Salute per tutti: Diritti universali e interesse del singolo

Di quanto è allungata l’aspettativa di vita?

A proposito di salute,, il nostro caro Dante iniziava la Divina Commedia con: “Nel mezzo del cammin di nostra vita”. Il riferimento più citato come ispirazione a queste parole è il Convivio (IV 23, 6-10): “lo punto sommo di questo arco [della vita terrena] ne li più io credo [sia] tra il trentesimo e il quarantesimo anno, e io credo che ne li perfettamente naturati esso ne sia nel trentacinquesimo anno”. Una concezione, questa, che si fonda biblicamente su un Salmo XC, 10: “I giorni dei nostri anni arrivano a settant’anni e per i più forti a ottanta”, e su Isaia XXXVIII, 10, cui il sommo poeta sembra proprio ispirarsi:  “Io dicevo: “A metà della mia vita me ne vado alle porte degli inferi; sono privato del resto dei miei anni”.

Te lo chiederò spesso, che ne dici di mettere un bel like all’articolo 🙂

Possiamo dunque sostenere che l’aspettativa di vita del fiorentino era di circa 70 anni. Oggi la vita media in Italia è di circa 82 anni . A ben guardare quindi il progresso della medicina ha prodotto un aumento della durata media dell’esistenza di una decina d’anni. Non è di certo poco, ma sicuramente meno di quello che ci aspettavamo. Quante volte ci siamo sentiti dire “Un tempo si moriva a 40 anni”?. Salomone ancora prima della nascita di Cristo ci parlava di un’età media di 70 anni. Come è possibile dunque questa discrasia?

Salute diritto o privilegio?

Hanno ragione Salomone e Dante oppure l’esperienza dei nostri nonni e bisnonni? Il mistero si scioglie se si considera la questione del censo. Dante era un benestante e Salomone un imperatore. Sarebbe allora corretto dire che uno stile di vita sano conduce ad una vita sufficientemente longeva. Lo stile di vita è tuttavia una questione di classe. Oggi non siamo per fortuna più a ragionare in questi termini.

Vi fu però un tempo nel quale mentre in città si moriva di peste, una manciata di ragazzini si annoiavano in una tenuta fuori città. Come ci racconta lo stesso Boccaccio questi ragazzini non avevano altro problema che vincere la noia e per questa ragione cominciarono a raccontarsi storielle. Non è importante che i fatti raccontati nel Decameron fossero reali ovviamente, quanto il fatto che potessero essere ritenuti plausibile nell’epoca raccontata dal sommo poeta.

Da questo punto di vista sarebbe più corretto dire che giovò più in termini di salute pubblica la costruzione di una buona rete fognaria che la scoperta della penicillina. Ancora più a fondo sarebbe pi corretto dire che giovò di più aver reso gratuito il vaccino, che la scoperta in se dell’antigene in grado di stimolare il sistema immunitario. Insomma se si parla di salute, allora è più corretto dire che il vero progresso non fu tanto quello scientifico, ma quello sociale. Questo se per progresso sociale si intende una migliore redistribuzione della ricchezza. La migliore cura è la prevenzione e questa si ottiene in modo efficace solo se è un programma collettivo. Si ottiene solo se la salute è intesa come un diritto universale e non come un privilegio di classe.

Se guardiamo la vita media dell’uomo comune nel medioevo, piuttosto succedeva che tra scarsa alimentazione, lavori usuranti, malattie, pessima qualità dell’acqua si arrivava a vivere circa 45 anni.

La salute è un concetto universale

Tra Dante e l’uomo comune c’era uno scarto nella vita media di quasi trentanni di differenza.  La domanda che possiamo legittimamente porci allora è cosa ha realmente prodotto l’aumento dell’aspettativa media di vita? Cosa ha influito di più? Il progresso tecnico in senso stretto o piuttosto la socializzazione di quello stesso progresso? Quello che potremmo definire in analogia progresso sociale?

“Questo noi lo sappiamo. Tutte le cose sono legate fra loro come il sangue che unisce i membri della stessa famiglia. Tutte le cose sono legate fra loro. Tutto ciò che si fa per la terra lo si fa per i suoi figli. Non è l’uomo che ha tessuto le trame della vita: egli ne è soltanto un filo. Tutto ciò che egli fa alla trama lo fa a se stesso”.

Lettera del capo indiano di Seattle al presidente Usa Franklin Pierce

In termini di salute pubblica giovò più la scoperta dell’antibiotico e del vaccino o l’aver reso quell’antibiotico e quel vaccino accessibile a tutti? Vista in questo modo l’acquisizione principale della medicina contemporanea è stata l’idea di salute come diritto universale dell’uomo. Già Florence Nightingale, la prima donna a riflettere sul senso del prendersi cura e considerata perciò la fondatrice dell’infermieristica moderna, scriveva:

“La salute di un gruppo è la salute di una comunità. Se non si ha la salute del gruppo non è possibile ottenere quella della comunità. Si dice che la competizione oppure ognuno per sé e il diavolo contro tutti, sia necessaria, ma ciò rappresenta un nemico per la salute. L’antidoto è rappresentato dall’aggregazione; interessi di gruppo, ricreazione, associazione per procurarsi l’aria migliore, il cibo migliore e tutto ciò che rende la vita utile, salutare e gioiosa. Per quanto possiamo avere successo il nostro successo sta nell’aggregazione”.

Il senso di comunità, l’idea che la salute sia solo nella misura in cui è per tutti, rappresentava per lei una vera e propria medicina. La Nightingale fu anche la prima a rendersi conto che un ambiente salubre, una corretta igiene e una buona alimentazione aiutavano il processo di guarigione, intendendo la cura in modo olistico, ovvero, come presa in carico dell’intera persona.

Le dichiarazioni dell’OMS

La questione della salute si pone allo stato attuale, dunque, come una questione di omogenea distribuzione dei servizi sanitari e, ancora più in alto, come una questione di equità sociale. Un ruolo cruciale hanno assunto in questo senso le ripetute dichiarazioni dell’OMS (Organizzazione Mondiale della Salute), la quale la definisce come: “Stato di completo benessere fisico, mentale e sociale e non semplicemente assenza di malattia o infermità” (Dichiarazione di Alma Alta 1978). L’attività principale dei soggetti volti a promuovere la salute non è dunque la cura della malattia, ma la prevenzione, come insieme di misura atte a garantire il pieno sviluppo di una comunità: “per un intenso sviluppo economico e sociale, che contribuisce ad una miglior qualità della vita e della pace mondiale” (ibidem).

Il carattere utopico di tale definizione di salute è molto chiaro e condivisibile, giacché descrive una situazione di completa soddisfazione e felicità che forse non può mai essere raggiunta; ciò nonostante costituisce un punto di riferimento verso il quale orientare i propri sforzi politici, economici e culturali oltre che sanitari. In questa prospettiva, infatti, l’OMS assegna, più che al solo sistema sanitario, agli Stati e alle loro articolazioni interne l’onere di adempiere tale risultato.

L’assistenza primaria

Lo Stato, in altre parole la stessa collettività concepita come bene comune, dovrebbe farsi carico, tramite opportune alleanze solidali, di modificare quei fattori che influiscono negativamente sulla collettività stessa, promuovendo al contempo le condizioni che generano invece progresso e sviluppo: “L’assistenza sanitaria primaria riflette e si sviluppa dalle condizioni economiche e dalle caratteristiche socioculturali e politiche di un paese e delle sue comunità; essa si fonda sull’applicazione dei risultati significativi ottenuti dalla ricerca sociale, biomedica e nei servizi sanitari e sull’esperienza maturata in sanità pubblica” (ibidem).

La cura non è perciò rivolta solo all’allontanamento dello stato negativo della malattia, ma è anche azione in positivo che “comprende almeno: l’educazione sui principali problemi di salute e sui metodi per prevenirli e controllarli; la promozione di un sistema di approvvigionamento alimentare e di una corretta alimentazione; un’adeguata disponibilità di acqua sicura e il miglioramento delle condizioni igieniche fondamentali; l’assistenza sanitaria materna e infantile, compresa la pianificazione familiare; l’immunizzazione contro le principali malattie infettive; la prevenzione e il controllo delle malattie endemiche locali; un appropriato trattamento delle malattie e delle lesioni più comuni; la fornitura dei farmaci essenziali; coinvolge, oltre al settore sanitario, tutti gli altri settori e aspetti dello sviluppo nazionale e della comunità che sono collegati” (ibidem).

Salute e stato sociale

Salute è garantire ad ogni individuo le migliori condizioni di vita, in modo da permettergli una piena realizzazione in quanto animale sociale. Nelle nostre società moderne ed occidentali la promozione della salute è in una sola espressione Welfare State (Stato sociale). Questa allora non può essere preoccupazione della sola medicina e degli istituti atti ad occuparsi di assistenza sanitaria in senso. Nella Carta di Ottawa del 1986, documento che prosegue nella direziona già tracciata nel 1978, sempre l’OMS afferma che: “Quel che più conta è che la promozione della salute richiede un’azione coordinata da parte di tutti i soggetti coinvolti: i governi, il settore sanitario e gli altri settori sociali ed economici, le organizzazioni non governative e di volontariato, le autorità locali, l’industria e i mezzi di comunicazione di massa.

Le persone di ogni ceto sociale sono coinvolte come individui, famiglie e comunità” (Carta di Ottawa). La promozione della salute è promozione della politica nel senso greco di polis (popolo), è sviluppo e progresso di un popolo o meglio del genere umano. Lo stato di benessere in questo senso può essere rappresentato da una bellissima espressione Africana, Ubuntu, che in lingua bantu indica “benevolenza verso il prossimo”.

Cos’è Ubuntu?

Ubuntu, che è compassione e ad un tempo rispetto dell’altro, mutua assistenza, solidarietà reciproca, auto-aiuto è il sentimento che deve legare i membri di una comunità e che ne permette il pieno sviluppo. Appellandosi all’ubuntu si è soliti dire Umuntu ngumuntu ngabantu, ovvero “Io sono ciò che sono in virtù di ciò che tutti siamo”. L’ubuntu esorta dunque a prendere coscienza non solo dei propri diritti, ma anche dei propri doveri, poiché è una spinta ideale verso l’umanità intera, un desiderio di pace, come ci mostra il racconto che a suo tempo riportai in questo post.

In questa direzione paiono andare le dichiarazioni emersa a Ottawa: “La promozione della salute agisce attraverso una concreta ed efficace azione della comunità nel definire le priorità, assumere le decisioni, pianificare e realizzare le strategie, che consentano di raggiungere un migliore livello di salute. Al cuore di tutto ciò vi è il processo che attribuisce un maggior potere alle comunità, vi è il possesso e il controllo da parte delle comunità stesse dei loro sforzi e dei loro destini. Lo sviluppo della comunità attinge alle risorse umane e materiali, esistenti nella comunità stessa, per aumentare l’auto-aiuto e il supporto sociale e per sviluppare sistemi flessibili, che rafforzino la partecipazione e la direzione pubblica sui temi della salute” (Ibidem).

La costituzione italiana

La Costituzione italiana recepisce nella maniera più ampia possibile le indicazioni dell’OMS, per la quale, come già visto, “la salute è un diritto umano inalienabile, essenziale per lo sviluppo sociale ed economico di qualunque popolo”. L’art. 32,  comma 1, della Costituzione recita infatti:

La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività e garantisce cure gratuite agli indigenti. Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana.

Definisce quindi la salute come “fondamentale diritto dell’individuo” e come “interesse della collettività”, delineando due aspetti, quello del diritto e quello dell’interesse, distinti ma coordinati. Il diritto alla salute si configura, più in generale, come valore costituzionale supremo in quanto riconducibile all’integrità psico-fisica della persona. È inoltre prescritto l’obbligo alla solidarietà rispetto agli indigenti ed il rispetto verso il valore inestinguibile della persona, a prescindere dalla sua cittadinanza.

La lettera del testo costituzionale con ancora più forza rispetto alle dichiarazioni dell’OMS specifica che la salute è interesse della collettività, con riferimento diretto alla persona e non al cittadino. Il diritto alla salute è un attributo naturale di ogni individuo e da questo punto di vista si configura come specificazione del suo diritto all’esistenza (e non alla semplice sopravvivenza).

Il codice deontologico dell’infermiere

Il codice deontologico dell’infermiere, che, lo ricordiamo, vincola l’azione infermieristica a principi etici di ordine generale, infine, recepisce, con assoluta trasparenza ed impossibilità di equivoci, tanto le dichiarazioni dell’OMS quanto i dettami della Costituzione appena riassunti. Al primo punto recita infatti:

L’assistenza infermieristica è servizio alla persona, alla famiglia e alla collettività.

All’art. 4 viene poi ribadita l’intrinseca connessione tra assistenza alla persona ed equità sociale:

L’infermiere presta assistenza secondo principi di equità e giustizia, tenendo conto dei valori etici, religiosi e culturali, nonché del genere e delle condizioni sociali della persona.

È ancora, all’art. 6, infine, si riprende la lettera del mandato costituzionale:

L’infermiere riconosce la salute come bene fondamentale della persona e interesse della collettività e si impegna a tutelarla con attività di prevenzione, cura, riabilitazione e palliazione.

Ogni volta che un diritto viene leso, un sopruso commesso, un individuo violato, qualcosa si lacera nella complessa trama del tutto e colui che sente questa sua intrinseca appartenenza al tutto soffre per la lacerazione subita; è impellente in lui l’urgenza di porvi rimedio, di ripristinare la solidarietà, di ricucire quello strappo, di ritessere la trama della vita. Posso migliorare la condizione del singolo solo se miglioro la condizione generale dell’ambiente sociale e naturale dentro cui è inserito: “La più grande minaccia per la salute è soprattutto la povertà” (Carta di Ottawa).

Voi che ne pensate? E’ giusto per voi che lo Stato e quindi la collettività si faccia carico delle cure sanitarie per tutti? Della crescita e dello sviluppo della comunità? In questo “tutti” sono inclusi anche gli stranieri? E chi è lo straniero? Non esitate a commentare o a condividere il post se vi è piaciuto :).

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