Impasto quando fa caldo: panificare d’estate

 Il periodo estivo, quando fa caldo, è senza dubbio molto problematico per il nostro impasto. La panificazione domestica non ha infatti strumenti professionali in grado di standardizzare i processi. Il risultato è che occorre panificare con le temperature che si hanno in casa qualunque esse siano.

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Mentre in inverno è piuttosto semplice dar caldo all’impasto sfruttando un banale cavetto riscaldante e una presa con termostato, d’estate è piuttosto complicato raffreddare e quindi panificare. Ricordo infatti che superati i 24 gradi ogni grado in più aggiunge un’attività fermentativa dello 8-12%. D’estate quindi:

L’impasto con alte temperature: quali sono i problemi?

Bene buttati giù così alla buona i punti essenziali vediamo di capirci da un punto di vista pratico. Do infatti per scontato che non avrete una cella di lievitazione in casa che vi permetta di abbassare le temperature di gestione tanto della pasta madre quanto degli impasti.

Mentre a livello domestico è sufficientemente semplice scaldare le celle con cavo riscaldante e presa con termostato, l’unica via che abbiamo per raffreddare gli impasti e standardizzare le temperature d’estate è il frigo. Quest’ultimo tuttavia non è una cella di lievitazione, sopratutto d’estate fa molta fatica a raffreddare e riportare a temperatura la camera ogni volta che viene aperto. Come comportarsi allora?

Abbiamo discusso qui degli effetti delle temperature sull’attività enzimatica=>

L’equilibrio della pasta madre

Più volte vi ho parlato di questo concetto di equilibrio, che preferisco rispetto a quello di forza lievitante”quando si parla di pasta madre. Va da sé che una pasta madre con un corretto equilibrio batteri – lieviti (100:1), acido lattico – acido acetico (3:1), sia anche una pasta madre in spinta, quindi dalla corretta forza lievitante.

Ragionare tuttavia sui microorganismi e sui loro metaboliti ci aiuta meglio a capire nel frattempo cosa succede alla madre, molto più che ragionare sulla sua forza lievitante. Va da sé infatti che una pasta madre squilibrata sarà o troppo debole o troppo forte. Ho parlato di come bilanciare la pasta madre qui.

In questo articolo volevo piuttosto dedicarmi alla questione delle temperature, niente affatto secondarie nella gestione della pasta madre. Prima di capire perché il caldo ed in particolare temperature sopra i 28 gradi possano causare problemi, vediamo di ricordare brevemente (lo giuro) cosa abita la nostra pasta madre.

I lieviti nell’impasto

Parleremo in generale di lieviti (Candida milleri, Candida holmii, Saccharomyces cerevisiae, Saccharomyces exiguus ecc.) senza preoccuparci molto di loro (poveretti), ma sapendo che proprio loro in fase di fermentazione sono i principali responsabili dell’aumento di volume degli impasri. Questo perché producono la maggior parte dei prodotti volatili (anidride carbonica e alcol) che restando intrappolati nella maglia glutinica ne causano il rigonfiamento.

Questo vuol dire che una pasta madre che NON ha un basso potere lievitante, ha certamente uno squilibrio nel rapporto batteri-lieviti. Detta alla buona stanno lavorando troppo i batteri e poco i lieviti. La cosa può succedere per varie ragioni, alcune legate al ph troppo alto o troppo basso, altre legate alle temperature, di nuovo, troppo alte o troppo basse.

I batteri dell’acido lattico nell’impasto

Dentro questa definizione entrano davvero un mucchio di microorganismi anche molto diversi tra loro. I batteri dell’acido lattico (LAB, Lactic Acid Bacteria) sono catalogati in mille modi. A noi occorrerà piuttosto sapere COSA producono e a quali condizioni. Dalla loro attività dipenderà infatti il famoso equilibrio lattico-acetico di cui tanto si parla a proposito di pasta madre. Sono questi infatti i due metaboliti più importanti per la panificazione. I LAB vengono perciò distinti in:

Il gruppo degli omofermentanti

obbligati comprende microrganismi che fermentano gli esosi (glucosio, fruttosio ecc.) con produzione di solo acido lattico (L. delbrueckii, L. acidophilus, L. helveticus e L. mali, ecc.).

Il gruppo degli eterofermentanti facoltativi

(L .plantarum, L. casei, L. paracasei, L. pentosus, ecc.) è costituito da lattobacilli che come quelli di prima formano acido lattico per fermentazione degli esosi, ma in carenza di zuccheri sono anche in grado di produrre acido acetico (oltre che etanolo e acido formico). Fermentano inoltre anche i pentosi (Ribosio, Xilosio, ecc.) con produzione di acido lattico e acetico.

Il gruppo dei lattobacilli eterofermentanti obbligati

(L. fermentum, L. brevis, L. collinoides, L. hilgardii, L.fructivorans) fermentano anche loro gli esosi (come tutti gli altri) con formazione di acido lattico, acido acetico (o etanolo) e anidride carbonica. Fermentano anche i pentosi con produzione di acido lattico.

Cosa fanno i batteri dell’acido lattico

Per farla semplice ci occorre sapere che alcuni batteri producono SOLO acido lattico (gli “omo”), altri producono un po’ di tutto (gli “etero” obbligati), altri invece fanno un po’ come gli pare sotto certe condizioni (gli “etero” facoltativi, o bisex dell’acido lattico). In tutti i casi una fermentazione dove eccede l’attività metabolica dei batteri sarà poco voluminosa perché saranno pochi i metaboliti volatili prodotti (etanolo e anidride carbonica).

Quello su cui però è importante focalizzate l’attenzione è che tanto della resa dipenderà proprio dai ceppi batterici che si sono innestati nella coltura. Ogni pasta madre è una storia a sé. Sarà la vostra storia e il vostro pane. Più è casereccio e meno somiglia a tutti gli altri, più standardizzate i processi più verrà fuori un prodotto simile a tutti gli altri. In linea di principio sarebbe meglio avere più batteri eterofermentanti obbligati possibili. Non solo perché producono di tutto, ma anche perché sono quelli che meglio stabiliscono sinergie con i lieviti.

Gli omofermentanti d’estate

Fatta questa breve parentesi doverosa quanto mai noiosa, occorre solo sapere che gli omofermentanti sono i peggiori coinquilini della storia. Quando dominano la scena tendono ad inibire tanto il metabolismo degli eterofermentanti, quanto quello dei lieviti. Producono quasi essenzialmente acido lattico e resistono fino a temperature di 45 gradi. Superati i 28 gradi saranno proprio loro i ceppi batterici ad essere maggiormente stimolati. Vengono però stimolati anche dalla presenza di fibre e dall’acqua, oltre che da Ph un po’ più alti della soglia di sicurezza (5.2-5.4).

Un impasto con farine di grani antichi ricchi è ricco di fibre, più idratato e ha già processi metabolici accelerati al suo interno, aggiungendo anche il caldo… cosa mai potrebbe andare storto?

Una pasta madre sbilanciata ci darà un impasto sbilanciato.

Avremo un aumento di produzione di acido lattico e una inibizione dell’attività dei lieviti. Avremo anche una stimolazione dell’attività proteolica, la quale a sua volta danneggerà la maglia glutinica. Ragionate inoltre sempre sul fatto che un rinfresco è solo un impasto fatto con il 50% di lievito madre per cui quello che vale per la pasta madre, vale poi anche per l’impasto che andremo a fare con il caldo.

D’estate quindi, facendo i soliti rinfreschi ripetuti per dare forza alla pasta madre, sbilanceremo comunque verso il lattico proprio per il caldo. Mentre cioè a temperature esterne comprese tra i 16 e i 21 gradi e interne all’impasto di 26-27 gradi, il lievito lavora in modo ottimale, oltre quella soglia la temperatura giocherà contro di noi.

In poche parole sia pasta madre che impasti avranno un eccesso di “omo”, visto che gli “etero” come detto hanno range di temperatura ottimali inferiori. Capite adesso perché sentite sempre “chiudere gli impasti ad una temperatura di 27 gradi?”, oppure “raddoppia in 4 ore a 27 gradi?”. I “bisex”, gli eterofermentanti facoltativi, producono anche loro quasi solo acido lattico, ma sono meno aggressivi con i loro coinquilini. Cosa fare dunque?

 

La pasta madre d’estate

La prima cosa è preoccuparsi della pasta madre. Occorre infatti che questa non sviluppi un eccesso di acido lattico. Come ho più volte detto invece un eccesso di acido acetico può persino risultarci utile SE SI USANO FARINE DI GRANI ANTICHI IN PUREZZA.

Qual ora come me usiate l’esubero il problema si porrà poco. Io in genere rinfresco, tengo due ore fuori frigo, poi sbatto dentro e riprendo la pasta madre poco prima di panificare. Una pasta madre tirata fuori da frigo avrà necessariamente un equilibrio più acetico, questo perché lieviti e batteri lavorano in modo diverso al temperature basse. Anche così tuttavia la pasta madre estiva avrà un bilanciamento meno efficace rispetto a quella invernale.

Il frigo NON E’ UNA CELLA DI LIEVITAZIONE, d’estate è meno efficiente nel raffreddare, mentre dalla’ltro lato per via del caldo chiuderemo comunque l’impasto a temperature più alte. Per lavorare con gli esubero serve dunque occhio, onde capire dove si trova la pasta madre e correggere il tiro. La teoria vuole allora che si lavori con una pasta madre rinfrescata, ovvero, bilanciata correttamente. Vediamo dunque come procedere.

1) Regolarizzare la temperatura di chiusura degli impasti (27 gradi) utilizzando acqua fredda di frigo.

Effettuare un rinfresco preparatorio notturno, quando le temperature sono in genere più basse. Se avete 16-18 gradi gradi la pasta madre potrà sostare 16 ore, dopo comincerà ad inacidire. Fino a 21 gradi potrete comunque lasciarla a temperatura ambiente, non verrà sbilanciata dal caldo, ma ovviamente ci metterà meno tempo a raggiungere il picco fermentativo.

Per questa ragione a seconda delle temperature sarà utile rinfrescare con una dose minore di pasta madre, dal 70 al 50% sul peso della farina (70-50 gr. per 100 gr. di farine e 47 ml di acqua). La dose giusta va individuata empiricamente e dipenderà anche dalle escursioni notturne. Ad ogni modo il principio è che mettendo meno pasta madre potrete arrivare a superare le ore notturne senza ritrovarvi al mattino un lievito madre sovra-lievitato. Mentre le temperature più favorevoli ne agevoleranno il corretto bilanciamento.

2) E se volessi invece bilanciare una pasta madre sbilanciata?

16 gradi e 16h è la condizione ideale per permettere al lievito di purificarsi dai microorganismi dannosi, non specifici, per via dell’elevata acidità che si viene a formare. E’ quindi anche una delle vie per riequilibrare la pasta madre se questa è sbilanciata (non la sola).

Se si è impossibilitati a tenere il lievito a 16 gradi occorre aiutarsi con il frigo: fino a 20-21 gradi lasciare a temperatura ambiente a temperatura ambiente con le accortezze di cui sopra, a 26 gradi lasciare a temperatura ambiente per 8h e terminare in frigo, a 32 gradi 4h a temperatura ambiente e resto in frigo, a 38 gradi 2h a temperatura ambiente e il resto in frigo.

Se volete dare forza al lievito madre con rinfreschi ripetuti dovrete procedere come da istruzioni finché la pasta madre non prende forza. Dovrete, vale a dire, ragionare sulle temperature esterne e procedere con una quota di lievitazione a temperatura ambiente e una in frigo. Questa è anche la ragione per cui lascio proprio perdere e la sistemo sempre a Settembre :).

Gli impasti d’estate

Non dimentichiamoci mai che tutto ciò che vale per la madre, vale anche per gli impasti, con la leggera differenza che mentre per la madre usiamo in genere una farina tipo 0 o 00, gli impasti li fate con farine di grani antichi, ovvero farine deboli macinate a pietra, che ci complicheranno ulteriormente la vita. Come detto in ogni dove infatti queste tendono già di loro alla liquescenza e all’iper-fermentazione.

Sempre procedendo per punti, occorre:

Generalmente la maggiore idratazione aiuta nelle farine integrali ad evitare l’effetto mattonella, ma fanno correre più in fretta gli impasti. In estate però, per i motivi detti, conviene stare più bassi con l’idratazione, visto che questa genera maggiori quote di lattico. Se partite da una integrale conviene anche misceliate l’impasto con una quota di semola rimacinata o tipo1 da banco (vedi ricette base). Il mix vi aiuterà a dare sostegno agli impasti che saranno anche più gestibili. In alternativa usate farine di grani antichi abburattate alla tipo 1.

Se non abbiamo temperature idonee?

Se sappiamo di non poter chiudere gli impasti a 27 gradi, perché anche utilizzando acqua fredda comunque scaldiamo troppo, occorre che mettiate a sostare l’impasto in frigo dopo averlo chiuso tra una piega e l’altra. L’impasto in questo modo dovrebbe portarsi sotto i fatidici 27 gradi. Sopporterà meglio le temperature esterne in fase di lievitazione. Mi raccomando però di non esagerate con il freddo, una maglia troppo rigida perché tirata fuori dal frigo potrebbe darvi illusioni sulla sua tenuta (appena riscalda torna come prima) e spingervi a fare pieghe meno strette.

Sempre parlando di frigo potrete anche optare per l’utilizzo del frigo per tutta la puntata (prima lievitazione) e a vostra scelta anche per l’appretto (seconda lievitazione). Se fate così però dimenticatevi di usare l’esubero. Serve una madre in spinta da rinforzare come spiegato prima, quando non aggiungere direttamente lievito di birra.

Infine se siete consapevoli di non avere una pasta madre in forma potrete optare per la lievitazione mista, ovvero, appunto aggiungere lievito di birra negli impasti. Il Saccharomycens cerevisiae è anche più stronzo degli omofermentanti e compete per il metabolismo degli zuccheri con i batteri, limitandone la riproduzione. Le lievitazioni miste sopporteranno meglio anche l’uso del frigo, stabilizzando la lievitazione e limitando la degradazione della maglia ad opera degli enzimi proteolitici di cui i LAB sono in genere eccellenti produttori.

Conclusioni

Mi spiace non dare mai risposte semplici alle domande che ponete. Mi rendo conto che “fai così” è più semplice da capire e che tante cose per quanto si possano semplificare risultano sempre un po’ ostiche. Per questa stessa ragione tuttavia si fa prima ad accettare il fatto che almeno a livello domestico il prodotto invernale è diverso da quello estivo e che in estate si ottengono dei risultati in inverno degli altri.

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