Pizza delle tre farine: ricetta e procedimento

Dopo tante sperimentazioni ho deciso di standardizzare alcuni procedimenti e risultati che trovo particolarmente belli. Questa l’ho chiamata la pizza delle tre farine. Nessuno in questo settore si inventa niente e men che meno io. 

Si tratta nei fatti di una rivisitazione della teglia alla romana, quindi di un impasto ad alta idratazione realizzato però con farine deboli e semi-integrali. La variante da me apportata alla classica ricetta dipende dal fatto che almeno nella panificazione non uso farina 00 e men che meno le farine tipo Manitoba. Queste sono farine di forza che permettono alte idratazioni e lunghe maturazioni, ma anche le meno indicate da un punto di vista nutrizionale.

COSA FANNO E COSA NON FANNO LE FARINE INTEGRALI => LEGGI L’ARTICOLO.

La pizza delle tre farine al contrario fa uso di un mix di farine meno raffinate e più deboli. Proprio per questa ragione l’altro vantaggio consiste nella possibilità di realizzare tutto in giornata. Avrei anche potuto chiamarla la pizza delle 8 ore. Farine deboli non hanno infatti bisogno di lunghe maturazioni.

Non è però una ricetta per principianti, come la teglia alla romana non è esattamente la più semplice delle pizze da realizzare. Si tratta piuttosto di una sfida estrema, perché fa uso di solo lievito madre e perché porta al 90% farine che di norma lavorano bene al 60%-70%. Chi non maneggia ancora bene i concetti di corda, forza della farina, idratazione cominci con la classica focaccia, modificando la ricetta nel modo che dirò in seguito. La ricetta è dunque versatile, adatta a tutti i livelli e non prevede l’uso di nessuno strumento particolare, se non le vostre mai e il forno.

 

Pizza delle tre farine: con che criteri sceglierle

Per la pizza delle tre farine, più che indicarvi delle farina in particolare, vi darà la logica con la quale comporla, per ottenere il mix  più efficace. La farina di base è la semola rimacinata, cui occorre aggiungere una tipo1 o tipo2 di grano tenero macinato a cilindri e infine una farina integrale macinata a pietra.

1 – Farina di semola rimacinata (50%).

La semola rimacinata ha delle caratteristi molto particolari. Può reggere le alte idratazioni e ha un glutine molto tenace che regge le lunghe lavorazioni, ancorché poco elastico. In compenso per le caratteristiche intrinseche del grano duro ha più fibra della sorella 00 e note aromatiche sicuramente più interessanti. Potete scegliere qualsiasi semola rimacinata presente in commercio, sono tutte panificabili e va usata in dosi del 50%.

2 – Farina di grano tenero (30%-45%)

L’altra farina deve essere pure lei una macina a cilindri. Meglio quindi che sia almeno una farina di tipo1  con una forza media (220-270W). Si tratta della ideale per pizza. Ultimamente si trovano in commercio diverse tipo1, prodotte dai grandi marchi. Io ho utilizzato quella della Molino Casillo, ma vanno tutte bene.  Se non avete indicazioni sulla forza della farina non preoccupatevi, correggere l’idratazione alla fine come vi spiegherò. Potete però usare anche una 0 (la classica ideale per pizza) o una farina di tipo2 con dosi diverse. Sarà questa la farina che ci darà il glutine che ci serve per dare elasticità ed estensibilità all’impasto.

2 – Farina integrale macinata a pietra (20%-5%) 

La farina integrale macinata a pietra va messo in una piccolissima percentuale, che varia a seconda della seconda farina che abbiamo scelto. La sua funzione è da un lato aumentare il numero di fibre dell’impasto, dall’altro migliorare l’attività enzimatica del mix in modo che l’impasto del complesso abbia note aromatiche intense e profonde. Va da sé che più è abburattata la prima farina e più alta dovrà essere la dose della farina integrale. Va quindi usata nelle seguenti percentuali:

Se invece optate per farine alternative quali orzo, farro, segale ecc. mettete sempre la dose minore 5%. Ricordatevi questa terza aggiunta non è la base del vostro impasto, funge da “miglioratore” naturale.

RICETTA PER LA PIZZA DELLE TRE FARINE 

 

 

 

Bene chiarito il modo con cui comporre il mix vi do subito le dosi per 500 gr. con le farine che ho utilizzato io:

Biga sulla farina di semola:

Utilizzando la pasta madre, parlare di biga è un non senso. Di fatto stiamo rigenerando la nostra pasta madre con la semola, ma non facciamo troppo i sofisticati. Per lasciare che la pasta madre si adatti alle farine e per facilitarne la lavorabilità procediamo con un pre-fermento con la sola semola.

Lasciate la pasta madre in acqua con una manciata di semola della ricetta per una mezz’oretta in modo che la pasta madre si rianimi. Date  un’impastata alla buona, preoccupandovi solo che tutti gli ingredienti siano mescolati in modo omogeneo (resistete quindi alla tentazione di incordare l’impasto). Attendete che cominci la lievitazione, serviranno circa un paio d’ore.

ATTENZIONE: Non aspettate il raddoppio perché altrimenti di fatto avrete ottenuto una pasta madre e sarà decisamente troppa per l’impasto. 

Autolisi sulla seconda farina.

Sempre nell’ottica di facilitarci il compito durante l’impastamento fate autolisi sulla sola tipo 1. Se è una macina a cilindri di quelle che si trovano come prodotto da banco avrà una forza tra i 220W e i 270W. Sono prodotte tutte con caratteristiche piuttosto standard. Non dico che una vale l’altra, ma quasi. Per assicurarsi che sia una macina industriale rivolgetevi ai grani marchi.

Anche in questo caso impastate soltanto finché gli ingredienti non sono tutti amalgamati senza incordare. Lasciate che il secondo impasto riposi insieme al primo.

ATTENZIONE: So che non sono le farine migliori che si possano consumare, ma il mix è pensato per ottenere certi risultati. La macina a pietra regalerebbe una grana comunque robusta di più difficile lavorazione e caratteristiche enzimatiche diverse. Mi riprometto di sperimentare una versione con sole farine macinate a pietra.

La terza farina 

Passate più o meno due ore si uniscono i due impasti si aggiunge la terza farina integrale (70 gr.) e circa 50 ml di acqua.  Darete una beve impastata. Se avete lavorato bene, noterete che l’impasto praticamente incorda da solo. Abbiamo così raggiungo un’idratazione iniziale del 60%, che è la base di lavorazione per qualsiasi impasto usi farine integrali. Volendo potreste fermarvi qui per realizzare una focaccia con lievitazione direttamente in teglia. L’impasto andrà spianato direttamente in teglia inoliandone il fondo. Si farà una sola lievitazione di almeno 6 ore lì. Volendo potete già inserire il pomodoro in modo che l’impasto non lo toccate proprio più

Noi però puntiamo alla romana e dovremo arrivare al 90%. Occhio quindi a come lavoriamo da qui in poi.

Spianate  l’impasto sul ripiano da lavoro e preparate una ciotola con 120 ml circa di acqua, che sarà la vostra massima idratazione 90%. A questo punto occorre mettere acqua poco per volta anche con il cucchiaio della mano. Lavorate l’impasto finché non avrà preso tutta l’acqua e non vi ritrovate il banco da lavoro pulito. E’ il segno che l’impasto s’è incordato. L’acqua all’inizio renderà liscio e setoso l’impasto aderendo alla superficie. Mano mano che impastate diventerà appiccicoso e poi tornerà di nuovo compatto e lavorabile.

Quello che vi mostro è un video su come procedere se impastate a mano. Non seguite la ricetta che do nel video, ma solo il procedimento.

Raggiunta una certa idratazione qualunque sia il modo con cui avete impastato sin qui dovrete per forza passare alla tecnica slap and fold (stira e sbatti). La consistenza dell’impasto somiglierà infatti ad una specie di blob, quindi molto gelatinoso, ma compatto, segno che comunque ha corda. E’ l’energia meccanica che crea il glutine, quindi sbattete in modo energico e convinto. Se il banco di lavoro non è pulito o se vedete che l’impasto non riesce più a prendere acqua fermatevi. Il rischio di lavorarlo senza un criterio è stressare la maglia e rovinare tutto.

Chiusura dell’impasto

Il sale va messo alla fine assieme all’olio. E’ quello il momento in cui consideriamo l’impasto chiuso. Quindi bisogna smettere di impastare energicamente e lasciare che l’impasto ormai incordato rinforzi la maglia con olio e sale. Giri di pieghe ogni mezz’ora e poi a lievitare fino all’aumento della massa di una volta e mezzo (circa 4/5 ore). Non fategli raggiungere il raddoppio, perché dopo la seconda lavorazione abbiamo ancora bisogna di stressare un’attimino l’impasto. Dopo lo staglio e la formatura dei panetti passate all’appretto, che dovrà comunque essere corto (2/3 ore circa). L’impasto è molto liquido, quindi anche questa seconda lievitazione va fatta in contenitori ben oliati.

Passate le due stendetelo in teglia (stesura alla romana). Inutile che mi dilunghi sulla tecnica, il web è pieno di tutorial e c’è gente molto più brava di me a spiegarlo.

Cottura

Per la cottura i primi sette minuti sul fondo con refrattaria a 270 gradi, chiusura con il resto degli ingredienti su cielo per altri 7 minuti.

Consigli

Di seguito alcuni consigli che possono esservi utili per la gestione di una lavorazione non semplicissima e con molti passaggi.

La pasta madre

E’ importante che lavoriate con una pasta madre in forma appena rinfrescata con una farina di forza tipo Manitoba. Quella farina non è per voi, ma per i batteri e i lieviti che ci servono vispi e in forza per spingere a dovere. Ricordiamoci che stiamo facendo una teglia alla romana che in cottura vuole spinta e il lievito madre tende a darne meno del lievito di birra. Non sottovalutate mai la gestione della pasta madre in tutte le ricette, da come la trattate dipenderà la resa del prodotto finale.  Quella che stiamo cercando è una lievitazione robusta, con un alveolo aperto ci serve perciò una pasta madre forte.  La farina Manitoba appena rinfrescata inoltre contribuirà ad aumentare la W del nostro impasto. Siate larghi di mano io ne ho usata una 400w che avevo per le mani mentre mi stavo esercitando sui grandi lievitati. 

L’acqua

L’acqua va sempre dosata rispetto alla farina che usate. La tecnica è sempre partire dal 60% e aggiungere poco per volta e soltanto dopo che la farina ha assorbito l’acqua precedente. Come già detto non aggiungetene mai più del previsto. Mettere troppa acqua sopratutto nelle fasi conclusive dell’impasto, quando abbiamo già spinto l’idratazione, può significare compromettere l’impasto.

La maglia glutinica l’avrete formata sin dall’inizio senza aver impastato troppo per il tipo di trattamento fatto in precedenza sulla farina (autolisi e biga). Il trucco è non perdere mai quella corda. Se notate che la maglia non ce la fa e proprio non ne può più di prendere acqua fermatevi. Meglio un impasto meno idratato che dover ordinare una pizza d’asporto la sera :).

Le pieghe

Terminata l’operazione avrete un impasto molliccio, ma ben incordato (che si stacca facilmente dal fondo). Sarò leggermente appiccicoso, ma dovrà comunque potersi staccare dal fondo. Quando fate le pieghe potrete aiutarvi con un po’ di farina in modo da asciugarvi le mani, ma non esagerate. Se ne state usando troppa è perché l’impasto non ha corda. Il riposo e le pieghe comunque sistemano tutto (o quasi).   Fatele ogni mezz’ora e nei casi più gravi mettete in frigo durante le pause. Il freddo aiuterà ad irrigidire la maglia.  Trattate l’impasto con molta delicatezza perché ha già cominciato la sua lievitazione.

Bene il risultato finale che dovreste ottenere è questo 🙂

 

Spero che la ricetta sia stata di vostro gradimento e che facciate ottime pizze in teglia alla romana coniugando però salute e gusto. Se avete dubbi, volete consigli, sarò lieto di fornirmi il mio aiuto. Contattatemi sulla mia pagina facebook.

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