ZAVARKA: saccarificazione degli amidi, pane di segale

Lo “Zavarka” è un termine russo che significa grosso modo “infuso”. In panificazione indica tuttavia una sorta di “crema pasticcera” o “pasta choux” risultante da un processo molto complesso, che parte dalla gelatinizzazione degli amidi. E’ la base di ricetta famosissime come il famoso “Borodinsky” o il “Pane di Riga” e mille altri pani dell’est Europa a base appunto di Zavarka (Zavarnoy Bread). Non avendo una parola in italiano io lascerei Zavarka o laddove si intuisce il significato “infuso”.

L’infuso può essere ottenuto a partire da qualsiasi fonte amidacea, sfruttando i naturali processi idrolitici ad opera degli enzimi contenuti nella farina stessa. I processi chimici principali hanno a che fare con una prima gelatinizzazione degli amidi e una successiva riduzione di questi ultimi a maltosio (saccarificazione). Il processo è detto appunto saccarificazione.

CHE COS’E’ LO ZAVARKA

Anche se può sembrare apparentemente anomalo il processo è molto conosciuto e utilizzato nella produzione della birra, che ha grosse continuità con il processo di fermentazione del pane (se lo chiamiamo ancora adesso “lievito di birra un motivo ci sarà). Nei paesi dove la tradizione di birrificazione, anche domestica, era molto più diffusa procedimenti utili per fare la birra venivano traslati nelal produzione del pane e viceversa, con estrema contiguità dei due prodotti (vedi lo KVAS). Se fossimo di vedute aperte potremmo immaginare il pane come una “birra solida” e la birra come un “pane liquido” tanto simili sono i processi che portano all’uno e all’altro prodotto.

Andando al sodo la fase di “ammostamento” della birra, che solitamente parte proprio dal malto d’orzo o di segale di fatto sfrutta gli stessi processi di gelatinizzazione e saccarificazione degli amidi. Ecco perché l’altro modo di tradurre “ZavarKa” potrebbe essere “mosto“. In Italiano i pani Zavanoij potrebbero essere chiamati “pani al mosto“.

COME SI OTTIENE LO ZAVARKA

Ottenere uno Zavarka in casa non è un’operazione semplice. Non tanto perché l’operazione è in sé complessa (anzi). Piuttosto perché il margine di temperature richiesto è molto stretto, per cui occorre essere MOLTO precisi. Prima di procedere con istruzioni complete che poi consistono semplicemente nel mescolare acqua e farina, occorre precisare quindi tante cose. La consapevolezza del processo è quella che vi garantisce il risultato, non l’a descrizione neutra della procedura.

LA GELATINIZZAZIONE DEGLI AMIDI

Fatto da non sottovalutare è il tipo di amido che vogliamo gelatinizzare. La gelatinizzazione è un processo che avviene tra i 50 e i 70 gradi, con punte anche di 80 gradi. L’amido è una macromolecola formata da amilopectine (struttura ramificata) e amilosio (struttura lineare). A seconda di come sono organizzate le due molecole nel granulo di amido, avremo strutture chimiche più o meno resistenti al calore. Le reazioni chimiche in tutti i casi non sono un interruttore che si accende o si spegne. Non vale la modalità ON-OFF. Man mano che si creano le condizioni di temperatura (e pH) richieste certe reazioni velocizzano, man mano che ci si allontana da quelle condizioni rallentano.

Il punto di gelatinizzazione della segale è di circa 55-60 gradi, quello del frumento 70-80 gradi. Aggiungere acqua bollente (100 gradi) è sufficiente per ottenere una gelatinizzazione ottimale della segale, parziale del frumento. Conviene quindi versare acqua bollente per step evitando così che l’operazione di mescolamento abbassi troppo velocemente le temperature.

Si può in linea di principio gelatinizzare qualsiasi fonte amidacea (patata, legumi, pseudo cereali). Il composto correttamente gelatinizzato raddenserà, dacché l’amido gelatinizzato assorbe acqua. E’ questo il principio con il quale si prepara appunto la “crema pasticciera” come anche la “pasta choux”, la besciamella ecc. Il composto parte liquido, man mano che gelatinizza rassoda, segno che sta appunto gelatinizzando. Si può quindi pensare di gelatinizzare anche inserendo acqua e farina in un pentolino e portando ad ebollizione. Chimicamente non è proprio la stessa cosa, ma come diceva Voltaire “il meglio è nemico del bene”. In questo modo saremo sicuri di aver ottenuto una buona gelatinizzazione, condizione fondamentale per la riuscita del processo.

2. LA SACCARIFICAZIONE DEGLI AMIDI

La saccarificazione degli amidi è un processo molto rapido se l’amido è correttamente gelatinizzato. Basti pensare che il sapore “dolce” che sentite durante una masticazione prolungata del pane è in parte dovuto all’azione delle amilasi salivarie. Va da sé che meno amido gelatinizzato troviamo, meno il composto saccarificherà correttamente. Il famosissimo “indice glicemico” in gioco nei processi digestivi che ho descritto qui è tra le altre cose funzione della percentuale di amido gelatinizzato.

Come per prima vale il principio che le reazioni chimiche in gioco non sono del tipo ON-OFF, semplicemente avvengono in un range di temperature, di pH e tempo. Più ci avviciniamo alle condizioni ottimali, più avviene correttamente. Queste sono precisazioni importanti per una riuscita del processo a livello domestico, dove non avremo vi anticipo condizioni ottimali.

Gli attori principali di questo secondo step sono i famigerati enzimi amilasici, di cui farine integrali molite a pietra sono portarici come spiego qui. Il range di temperature richiesto è di 60-63 gradi.

LE AMILASI

Le amilasi che ci interessano sono le alfa e le beta. Semplificando al massimo le alfa sono in grado di tagliare i “rametti” di amilopectine, mentre le beta possono solo tagliare “punta e punta”. Le alfa amilasi riducono quindi l’amido in “destrine” con una prima liquefazione del composto (visibile ad occhio mentre si mescola), le beta amilasi invece sono le vere e proprie “saccarificatrici” perché riducono le destrine e l’amilosio in maltosio (due molecole di glucosio). Occorre siano attive entrambe altrimenti il composto liquefarrà, ma non dolcificherà correttamente.

Ogni cereale ha le sue amilasi con i suoi punti di attivazione e disattivazione legati alle diverse condizioni di temperatura e pH. Nella foto vedete le fasi del processo di ammostamento del malto d’orzo per farvi un idea delle temperature di attivazione e disattivazione dei diversi enzimi e il valore di pH cui lavorano correttamente (ricordandoci che la segale NON è orzo per cui i valori di riferimento sono leggermente diversi sia rispetto alle temperature che ai range di pH). L’immagine tuttavia restituisce in modo molto intuitivo quale fase del processo interessa a noi ovvero quella che interviene nella parte alta tra i 60 e i 70 gradi.

Bene la cosa fantastica del processo di saccarificazione è che tutti questi meccanismi così complessi si riducono ad un gesto semplice. La condizione richiesta è che ci siano amidi, per cui il consiglio è di saccarificare farine bianche e non integrali, se non direttamente gli amidi per dolci (mais, fecola ecc.). Occorrerà versare due parti di acqua bollente in una parte di acqua mescolare finché il composto non si sarà ridotto ad una “crema” e aspettare che la temperatura scenda a 60 gradi. A questo punto occorrerà versare farina integrale o farina maltata o ancora una fonte di malto diastasico (anche in sciroppo).

Se abbiamo lavorato correttamente vedremo il composto liquefarsi sotto i nostri occhi man mano che mescoliamo. Tutto il processo durerà 3-5 ore e servirà mantenere una temperatura costante di 60 gradi per tutto il processo.

COMPLICAZIONI DOMESTICHE DELLO ZAVARKA

Occorre tenere presente che aggiungere amido gelatinizzato in un impasto che contiene già una farina con un alto indice di attività enzimatica non è MAI una buona idea. Gli enzimi amilasici si trovano infatti amido a quel punto facilissimo da aggredire e liquefarebbero l’impasto in un baleno. Se a ciò si aggiunge che nell’infuso abbiamo messo apposta enzimi per liquefare l’impasto si capisce qual’è l’estrema difficoltà dei pani come il Borodinsky o il pane di RIga (che richiede per altro due fermentazioni).

Il miglior modo di procedere per ottenere un buona saccarificazione è stare SOTTO le temperature indicate. Per i ragionamenti fatti un punto fondamentale del processo è NON disattivare le beta amilasi. Meglio quindi che la alfa-amilasi lavorino più lentamente che non che le beta amilasi vengano disattivante. Personalmente uso una yogurtiera ottima per mantenere le temperature tra 45 e 55 gradi.

Ricordiamoci che questo tipo di strumento distribuisce calore dal fondo è che più è viscosa la soluzione meno lo redistribuirà correttamente, con forti differenze di temperatura tra il fondo e la superficie. Nelle prime fasi quindi, quando il composto è ancora molto denso occorrerà mescolare periodicamente. L’operazione serve anche per impedire si formino muffe in superficie, essendoci tanto zucchero.

Inserisco 1 parte di acqua e due di farina (idratazione 150%). Potete in line di principio inserire anche tre parti di acqua migliorando la saccarificazione (i processi idrolitici avvengo a mezzo acquoso). Un infuso troppo liquido vi darà però parecchi problemi per gestire l’acqua finale di quasi tutte le ricette.

Ad ogni modo il mio consiglio è di gelatinizzare e riporre direttamente nella yogurtiera in modo da lasciare che il composto raffreddi lentamente e si porti alla temperatura di cui sopra. Solo dopo 4-5 ore aggiungere la fonte di enzimi.

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RICETTA PER OTTENERE LO ZAVARKA IN CASA

La farina di segale può anche essere integrale. Io ho solo quella e uso quella. Chiaramente saccarificherà più lentamente. Non ho mai provato la farina di segale stessa come fonte di enzimi, utilizzando il malto di segale, facile da reperire per altro. Per una saccarificazione più efficiente potete aumentare la dose di malto di segale o di enzimi in generale. Ricordatevi però che più enzimi aggiungete in questa fase, più vi complicate la vita dopo se non lavorate correttamente. Personalmente ho saccarificato di tutto, riso, lenticchie, grano saraceno e lo stesso pane raffermo.

LA MAGIA DELLO ZAVARKA E L’INFUSO AUTOFERMENTANTE

Un altro modo di saccarificare è aggiungere acqua a 70-80 gradi. Questa si porterà rapidamente ad una temperatura intorno ai 60 gradi. Questo procedimento funziona tuttavia con la sola farina di segale integrale. 60 gradi è infatti il punto di saccarificazione del suo amido. A queste temperature non abbiamo disattivato gli enzimi contenuti nella farina stessa, per cui non ci sarà bisogno di aggiungerne degli altri.

I tempi di saccarificazione si allungano e consiglio di lasciarlo in questo caso almeno 12 h. Se tuttavia prolungassimo potrebbe (se presenti nella farina stessa) attecchire microflora termofila. In questo caso il suggerimento è di prolungare la fermentazione di 60h.

I TERMOFILI DELLO ZAVARKA

Come ci accorgiamo che si è riprodotta flora endogena?

E’ consigliato farla partire? La mia risposta è no, a meno che non si abbia esperienza con fermentazioni spontanee e la giusta strumentazione per monitorare il pH.

CONSIDERAZIONI FINALI SUI PANI AL MOSTO (CON ZAVARKA)

Nota a margine il secondo nome di ZAVARKA è infuso, perché il composto deve diventare LIQUIDO. L’amido una volta gelatinizzato non trattiene più acqua e lo zucchero presente sarà completamente disciolto. Se resta cremoso ancorché dolciastro è segno che il processo è avvenuto solo parzialmente. Si può utilizzare lo stesso, però insomma sentiti auguri per l’esito finale del prodotto 🙂

Se sostituite 1/3 della farina di segale con farina di segale rossa fermentata e ci aggiungete lo 0,1% di coriandolo avrete preparato metà della ricetta el famoso BORODISKY. In itala si trova SOLO malto di segale tostato, che è proprio altro.

Ma perché si aggiunge l’infuso al pane di segale? La risposta è semplice: il gusto. Il pane di segale è molto acido, lo zavarka aggiunge dolcezza e morbidezza restituendo al pane un sapore agrodolce. Ricordo però che da un punto di vista nutrizionale lo zucchero è zucchero, comunque lo si ottenga. Questo tipo di pani ancorché realizzati interamente con farina integrale ALZANO l’indice glicemico del prodotto, vanificando una delle proprietà della farina di segale (indice glicemico più basso).

Lo considero un pane dolce e ci aggiungo anche delle sospensioni che arricchiscono il valore nutrizionale del prodotto. In foto Albicocche e Noci Pecan su un pane di segale integrale 100%.

PAN BRIOCHES VEGAN CON ZAVARKA

Un uso alternativo dell Zavarka è come dolcificante per i pani di frumento che acquisteranno morbidezza, dandovi la possibilità di ottenere la consistenza del pan brioches (vegan). La dose consigliata è massimo 30%. A questo proposito puntualizzo che si tratta del 30% della farina contenuta nello ZAVARKA sul peso della farina totale della ricetta.

Ecco perché conviene non esagerare con l’acqua inserita nella preparazione. Perché poi diventerebbe troppa per la ricetta! L’acqua dell’infuso va infatti sottratta alla ricetta finale.

PIZZA CON ZAVARKA

Si può utilizzare anche per le preparazioni salate sopratutto se acidificato tramite l’aggiunta di pasta madre o autofermentazione termofila. In questo caso il consiglio è utilizzare una farina di forza, favorirà la morbidezza e l’apertura in cottura.

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