ACITITÀ TITOLABILE E PASTA MADRE

Si parla spesso anche qui dentro del livello di acidità che deve avere la pasta madre e si conseguenza l’impasto definitivo. Ma come si misura? Oramai qui su facebook spopolano i piaccametri, ultima moda abbastanza costosa del momento.


Premettendo che dal mio punto di vista la panificazione domestica può fare a meno di questo strumento, tuttavia il ph di una pasta madre, che informazione ci da?

Da un punto di vista tecnico lo si definisce come il logaritmo decimale degli ioni H+, da un punto di vista pratico ci da una idea del rapporto tra anioni e cationi all’interno della soluzione. Il loro punto di equilibrio è 7 (soluzione neutra), sotto questo valore si parla di soluzione acida, sopra di soluzione basica.
Perché gli ioni H+ sono così importanti in panificazione?
Perché le proteine, siano esse quelle che formano il glutine come quelle che formano gli enzimi, sono strutture aminoacidiche che devono la loro tridimensioanlità (e funzione) a legami chimici più o meno stabili, che vengono fortemente modificati dalla presenza di anioni e cationi.
In altre parole l’acidità condiziona sia la struttura del glutine che quella degli enzimi (attivandoli o disattivandoli).
Il pH influenza inoltre i metabolismo dei microorganismi al punto tale che è il principale meccanismo di difesa dei LAB, è proprio abbassare il pH dell’ambiente circostante, producento acido lattico e piccole quantità di acido acetico (oltre che acidi minori di poco interesse).
Ma cosa ci dice la misurazione del pH di una pasta madre?
Se dovessi filosofeggiare con la chimica risponderei che ci da la misura dell’acidità in atto, non quella in potenza. Ci dice cioè in una soluzione quanti ioni sono effettivamente dissociati, non quanti se ne potrebbero dissociare. Non ci da cioè la quantità complessiva di TUTTI gli acidi presenti, ma soltanto quella degli acidi che hanno effettivamente rilasciato anioni. Ogni acido ha per altro una “costante di dissociazione”, ovvero una forza acidificante.



Soluzioni tampone



Ci sono alcune soluzione che mantengono inalterato il loro PH anche aggiungendo piccole quantità di acidi o di basi. Questo perché alcune molecole si comportano da basi in presenza di acidi e da acidi in presenza di basi, stabilizzando entro certi range di tolleranza il pH della soluzione.
Questo meccanismi è per altro fondamentale per la sopravvivenza degli esseri umani, dato che anche per noi è fondamentale che il pH ematico stia entro range molto rigidi (7,35-7,45). I sistemi tampone regolano dunque il pH stabilizzandolo entro certi limiti, superati i quali non sono più in grado di correggere le variazioni di acidità. I più importanti per il nostro organismo sono l’acido carbonico (base coniugata carbonato), acido fosforico (base coniugata fosfato), ma sopratutto le proteine stesse i cui aminoacidi posso cedere o prendere ioni H+ in soluzione acquosa.



ACIDITA’ TITOLABILE



Questa è la ragione pr la quale, anche ammettendo che in un composto ci sia un solo acido, non possiamo desumere dal valore di pH la quantità di acido disciolto.
L’acidità titolabile è quindi il secondo valore che ci viene in aiuto. Ci da la misura di tutti gli acidi presenti (dissociati e non) nella soluzione.

Si prelevano 10 ml di prodotto lo si versa in una beuta aggiungendo un uguale quantità di acqua distillata, si aggiungono due tre gocce di fenolftaleina e si inizia la titolazione vera e propria, ovvero si inserisce una soluzione a titolo noto di idrossido di sodio (NaOH). Si monitora infine il viraggio della stessa fenolftaleina che a pH di 8.3 diventa rosa. Più idrossido di sodio serve per portare il composto al punto di viraggio più la soluzione sarà acida. L’acidità titolabile si misura in gradi Soxhlet-Henkel (°SH), più è alto il valore, maggiore sarà l’acidità titolata.



ACIDITA’ TITOLABILE E PASTA MADRE



L’acidità titolabile è di solito un parametro che si rivela per il latte, per il vino e altri prodotti fermentati in termini dell’acido prevalente. Nel latte di acido lattico, nel vino di acido tartarico. Nel caso del latte per esempio a parità di pH, la diversa acidità titolabile ci darebbe un’informazione maggiore sulla percentuale di caseina, fosfati, sieroproteine e citrati presenti. In definitiva pH e acidità titolabile NON SONO parametri sostituibili tra loro, perché di danno informazioni diverse.



E nella pasta madre?



Nella pasta madre ha senso misurare l’acidità nei termini di acido lattico, perché ci aspettiamo sia questo l’acido prevalente. Per quanto in alcune condizioni la pasta madre possa produrre dosi certamente considerevoli (e più alte di quelle che si si aspetti) di acido acetico, il rapporto tra lattico e acetico da manuale dovrebbe essere di 3:1. Possiamo dunque titolare l’acidità in termini di acido lattico. In questo senso vale la pena ricordare che l’acido acetico ha una costante di dissociazione più alta (pKa 4,8) dell’acido lattico (pKa >1), ovvero una capacità acidificante 10 volte inferiore rispetto all’acido lattico. E’ cioè un acido debole.

Due paste madri potrebbero però avere, esattamente come il latte e il vino, pH identiche e acidità titolabili differenti. In questo caso la differenza principale la fa il substrato, quindi la soluzione di acqua e farina che può avere o meno capacità di tamponare gli acidi.

Più specificatamente le farine integrali hanno maggiore capacità tampone di farine bianche, come anche acque “dure” maggiori di acque dolci.

In questo articolo non parleremo delle conseguenze sul microbiota. Ci limitiamo a dire che in una soluzione dove man mano che vengono prodotti acidi organici aumenta il pH in modo proporzionale i microorganismi avranno comportamenti diversi rispetto ad una soluzione nella quale c’è un intervallo di refrattarietà maggiore, per cui vengono prodotti acdi organici, ma non aumenta il pH. In particolare alcuen tipologie di batteri lattici sono molto sensibili alle variazioni di pH e rallentano o velocizzano il loro metabolismo in funzione del suddetto valore.



IN CONCLUSIONE



Anche ammettendo di poter misurare il pH correttamente con strumenti costosissimi, che sappiamo calibrare e manutenere da veri esperti biologi (??). Anche sapendo titolare un campione di pasta madre correttamente (??). Cosa dovremmo farci con questi due valori?

Semplicemente verificare che il processo è stato eseguito correttamente. Ovvero che la pasta madre ha raggiunto il Ph desiderato sotto le condizioni di tempo e temperature prestabilite. Senza aver gestito correttamente gli ultimi due parametri (tempo e temperature) la rivelazione del pH non ha un grosso significato. Esattamene come il criterio molto più empirico e meno costoso del raddoppio (in 4h a 28 gradi).

Non è quindi coretto dire misurare il valore di pH non è di nessuna utilità, quanto piuttosto sostenere che l’informazione ha bisogno di essere integrata quanto meno conoscendo la tipologia di farina utilizzata per i rinfreschi (aspettandoci empiricamente la sua capacità di tamponare acidi), la composizione minerali dell’acqua utilizzata (aspettandoci la sua capacità di tamponare acidi) e le condizioni di tempo e temperatura dei rinfreschi.

Niente di tutto questo ha senso tuttavia quindi se non abbiamo certezza delle temperature ovvero se utilizziamo celle di lievitazioni improvvisate, ma sopratutto se non monitoriamo le temperature che raggiunge l’impasto (non la cella). Le quali dovrebbero mantenersi entro intervalli molto stretti.

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