Parmenide: riassunto. Il primo degli eleati

Parmenide il primo fra i filosofi di Elea

Parmenide è un innovatore radicale e nell’ambito dei presocratici un rivoluzionario. Con lui la cosmologia si trasforma e tende a trasformarsi in qualcosa di nuovo e più maturo. Con lui nasce l’ontologia. Il termine deriva dal greco ὄντος, òntos (genitivo singolare del participio presente ὤν del verbo εἶναι, èinai, «essere») e da λόγος, lògos («discorso/scienza»). Significa quindi discorso sull’essere.

Parmenide nacque ad Elea nella Magna Grecia, probabilmente nella seconda metà del VI secolo. Fondò la scuola eleatica destinata ad avere grande seguito nel pensiero antico. Fu avviato alla filosofia dal pitagorico Aminia. Anche il suo poema, come quello dei suoi predecessori è intitolato Della Natura. Si occupò anche di politica. Di lui sappiamo che diede buone leggi agli eleati. Del poema di Parmenide c’è giunto per intero il prologo, quasi tutta la prima parte e frammenti della seconda. Per le sue teorie è spesso contrapposto ad Eraclito. A lungo si credette di ritrovare nel filosofo una accentuata polemica antieraclitea. I più recenti studi hanno tuttavia ridimensionato questa convinzione.

Mettendo mi piace aiuti a diffondere il mio lavoro. Condividi il post sul tuo social! 🙂

Le tre vie della ricerca

Nel suo poema l’eleato sembra aver additato tre vie di ricerca. Di queste considerò verace una sola. Giudico le altre due, una verosimile e l’altra fallace:

Bisogna che tu apprenda

  1. e della verità ben rotonda il solido cuore
  2. e dei mortali le opinioni, in cui non è certezza verace;
  3. per altro anche questo imparerai: come l’esistenza delle apparenze sia necessario che ammetta chi in tutti i sensi tutto indaga. (Diels Kranz [abbr. DK], 28 B 1, vv. 28-32).

Viene dunque posto il tema della dicotomia tra verità e apparenza. Quest’ultima poi è distinta in una credenza verosimile e in una assoluta falsità.

La via della verità

La via della verità è quella che afferma che

l’essere è e non può non essere; il non essere non è e non può in alcun modo essere:

Orbene, io ti dirò – e tu ascolta la mia parola – quali vie di ricerca soltanto si possono pensare: l’una che “è” e che non è possibile che non sia – è il sentiero della persuasione, perché tien dietro a verità – l’altra che l’essere non è e che è necessario che non sia; e io non ti dico che questa è una via preclusa ad ogni ricerca: infatti non potresti conoscere ciò che non è, giacché non è cosa possibile che potresti esprimerlo. (DK B2)

e ancora

E’ necessario dire e pensare che l’essere sia: infatti l’essere è, il nulla non è; queste cose ti esorto a considerare. (DK, 28 B 8, vv.1-2).

L’affermazione parmenidea potrebbe sembrare banale. Infondo pare dirci un’ovvietà. Tuttavia essa presenta delle proprietà logiche interessanti. Essa è innanzitutto tautologica e dunque necessariamente vera. Tautologico potrebbe tranquillamente essere tradotto con “ovvio” (a ragione ci sembrava un’ovvietà dunque!). Dire che “Marco è marco” è una tautologia, perché ho ripetuto due volte Marco, nel soggetto e nel predicato.

Ragiona sul fatto che ogni lavoro ha bisogno di uno stimolo positivo, non vuoi mettere un like? 😛

Questioni logiche

L’affermazione “l’essere è” tuttavia non ha un predicato vero è proprio. O meglio è una proposizione nella quale soggetto verbo e predicato sono immediatamente contratti in uno. La prima via è infatti è quella che semplicemente dice “è”. Viene quindi affermato il principio di identità, come principio dell’essere. L’affermazione può essere necessariamente vera solo se soggetto, verbo è predicato sono l’essere stesso. Da qui si capisce la seconda parte dell’affermazione “e non può non essere”.

Pensare ed essere

 All’affermazione va aggiunta un’altra caratteristica importante: questa è l’unica via di ricerca. Che vuol dire? Che la sola cosa pensabile è l’essere e chi prova a pensare altro si sta semplicemente ingannando. Essere e pensare sono dunque la stessa cosa, perché il pensare è sempre pensare l’essere (ciò che è). Viceversa il non essere è del tutto impensabile, inesprimibile, indicibile e quindi impossibile. L’identità di pensiero ed essere viene dunque affermata per la prima volta, come identità immediata. Si dice che essa viene semplicemente posta:

Lo stesso è il pensare e ciò in funzione del quale è il pensiero, perché senza l’essere, nel quale è espresso, non troverai il pensare: infatti è o sarà nient’altro all’infuori dell’essere.

Parmenide pare dunque aver per la prima volta formulato il principio di non contraddizione, in virtù del quale i contraddittori non possono coesistere. Se c’è l’essere dunque non può esserci contemporaneamente il non-essere. E dacché dell’essere può solo dirsi che è, questi sarà sempre, il non-essere mai.

Su, su… devo ripetertelo ancora? 

Caratteristiche dell’essere

Data questa affermazione che può sembrare lapalissiana scaturiscono implicazioni per nulla scontate. Se l’essere è soltanto deve avere le seguenti caratteristiche:

  1. Ingenerato: L’essere non può avere un’origine, perché altrimenti vi sarebbe stato un momento nel quale non era. L’essere non ha dunque inizio.
  2. Imperituro: Per la stessa ragione non può avere fine, dacché bisognerebbe riconoscere che vi sarà un momento nel quale non è più.
  3. Incorruttibile: Letteralmente vuol dire che non si corrompe. Si intende l’impossibilità di suoi cambiamenti degenerativi. L’essere non può essere intaccato, corrotto, né trasformato. non esiste infatti qualcosa di diverso in cui potrebbe degenerare.
  4. Immutabile: Il mutamento è un cambiamento interno, che non può sussistere per le stesse ragioni di cui sopra.
  5. Eterno istante: L’essere parmenideo è fuori dal tempo. Non può essere passato, ne essere in futuro. Sarebbe stato infatti qualcosa che non è più o diverrebbe qualcosa che non è ancora. Nell’essere può solo dirsi che è questo suo eterno essere.
  6. Assolutamente immobile: Così come l’essere non può mutare (movimento interno), non può neanche avere un movimento esterno. Il movimento infatti implica che l’essere possa occupare uno spazio prima “vuoto”, che possa esistere dunque il nulla.
  7. Identico a se stesso, senza parti interne: L’essere non può avere parti interne, giacché ogni differenza implica il non-essere. Esso è dunque l‘uno.

L’essere è dunque perfetto, ingenerato, imperituro, identico a se stesso, compiuto e immobile, rappresentato da una sfera. Questa infatti non ha parti, non ha punti diseguali ed è il simbolo dell’unità compiuta.

Ormai si vede proprio che siamo amici, posso dirtelo con chiarezza. Lo metti sto mi piace? Condividi il post? 

 

La via dell’errore

La via appena percorsa è quella della verità, del logos. Abbiamo tuttavia visto che le implicazioni di un’affermazione “ovvia” non portano a conclusioni altrettanto ovvie. Se l’essere ha tutte le caratteristiche di cui sopra e questo è tutto ciò che possiamo pensare, cosa ne é del divenire? Non è forse chiaro a tutti che nasciamo e muoriamo, che siamo ciò che non eravamo, che ci spostiamo e così via? L’essere non è forse sempre mescolato al non-essere nell’eterno divenire di cui pure ci aveva ragguagliati Eraclito? Se tuttavia non si riconosce alcuna possibilità al non-essere che ne è del divenire?

Pare che la rigida opposizione proposta da Parmenide non ammetta il divenire. La possibilità del non-essere è la via dell’errore. Opinione fallace dei mortali ingannati dalle apparenze. L’essere non può passare nel non-essere, questo equivarrebbe ad ammettere l’esistenza del nulla. Questo equivarrebbe a contravvenire il principio di non contraddizione. Del non-essere dovrebbe infatti dirsi che è.

La via del plausibile

Pare che Parmenide riconoscesse invece una qualche forma di plausibilità alle opinioni. Come abbiamo visto la via che afferma che il non-essere è non può essere in alcun modo percorsa. Questa, tuttavia, non è affatto l’unica opposizione da cui è percorsa la natura. Da Eraclito in poi, siamo stati abituati a pensare l’intera realtà per coppie di contrari. Gli stessi pitagorici ricavavano dall’opposizione limitato, illimitato dieci opposizioni fondamentali. L’eleate riconosce a questa visione una qualche forma di plausibilità: “Infatti essi (mortali) stabilirono di dar nome a due forme l’unità delle quali non è necessaria: in questo hanno errato”.

Secondo il filosofo del’essere dunque la realtà è scissa in due forme fondamentali o coppie di contrari (luce/tenebre), ma queste non deriverebbero affatto da due principi distinti, bensì da uno solo: l’essere. L’opposizione luce/notte, essa non deriva dalla originaria essere/non-essere, giacché in nessuna delle due c’è il nulla. Sono bensì due manifestazione dell’essere.

La questione posta in questi termini può sembrare irrilevante. Vedremo come riuscire a derivare dall’unità del principio il sistema di coppie bipolari attraverso cui pensiamo, non sarà affatto semplice per esempio per la successiva filosofia cristiana. In quanto religione monoteista essa poteva infatti solo riconoscere l’esistenza di Dio Sommo essere, somma sapienza e somma bontà. Se Dio tuttavia è il “Sommo bene“, come può esistere il male? Se Dio è luce da dove ha origine la notte? E così via. Bisognerà aspettare Sant’Agostino per ottenere una risposta soddisfacente. Risposta che Parmenide pare almeno abbozzare come intuizione, sostenendo che i contraddittori nascono dall’unità originaria.

Ok stiamo arrivando alle conclusioni. Credo di essermelo proprio meritato un like. 🙂

Aporie e conclusioni

Il pensiero di Parmenide è ricco di implicazioni aporetiche. Le quali rivelano più che una carenza del nostro pensatore, una difficoltà nel formalizzare per la prima volta il principio di non-contraddizione. Il filosofo di Elea resta pur sempre figlio del suo tempo e legato alla materialità del principio. Ancorché riesca senza dubbi ad elevarsi ad un livello di concettualizzazione senza precedenti, la sua “dimostrazione” del principio resta legata al solo piano ontologico. La soluzione proposta è quella di delegare al regno delle apparenze la realtà concretissima del divenire. Fece l’esatto contrario di ciò che propose Eraclito. Che invece additava come apparenza il permanere delle cose. Ne all’uno, ne all’altro però riuscì di liberarsi dalla strutturale contraddizione, che consiste nell’avere isolato uno solo dei momenti ed averlo elevato a principio.

Nel caso di Parmenide, se solo l’essere può essere, può essere detto e pensato, com’è possibili dire e pensare il non-essere? Come è possibile non riconoscere al non-essere una qualche forma di esistenza, almeno sul piano logico o gnoseologico (conoscitivo)? Pare infatti evidente l’esatto contrario rispetto a ciò che sostiene Parmenide. Una volta detto l’essere, possiamo immediatamente pensare con esso il non-essere. Proprio come ci aveva detto Eraclito i contrari sono infatti intimamente legati fra loro. Se dico che “non-essere non è” non sto forse dicendo il non-essere? Non è forse che il principio di non contraddizione nella misura in cui viene affermato contraddice se stesso? Occorrerà aspettare Aristotele per redimere la questione.

Se hai dubbi o necessiti di chiarimenti, puoi commentare l’articolo, sarò lieto di risponderti! Non dimenticare che puoi sempre avviare una discussione su Forum plus+

Clicca qui per andare al Forum!

/ 5
Grazie per aver votato!