Le persone sedute attorno al tavolo erano magre, dall’aspetto livido e malato. Avevano tutti l’aria affamata. Avevano dei cucchiai dai manici lunghissimi, attaccati alle loro braccia.Tutti potevano raggiungere il piatto di cibo e raccoglierne un po’, ma poiché il manico del cucchiaio era più lungo del loro braccio, non potevano accostare il cibo alla bocca. Il sant’uomo tremò alla vista della loro miseria e delle loro sofferenze. Dio disse: “Hai appena visto l’Inferno”. Si diressero verso la seconda porta. Dio l’aprì.La scena che l’uomo vide era identica alla precedente. C’era la grande tavola rotonda, il recipiente che gli fece venire l’acquolina.
Le persone intorno alla tavola avevano anch’esse i cucchiai dai lunghi manici. Questa volta, però, le persone erano ben nutrite e felici e conversavano tra di loro sorridendo. Il sant’uomo disse a Dio: Non capisco! E’ semplice, rispose Dio, dipende solo da un’abilità. Essi hanno appreso a nutrirsi gli uni gli altri, mentre gli altri non pensano che a loro stessi.
Se essere altruisti conviene siamo semplicemente stupidi?
Il racconto di Mahatma Gandhi ha una potenza comunicativa immensa. Spiega in maniera rapida e veloce ciò che viene descritto in termini di Paradiso e Inferno, di benessere o malessere generale. In un altro post abbiamo già chiarito in che senso si possa solo parlare di salute pubblica.
Potremmo certamente individuare un interesse alla collaborazione reciproca che può valere soltanto se tutti i partecipanti al “gioco” si fidano l’un, l’altro. Nell’immagine dell’inferno e del paradiso è chiaro che ciascun individuo non può nutrirsi da solo, ma può nutrire tutti quelli che gli stanno di fronte. Ciascuno può impedire all’altro di attingere al cibo, ma non può usufruirne egli stesso. Egli deve “scommettere” sull’altrui generosità, dando per scontato che la mossa più conveniente per lui sia la propria di generosità. L’esempio proposto dalla fiaba è in realtà poco idoneo. La mossa altruistica infatti è quella che permette a tutti di vincere senza che nessuno tragga un reale svantaggio dall’aiutare il prossimo. Insomma la scommessa alla ceca in questo caso diventa particolarmente semplice. Perché non provarci almeno?
Quello proposto è un esempio estremo di “inferno”. Una situazione per la quale senza nessuna ragione gli individui anziché collaborare si ostacolano a vicenda. E’ anche la visione del Gandhi, profetica ed “irragionevole” nella sua forza comunicativa. Nell’esempio proposto la correlazione tra interesse del singolo e benessere della collettività è troppo evidente per essere sottaciuta. Non sto sostenendo che le cose realmente non vadano proprio così. Se si pensa che nel mondo vengono buttate 4.000.000.000 di tonnellate di cibo ogni anno, viene proprio da chiedersi cosa costerebbe sfamare tutti. Costa probabilmente il rapporto di potere. Paesi dove tutti gli abitanti fossero con la pancia piena, sarebbero probabilmente paesi dove si ragiona e si pensa… meglio tenerli impegnati nella ricerca di un tozzo di pane allora.
Il dilemma del prigioniero
Quello che sto dicendo è che il racconto proposto da Gandhi non rende conto a sufficienza della complessità del sistema, ne amplifica soltanto la paradossalità. Esistono dunque dei modelli più idonei. Particolarmente famoso è il dilemma del prigioniero. Si immagini uno scenario nel quale ci sono due due prigionieri entrambi complici dello stesso reato. I due sono isolati reciprocamente e possono confessare o non confessare. Viene detto a ciascuno di loro che se confessa non sconterà la pena mentre l’altro pagherà la pena massima di 10 anni se decide di non confessare. Se anche l’altro dovesse confessare il reato entrambi invece sconterebbero una pena ordinaria di 5 anni. Non confessando nessuno dei due infine la polizia non avrebbe prove sufficienti per addebitargli i reati commessi. Entrambi si limiterebbero a scontare 1 anno per reati minori.
La mossa “altruista” del non confessare è quella che se applicata reciprocamente dà evidentemente il risultato migliore. Come nell’esempio del racconto do Gandhi se ci si aiuta a vicenda si paga un piccolo sacrificio, ma tutti stanno meglio.
La mossa “egoista” è quella che solo apparentemente conviene di più. E’ infatti quella che dà come possibilità il non scontare la pena, ma come contropartita 5 anni.
La differenza rispetto alla situazione precedente è tuttavia notevole. Aiutando l’altro in questo caso si rischia di essere fortemente penalizzati se l’altro non fa altrettanto. La situazione peggiore in assoluto, infatti, è quella nella quale l’uno confessa e l’altro no. In questo caso la pena salirebbe per chi non ha confessato a dieci anni, mentre l’altro sarebbe libero.
La morale della favola (quella vera)
E’ evidente che se i due prigionieri si fidano reciprocamente otterranno la miglior soluzione per entrambi. Dovrebbero entrambi scontare un solo anno per reati minori. Questa situazione è dunque la più conveniente per la collettività. Rappresenta tuttavia anche la più precaria. La condizione dello realizzarsi infatti è che ciascuno sia convinto che l’altro non lo tradirebbe mai. Questa però è l’esatta ragione per la quale ognuno potrebbe decidere di confessare, tentato dal fatto di non dover così scontare alcuna pena. In altre parole la buona fede dell’altro è ad un tempo la condizione per la collaborazione, ma anche quella che permette la mossa egoista. Il dilemma del prigioniero spiega molto meglio di quello proposto da Gandhi il perché nonostante potremmo renderci felici l’un l’altro preferiamo renderci la vita un inferno.
Risponderemmo in modo altruistico soltanto se avessimo la certezza che l’altro faccia altrettanto, oppure soltanto se fossimo di disposti a sacrificare noi stessi pur di non mettere in discussione il senso di comunità. “L’inferno sono gli altri” diceva Sartre, a sottolineare come sia l’esistenza stessa dell’altro a costituire un rischio, una sofferenza, una fine.
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Francesco Iervolino says
Riflessione illuminante come sempre!
Alessio Farina says
Grazie questa l’ho scritta qualche anno fa. L’ho solo riadattata