L’adolescenza | le ripetizioni di scuola

Quel giorno avevo deciso di tagliarmi i capelli in un posto diverso. Tagliare qualcosa di me, per tagliare con la mia adolescenza, tagliare con il nero della notte che sin li mi aveva accolto e tormentato. Travolto dall’entusiasmo del mio compagno di classe Alfredo, mi ero persuaso a cambiare look, per cosa? Ottenere i baci che sin lì non avevo dato.

Ero così entusiasta all’idea di potergli somigliare. Potevo diventare come lui, essere tutto quello che non avevo mai saputo. Da qualche parte occorreva pur cominciare. Il taglio dei capelli era il gesto più semplice.

Ricordo ancora quella notte. Il misto di euforia e preoccupazione che attende i grandi eventi. Ero riuscito a dormire al più qualche ora. Mi ero messo nel divano per non scombinare i capelli. Due camice di colore diverso, una bianca e l’altra nera in modo che apparissero in un contrasto di colori le maniche e il colletto. Occhiali da sole sulla fronte anziché sul viso. A pensarci probabilmente dovevo sembrare un manichino con dei pezzi buttati sopra a caso.

Non ho mai capito cosa fosse

Non ho mai capito se fosse più la voglia di essere qualcun altro, la necessità di coprire chi fossi o l’estremo interesse che avevo per questo compagno. Capivo che mi aveva instradato in modo diverso lungo un sentiero che avevo provato a percorrere per anni senza grossi successi.

Il brutto dell’adolescenza è il sesso. L’attivazione esplosiva del desiderio cambia la visione del mondo, cambia il tuo corpo. Dovremmo essere come i serpenti, con una pelle sopra che ci togliamo non appena tutto è finito, invece no, tutte le nostre trasformazioni sono di pubblico dominio. Cambia la voce, crescono i peli in viso, compaiono le prime puntine e tutti sanno che hai cominciato a masturbarti.

Compare per la prima volta quel desiderio ossessivo, quell’appagamento così facile da ottenere e tuttavia così effimero e difficile da trattenere, così pieno di vergogna.

Questa però non è la fase più tragica, non per me almeno. La prima adolescenza è infatti ancora rivolta in qualche modo a se stessi. Accadono le prime cotte, per qualcuno i primi incontri, ma la partita si gioca facile. C’è qualche uscita, i più fortunati riescono ad accedere al corpo dell’altro, a chiedere e ottenere i primi baci. Il più delle volte finisce però con un due di picche, si finisce con il discuterne tra amici.

L’oggetto d’amore desiderato infondo è desiderato da tutti e questo crea squadra, solidarietà, confronto e in qualche caso anche intimità. Come succede in una corsa infondo all’inizio si è tutti fermi sullo stesso punto, solo man mano che la competizione ha inizio qualcuno si trova più avanti e qualche altro indietro.

L’adolescenza e i baci non sono stato io a dare

I veri problemi cominciano dopo, quando si esce dal guscio, quando il desiderio sessuale è stanco di autoappagamento ed esige l’incontro reale. Ognuno di noi infondo prima dell’adolescenza crede di essere speciale. Crede di essere unico. Nessuno da bambino si pone il problema di essere bello o brutto. Piace la mamma, trova il papa forte e coraggioso e infondo è pur sempre il principino di casa. Tutto ha un suo equilibrio.

L’adolescenza porta con sé la necessità di confrontarsi con l’altro per davvero, di piacere o non piacere. Cala in qualche modo nel reale e costringe a ridimensionare le nostre pretese. Non è tutto come vorremmo, non basta piangere o strillare per essere accontentati, non funziona immaginare perché divenga reale

Cominciata l’adolescenza, cominciano i primi rifiuti, i primi no che non educano o rimproverano, ma dipendono unicamente dall’arbitrio di qualcun altro sul quale non abbiamo alcun controllo.

Ricordo ancora la prima delusione amorosa. Mentre il mio amico riempiva di baci la sorella, io stavo lì a sentirmi inferiore, rifiutato, inadeguato.

Cominciata l’adolescenza cominciò quel senso di frustrazione, insieme al dolore del sentirmi diverso. Ero più intelligente, andavo bene a scuola ed ero sempre stato il preferito da maestre e professori. Ero abituato insomma ad essere il primo in un mondo le cui regole le comprendevo. Quel mondo lì tuttavia non lo capivo, né avevo strumenti idonei per competere.

Nudo di fronte all’amore

I miei vestiti erano sempre quelli. Erano regalati da qualcuno o comprati per pochi spicci. Erano condivisi con i fratelli. Un paio di scarpe arrivava a durarmi anche un anno, sempre lo stesso e due o tre paia di pantaloni.

Le uscite erano centellinate e i capelli tagliati dal padre. Insomma avrei dovuto essere oggettivamente bello. Avrei dovuto essere palestrato, almeno vestito bene, o al più inserito nella giusta comitiva in modo da stare al passo con i tempi. Invece capivo di lettere e matematica, ascoltavi Branduardi e non ascoltavo la musica “commerciale” tanto in voga in quegli anni.

Ignoravo la ragione per la quale occorreva dimenarsi come pazzi al ritmo di musica. Non capivo che piacere ci fosse a stare ammassati come sardine e sudaticci. Di muovermi a tempo non se ne parlava e comunque pare avessi sempre un bastone appeso su per il culo. Però invidiavo tanto, questo lo ricordo bene. Invidiavo gli altri ragazzi, la loro bellezza, la loro capacità di stare in quei contesti e adoravo il copro della donna muoversi a ritmo di musica. Invia e senso di inferiorità erano le parole chiave della mia adolescenza.

Fatto sta che non avevo nessuna chance di arrivare dove volevo. Ero stato lì a dimenarmi per anni, avevo ottenuto un primo bacio rubato ad una ragazza che neanche mi piaceva. L’avevo lasciata in malo modo, pieno di sensi di colpa.

Avevo instaurato con una compagna di classe una relazione epistolare durata otto mesi (OTTO). Alla fine ero anche riuscito a stare con lei. Furono pieni di sale i suoi baci. Era una ragazza bellissima e molto ambita, il fatto di riuscire a stare con lei mi aveva fatto guadagnare punti, per un po’ almeno. La storia tuttavia era stata pompata troppo, troppe aspettative s’erano create in quel momento. Promesse di amore, di legami duraturi e tutte altre cose a cui non ero pronto.

Insomma sapevo come legarmi ad un certo tipo di donne, perché ero più sensibile, più profondo, perché con me si poteva anche parlare, laddove i ragazzi in genere cercavano solo “quello” e tante cose di questo genere. La verità però è che cercavo solo quello anche io e che gli strumenti che utilizzavo erano gli unici che avevo a disposizione: le parole.

Alfredo e le sue promesse

Alfredo mi aveva promesso un ritocco estetico, mi aveva spiegato la sua teoria sulle donne. Prendevo appunti mentalmente come fossi andato a lezione.

 “Non importa se sei brutto o bello! Le ragazze non stanno con te perché se brutto o bello, ma perché sei intraprendente. Importa come ti senti”.

Giuro che non so perché si stava impegnando così tanto. Io mi stavo sforzando di fargli recuperare qualche materia. Ricordo soltanto rivoluzionò il mio modo di pensare.

 “Una ragazza è interessata quanto te al sesso. Se gli chiedi di uscire e ti dice di “si”, allora ci sta”.

 Io sgranavo gli occhi. Anni di tragedie e patimenti, che avevano caratterizzato tutta la mia adolescenza, si dissolvevano di colpo. Non occorreva essere bello, non occorreva conquistarle, occorreva solo apparire.

“Chiedile di uscire e prova a baciarle così, senza dirle niente. Così di colpo prendi e la baci. Vedrai che non si tireranno indietro”.

Ascoltavo incredulo, muovevo obiezioni. Mi raccontò di quel suo amico bruttissimo, che tuttavia era pieno di ragazze, delle sue avventure. Insomma era sincero e motivato. Era quasi una sfida per lui, credo che riuscire a cambiare me, rappresentasse una conferma della sua bravura insomma. Un ragazzo che non eccelleva a scuola, infondo sapeva far da maestro in altro.

Io e miei capelli. Una moneta se mi baci

Fatto sta che mi portò quel giorno stesso dopo tutti quei discorsi dal barbiere. 10.000 lire che non avevo e che mi prestò. Andava fatto in quel modo. Dal barbiere suo amico disse “taglio spaziale!”. Il tipo non capì e poi aggiunse “come i miei”.

Erano capelli rasati ai lati e poi tutti tesi verso l’alto come uno spazzolino. Lui aveva capelli lisci e domabili per cui li rizzava in su come fossero tante antenne. I miei capelli erano ricci, Una volta lunghi si abbocconavano in ondine se bagnati e riempiti di gel. Ma di norma sfidavano le leggi della natura crescendo in orizzontale ai lati e non in verticale come i suoi. Occorreva accontentarsi, il taglio era simile, solo i capelli più corti. Comprai un paio d’occhiali dal venditore ambulante di 3.000 lire e composi il mio outfit la sera stessa.

Nella mia cameretta nel frattempo mi esercitavo nei passi di danza. Mi aveva insegnato un passetto semplice. Un passo in avanti e due indietro. Sembravo uno scemo, ma almeno avevo la faccia convinta… Convinta di sembrare uno scemo!

“La faccia deve essere convinta quando balli – non faceva altro che dirmi. Non è importante come ti muovi, ma se la faccia non è convinta sembrerai sempre uno stupido” si ostinava a ripetere.

La verità è che non ho mai capito se era uno sciupafemmine o un venditore di pentole. Vendeva un pacchetto super inclusive di fandonie. Una cosa però gli era chiara, contava apparire non essere. La sua analisi del sesso femminile era tutta esteriore, un comportamentista lo avrei definito con il senno di poi. Tuttavia puntava al risultato ed era efficace. Soprattutto puntava sulla legge dei grandi numeri.

La legge dei grandi numeri

“Il mondo è pieno di femmine, insisteva. Ci provi, se ti dice di no, passi avanti, che ti importa!”.

O per la miseriaccia! Vi farei leggere i diari che scrivevo da ragazzo, quante fisime, quante riflessioni! Per ottenere poi cosa? Una storia che cominciava già contorta, nella quale avevo intenzionalmente sollevato dall’animo di lei le sue insicurezza più profonde perché potessero fare la patta con le mie. Insomma la storia neanche cominciava ed era già tutta aggrovigliata nei cunicoli di intrecci scombinati. Cosa proponeva lui? Una partita secca, one shot, un gioco rivoluzionario nel quale toccava coprirsi non svelarsi, improvvisarsi, tentare e ripetere all’infinito lo schema. Chi ero non importava e ancora meno importava chi fosse lei. Era una del mucchio e infondo ero uno dei tanti. La cosa sbalorditiva è che funzionava.

Quella mattina andai a scuola e tutti mi guardarono con gli occhi sgranati. Ero la copia goffa di Alfredo. Il suo abbigliamento francamente ridicolo, lui lo rendeva di tendenza. Lui era bello io, diciamocelo pure, più onestamente un tipo. Il suo look su di me dovette sembrare macchiettistico ai miei compagni. Loro però mi conoscevano, sapevano chi fossi, era impossibile ingannarli. Le ragazze incontrate al mare no.

I’m no Superman

I vestiti nuovi, il taglio diverso, voi non ci crederete, ma mi sentivo come un supereroe. Insomma quello era il mio costume e quando lo avevo addosso ero semplicemente un’altra persona. Andavamo al mare con mio fratello e il mio amico. Rimorchiavo le ragazze esattamente come mi aveva detto lui.

Bastava un “ciao”, insistevo un po’ esattamente come facevano i venditori ambulanti. Se vedevo che proprio non era aria andavo avanti. La spiaggia era piena di ragazze da sole e infondo attaccare bottone era semplice, divertente e non era importante nemmeno riuscissi a baciarle.

 Però era facile ci parlavo un po’. Sempre gli stessi discorsi per attaccare bottone, a volte ci provavo in giornata, altre volte ci ridavamo appuntamento da qualche parte. Ricordo di un giorno che riuscì a baciarne due. Le collezionavo come figurine. Non mi interessava nemmeno avere una relazione con loro. Non pensavo minimamente potesse esserci altro. Ero tutti straniti di quella trasformazione. Era chiaramente un bluff e sarebbe durata poco. Prima o poi sarebbe successo qualcosa.

Nel frattempo però il barbiere tagliava i capelli e mi chiese “Quanti anni hai?”. Risposi che ne avevo diciassette. “Che bella età! Io ricordo perfettamente gli anni prima dei 18. La voglia di raggiungere la maggiore età. Adesso ne ho trenta e non so nemmeno come ci sono arrivato. Dopo i 18 anni è così. Gli anni volano senza che li conti più”. Quello che intendeva era forse che finito il periodo tragico dell’adolescenza tutto avrebbe filato liscio fino alla fine dei nostri giorni?.

Fine partita, finita l’adolescenza?

Quell’estate fu però meravigliosa. Il primo dei baci era stato così complicato da raggiungere che per me era stato liberatorio ottenere tutti gli altri. Alfredo però quell’anno fu bocciato e io semplicemente non lo rividi più. Come una macchina che aveva fatto il pieno da solo avevo una certa autonomia, ma prima o poi mi sarei dovuto fermare.

Negli anni mi sono dato tante spiegazioni di quanto accaduto.

Oggi ripendo con un pizzico di vergogna e forse dolore a quanto accadde subito dopo la fine dell’estate e l’inizio della scuola. Eravamo in pieno centro con un mio compagno di classe, Riccardo. Non eravamo ancora migliori amici, non lo sapevamo. Ad ogni modo tutto era ricominciato. La scuola, i miei impegni di studio, i risultati da dover mantenere e raggiungere, i genitori pressanti. Insomma la mia vita mi era stata restituita per quella che era.

Passeggiando un pomeriggio intravidi una bella ragazza con sua madre. Capitava spesso che rimorchiavo anche in quelle circostanze. Ero comunque una compagnia gradevole. Una volta mi capitò di rimorchiare una ragazza insieme a sua madre. La signora, un tipo giovanile, capì e accettò il gioco. Feci vedere tutta la città e spiegando un po’ come funzionava il centro storico. Con la ragazza non successe nulla, ma infondo avevamo passato una bella giornata tutti a prescindere dai suoi baci. Quelle due erano in vacanza però, circostanza da non sottovalutare. Queste due no. Erano a casa loro e per di più davanti a loro avevano il marito.

Non so se dentro di me volessi che tutto finisse

Probabilmente una parte di me sperava in quella conclusione. Mantenere quel “gioco” significava rinunciare a troppe cose. Però ricordo esattamente come andò. Tirai la gonna della ragazzina con un suono he attirasse l’attenzione. Forse la tirai una volta di troppo.

La mamma era sorpresa forse spaventata, ma tutto sommato tranquilla. Infondo ero un ragazzino che poteva essere suo figlio e l’aria da delinquente non l’ho mai avuta, nemmeno sotto travestimento e nemmeno se mi avessero dato lezioni per dieci anni di fila.

Fatto sta che il marito corse in dietro, mi dette un calcio dritto in mezzo alle costole.

Lì proprio davanti a tutti. Arrivò come un tornado per cui non compresi subito. Mi mancava il fiato e non riuscivo nemmeno a dire una parola. Mi urlò qualcosa di cui ricordo soltanto “uomo di merda”. Uomo poi, ero poco più che un ragazzino che aveva in testa solo dei baci.

Mi guardava piegato dal dolore e infieriva con le parole. La folla era tutta intorno e non capiva, restava a fissare. Era senza dubbio un uomo violento, di quelli che si credeva per forza nel giusto. Però aveva assestato un calcio impressionante dritto nelle mie costole. Non uno di quelli ben ponderato, per mettere in guardia. Non aveva urlato, intimato, rimproverato, richiamando a se moglie e figlia. No, aveva colpito con tutta la forza che aveva e nemmeno di fronte all’evidenza si era fermato.

Ricordo una sola donna parlo dopo un po’ quando tutti chiesero cosa fosse successo. Disse “io c’ero ho assistito a tutto. Non stava facendo niente, aveva solo chiamato la ragazza”. Fu l’unica voce che mi protesse.

Succedeva spesso quanto litigavo con gli altri ragazzi. Ero pacifico, per natura, ma quando si finiva alle mani, spesso cadevo a terra umiliato e pieno di sensi di vergogna.

La fine dell’estate con i suoi baci

In quel caso fu diverso, quell’aggressione pubblica che mi dipingeva come il nuovo Pacciani, mia aveva fatto male per davvero. Avrei dovuto alzarmi ripreso fiato e chiamare i carabinieri, avrei dovuto denunciarlo. Un uomo di quel tipo difficilmente la risolve con le parole. Non sapevo difendermi e non solo fisicamente, non sapevo far valere le mie ragioni. Mi parevano sempre migliori quelle degli altri o le mie reggevano poco il confronto.

Fu più facile alzarsi. Riccardo era speciale, commento a mala pena e poi riuscimmo a riderci su. Con lui era così, si rideva praticamente su tutto. “omo e merda!” divenne persino il tormentone di quell’anno. Avevo trovato un amico, avevo perso il mio costume e i miei super poteri.

Si ritornava in classe, avevo ingoiato il rospo. Non era la prima volta, non sarebbe stata l’ultima. Non ero forte, non ero bello, non sapevo giocare a pallone, non ero niente. Avevo solo le parole dalla mia, la mia intelligenza e la scuola. Un’adolescenza passata a fare sacrifici, così mi dicevano i miei, affinché da grande potessi avere un futuro migliore.

La verde età e la fine dell’adolescenza

Da diciotto anni in poi, quanto era vero, gli anni non li conti più. Ne ho già 41 e non so se ho avuto un futuro migliore perché ho studiato una vita.

Sono che non ho mai avuto un’adolescenza, non la rimpiango neanche.

Tutti vorrebbero tornare giovani, io non ci penso neanche. Vorrebbe dire rifare i conti con il buio della mia adolescenza. Quel giro di giostra me lo ricordo ancora però. Quell’estate incredibile è stata una delle poche parentesi positive, una ondata di freschezza che valse la pena comunque vivere. Fu un incontro che mi cambiò per un po’.

Quel giorno avevo deciso di tagliarmi i capelli in un posto diverso. Travolto dall’entusiasmo del mio compagno di classe Alfredo, mi ero persuaso a cambiare look. Quel giorno mi illudevo che bastasse indossare una maschera e recitare una parte. Dai diciotto anni in poi i miei anni non li ho contati più. Qualcosa presi da quell’esperienza, qualcosa resi quando si tratto di ritornare alla solita vita.

Ma la vita è fatta così nulla arriva se non si da in cambio qualcosa.

Una monetina se mi baci, due se mi piaci, dalla terza in poi siam capaci, ma non mi restituire mai tutti quei baci, non se mi piaci.

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