, che separò le cose terrene da quelle divine, può fraintendere questa visione della verità rilevando in essa le origini della sua storia. La scienza moderna pur di emanciparsi dalle proprie premesse teologiche restringe la prospettiva sul mondo e non potendo indagare che sulla sola causa efficiente, sottrae alla definizione di verità la sua naturale connessione con il “bello” e il “giusto” (scissione).
La verità smette allora di essere la bella armonia degli opposti, il giusto, l’equo, il momento nel quale l’indiviso (spirito, anima, Dio) risorge, per ridursi a ricerca delle interconnessioni tra le cose. La costanza di queste connessioni viene intesa poi come nuova “universalità”, elevata al rango di legge, non più norma dello spirito, ma regolarità matematica.
La non libertà dell’evidenza scientifica
Gli eventi vanno quindi incasellati all’interno di una legge che bisogna possedere come “ipotesi” prima di arrivare alle cose. V’è di più gli eventi possono confermare la nostra ipotesi solo a patto che vengano predisposti, ancora una volta preordinati, rispetto alle cose che accadono spontaneamente.
L’esperimento scientifico non è la semplice osservazione delle cose, che sono libere di porgersi al nostro sguardo, ma è l’incarcerazione dell’evento dentro parametri misurabili e schemi ripetibili. L’intelletto vede adesso solo ciò che è in grado di misurare e rendere oggettivo nel senso di verificabile. Tutto il resto è declassato a coincidenza, superstizione, buon gusto o semplice credenza popolare.
Con questo slittamento dal concetto di “verità” come attributo condiviso tra l’Io e il mondo, al “verificabile” come processo affidato saldamente nelle mani dell’Io, la modernità cede alle smanie di dominio e sopraffatta dalla sua ansia di controllo trasforma la storia d’amore in schiavitù. Adesso le cose parlano solo se interrogate, rispondono con leggi universali e tacciono per tutto il resto del tempo.
Il silenzio della Natura incarcerata nella legge
In questo silenzio siderale l’anima non più connessa al suo mondo perde altrettanto in fretta la sua indipendenza. E’ presto ridotta a insieme di processi preordinati, filamenti neuronali, connessioni sinaptiche e siti recettori. La sua storia singola viene reificata in un racconto statico chiamato “evoluzione” prima della “specie” e poi della singolarità sua propria. Lo sviluppo della civiltà prevede delle tappe come pure quelle della singola individualità. Processi ontogenetici e filogenitici sostituiscono il racconto biblico nel quale Dio semplicemente “disse” e le cose furono.
Le “pulsioni” sono adesso il motore dell’attività umana, il cervello è il nuovo organo posto al centro di comando (come prima la divinità era su di lui), la legge della sopravvivenza è il nuovo imperativo categorico. Come dall’Uno indeterminato nacquero la molteplicità delle cose, dall’istinto di sopravvivenza del singolo e conservazione della specie occorre adesso far discendere tutto. Una nuova teologia prende il posto della vecchia, il suo nome è evoluzionismo e i suoi figli materialismo e psicoanalisi.
La psicologia e l’uomo moderno
La psicologia che pure conserva in seno al suo nome (scienza dell’anima) l’antico segreto, festeggia il suo ingresso nell’alveo della scienza, portando in pegno le vestigia del mondo indiviso, la pelle scuoiata del sé. Come il mondo era stato ridotto a processi oggettivabili , la psiche viene ridotta a processi neurofisiologici o ad un racconto che è stato già scritto prima di lei (eziopatogenesi).
L’uomo viene privato della sua origine divina e liberato dal suo peccato originale. Se rispetto alla perfezione del Dio soffriva perché poteva solo desiderare il bene, senza mai realizzarlo, adesso, posto accanto alla scimmia festeggia la sua grandiosità. Adesso non pecca più, ma segue gli istinti in lui naturali, ancorché inconfessabili. Il “rimosso” prende il posto del “peccato”, il lettino quello del confessionale, lo psicanalista, quello del prete cui si confessa, la guarigione quello dell’assoluzione.
Tutto quel che non sappiamo lo sapremo dice la scienza (per cui al momento occorre accontentarsi), tutto quel che vogliamo presto lo otterremo (per cui al momento occorre accontentarsi): questo dice la scienza all’uomo: bisogna accontentarsi.
La filosofia e l’approccio umanistico
Per chi come me ha studiato filosofia e sospinto da quella sensazione di meraviglia e solitudine non può che ammalarsi l’anima, sopraffatta dall’arroganza del suo stesso mondo, insoddisfatta nella sia fame di bellezza, rinchiusa perché incapace di connettersi con l’anima del grande mondo.
“Il discorso sull’anima” che possiamo ancora chiama “psico-logia”, resta quello che è sempre stato il discorso filosofico: momento riflessivo della ragione che pensa se stessa, nella sua ricerca di unità.
La vita è un equilibrio precario, un camminare come funamboli cercando con ogni sforzo di non cadere nell’abisso. E’ uno sforzo costante di “sottrarre” al caos momenti di quiete. Mi chiedi ancora che cos’è la verità dunque?
La verità è un respiro a pieni polmoni, quando le correnti dell’anima si sono acquietate, una storia d’amore che può non essere corrisposto
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