Matrigna. Servo delle tue brame

La matrigna desiderata, seduttiva, erotizzata nella sua richiesta di vicinanza, contratta nell’uso dei desideri, incapace di dare senza essersi prima assicurata di aver ricevuto, calcolatrice, travestita da vittima, possessiva, vendicatrice, punitiva, disinteressata.

Una madre ama di solito in suo figlio più sé che il figlio stesso.

F. Nietzsche

La matrigna, domestica del focolare

Un classico di ogni fiaba che si rispetti la matrigna è un personaggio molto più conosciuto di quel che si pensi. Nelle fiabe, per indorare la pillola, si parla spesso di orfanelli. La principessina è quindi relegata al ruolo di servetta da una madre acquisita, laddove la madre naturale è morta come morto il più delle volte è anche il padre.

Ma in che modo un figlio naturale può trovarsi in questa situazione disgraziata pur avendo una coppia genitoriale intatta? Senza una padre, genitore assente, che rifiuta il suo ruolo e con una matrigna che veste i panni della donna di casa, timorosa di Dio e amante del focolare?

Le regina comanda mentre il re governa.

La matrigna è madre naturale che desidera la maternità spesso come relazione sostitutiva a quella con il marito. Rapita da un’idea astratta e irrealistica di padre, resta delusa dall’uomo concreto che ha davanti. Di più, non avvedendosi del lato disumano del padre reale lo appiccica interamente al marito. L’uomo che ha sposato diventa così ai suoi occhi abusante, incapace di comando, di autorità.

Il servizio che aspira al controllo: il rancore della matrigna

La donna impara a preservare la propria integrità morale, sottraendosi al desiderio, negando i propri bisogni e proiettandoli nell’altro di cui si prende cura. Esige quindi prolungare all’infinito la relazione. Madre accudente di un figlio sempre bisognoso, perché in questa relazione ritrova se stessa, i suoi bisogni appaganti. Madre rifiutante al tempo stesso perché in questa relazione di bisogno si perde sovente insoddisfatta, irrealizzata, nei suoi bisogni di donna, negati.

La relazione di bisogno è diseguale, perché presuppone che ci sia qualcuno che aiuta e qualcun altro che viene aiutato. Chi si prende cura è in posizione di domini, anche se si presenta come l’elemento debole della relazione. A spiegare questa dinamica basti la dialettica della signoria e servitù descritta da Hegel.

Ancorché il Signore pare il più forte, perché comanda sul servo che con il suo lavoro soddisfa tutti i suoi desideri, il più forte è in realtà il servo perché sa come creare da sé il materiale con cui soddisfa quei bisogni. Ma v’è di più, sa anche trattenere il desiderio, governarlo dentro sé. Sa soddisfare il proprio desiderio, proiettando la sua immagine su quella del Signore. Potremmo quindi meglio dire che il suo desiderio è diventato il sacrificio, il suo godimento l’astinenza.

Ma cos’è una serva senza padroni? Cosa succede alla regina quando perde i suoi principini? Quando questi cercano di soddisfare il loro bisogni altrove? Bisogni che questa volta, sia chiaro, lei non può in alcun modo soddisfare. Quando la natura chiama e porta altrove, come fa la regina a impedire lo sgretolarsi del suo reame?

Con che tipo di uomo può stare una matrigna che ama comandare?

L’uomo che ha sposato a sua volta nega dentro sé l’autorità. Per questo è possibile la coppia lei è dentro quello che lui è fuori ed entrambi proiettano nell’altro ora l’ideale ora la frustrazione del reale.

Se dunque lui accetta il ruolo del re (Padre) solo a patto che sia lei a gestire le fila delle relazioni intra-familiari, ovvero il “bottino” e dunque i figli, dall’altro lato lei ha bisogno di una figura solo all’apparenza dominante onde poter svolgere il suo ruolo di serva. Questo è l’inganno comandare nel servigio.

Si tratta dunque di figure incomplete, monche, che si completano a vicenda. Lei nell’immagine esteriore, lui in quella interiore. Lei è la sostanza del comando, lui la forma.

In questo strutturarsi di cose al padre è impossibile esercitare per davvero il suo ruolo, limitare le intemperie della donna, stabilire regole, confini, insomma fare da argine al materno.

Nella peggiore delle condizioni si ha la situazione per la quale le demolisce la figura stessa da cui pure esige autorità. Questo tipo di donne le cui ombre notturne dominano la scena inconsapevolmente di giorno costruiscono quel che di sera distruggono.

La loro contraddittorietà non emerge mai, non riconosciuta a loro stesse. Emerge allora quella del compagno. Sono dunque brave a minare l’immagine dell’uomo che hanno accanto, svuotarla di valore agli occhi dei figli e allo stesso tempo esigere dallo stesso che rispetti l’ideale che hanno loro del PADRE, figura arcaica e mitologica che serbano nel cuore.

In questa ambivalenza l’uomo irretito dal paradosso, fragile nella sua struttura interna ceda all’ira quello che non può tenere per sé. A quel punto la sua reazione non farà altro che confermare l’immagine negativa del cattivo padre all’occhio del figlio.

A quel punto alla prole non resta altro che ritornare alla madre, unica sponda di salvezza o almeno unica possibilità di cura.

Il volto della madre

La regina della casa si mostra all’esatto opposto di ciò che è, copre le sue manie di grandezza o meglio le dissimula. Somiglia dunque più alla vecchietta, fragile, devota, ubbidiente all’autorità e capace di dispensare doni. La seduzione è più quella della debolezza, della pena, del bisogno con cui lega nella doppia direzione (è bisognosa e si occupa del bisogno altrui). La carica erotica di questa relazione è dissimulata, resa occulta, non riconosciuta. Il godimento malcelato è quello del sentirsi buoni, del sacrificio del sé per la salvezza altrui. E’ la donna della devozione quella che continuamente viene mostrata, dell’immensa umanità e volontà di aiutare il prossimo, la donna dal cuore di mamma disposta a tutto pur di rendere felici i figli.

La mendicante fragile e accudente

Come la classica domestica del focolare appare dunque desiderosa solo di accudire la prole. Già così tuttavia si rivela trasbordante nelle sue attenzioni. Appare evidente che prendersi cura dei bisogni dei figli è piuttosto un suo bisogno, per cui i figli vanno tenuti carenti, monchi, castrati affinché possano essere accuditi.

Ossessionata dall’ordine e dal controllo, incapace di disfarsi per davvero delle cose. Disinteressata alla cura reale dei figli, soprattutto del loro bisogno di sviluppare personalità autonome, sul lato emotivo è in gioco un misto di sentimenti che vanno dalla gelosia, al rancore.

Cospiratrice, tesse ragnatele, dice il contrario di ciò che pensa e fa l’opposto di quello che farebbe. Perdona quando desidera solo vendetta, isola quando vuol punire, abbandona quando l’altro si mostra riottoso a subire le sue cure.

Lo specchio della bellezza cui sempre guarda

Proietta il proprio sé grandioso sui figli che sono chiamati a farle da specchio della propria bellezza, ingorda com’è di successi, li mastica una volta raggiunti e poi li sputa via. Ha bisogno di essere venerata e continuamente al centro dell’attenzione. Dovunque vada nella relazione ne fa una questione di potere. E’ il dominio di chi serve, non di chi comanda. Il controllo di chi lascia ad altri l’immagine della signoria, ma lavorando per lui se ne assicura la sua dipendenza. La debolezza è dunque la sua forza, la parola sussurrata il suo strumento, insinuata nel cuore dell’altro come uno spillo.

Non è l’ordine diretto il suo strumento preferito, ma il complotto nel retro bottega il suo miglior ricamo. Divide gli elementi della famiglia assicurandosi così di essere lei l’unico legame tra loro, li mette in competizione per l’amore della regina.

Rafforza chi sta al centro quando la periferia borbotta, ingrassa il malumore della periferia quando il centro minaccia insurrezioni. Indebolisce e disprezza quando qualcuno si allontana, riempiendo d’angoscia ogni suo gesto. Non si arrabbia, ma fa arrabbiare, invalidando le emozioni degli altri.

Quando la rabbia del figlio monta furente, lei la lascia esplodere. Non c’è infatti un padre capace di contenerla, piuttosto andrebbe prima contenuta la rabbia furente del padre steso. Il movimento di ribellione non può quindi produrre il suo effetto, anzi diventa piuttosto il suo contrario, esso stesso strumento di controllo. Come ha potuto il figlio ingrato infierire sulla povera madre amorevole e vittima eterna di ogni sciagura?

La coscienza del ribelle, divorata dal senso di colpa, prodotto ora dal desiderio voluttuoso (per la matrigna) ora dalla rabbia furente, finisce con il cercare ristoro esattamente nel luogo da cui avrebbe voluto fuggire.

Una volta arresa all’ira (orgasmo non trattenuto) e sconfitta dall’umiliazione, tornata all’ovile l’anima ribelle può di nuovo essere ammantato di amorevoli cure. E quanto più la madre sarà in grado di perdonare qualsiasi nefandezza commessa dal figlio tanto più sarà buono e compassionevole.

Questo pare: sempre disposta a perdonare, a ricevere il figliol prodigo, che ha subito colpi mortali alla sua autostima.

La crocerosina che proietta nell’altro il suo bisogno di cura

Il sacrificio in lei, incapace di godere per davvero com’è, diventa una missione matrigna e la forma più alta di erotismo. L’amore diventa concetto astratto, tensione assoluta verso un uomo assoluto che non esiste, un padre immaginario che copre quello reale, assente quando non violento o indifferente. In questa potete manipolazione della realtà, il marito è preteso comandante, se non fosse che a ordinargli di comandare è lei. La sostanza del paradosso è indebolirne una figura fragile, marginalizzarla, elevarla a male assoluto, piuttosto che rinforzarla e predisporla al comando.

La vedetta sul marito è giocata con i figli, che gli ha sistematicamente messo contro, dacché sempre è stato utilizzato come missivo della sua ostilità. Un po’ come il cacciatore nella nota fiaba è lei che ordisce trame, ma non è lei ad eseguire i compiti più sgradevoli.

Di chi vuoi che sia la colpa quando le cose sono andate male? Quando le trame sono state scoperte? Di chi vuoi che sia il braccio virguto quando il fanciullo si ribella? Prova vergogna? Si ostinata nell’errore? Un reuccio è messo lì a far finta di comandare.

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