Mi presento
Mi presento: chi sono io
L’estate bussava alle porte e come ogni volta mi aveva trovato impreparato. Non che le energie mi mancassero, piuttosto il contrario. Pare che il sole, le temperature e tutte le condizioni esterne mi rimettessero a nuovo. Cagionevole di salute com’ero, d’inverno semplicemente andavo in letargo, chiuso in casa a mal sopportare le amorevoli cure della famiglia.
Tuttavia d’estate il borgo si svuotava, chiunque aveva una seconda casa al mare, chiunque tranne noi a quanto pare. Famiglia povera lo eravamo senza alcun dubbio, ma restavamo pieni di orgoglio e fieri della nostra esistenza puritana, priva di sfarzo e austera in ogni suo dettaglio e ciò nonostante piena di dignità.
Coltivavamo nei cuori una profonda motivazione alla crescita sociale della famiglia.
“Noi siamo arrivati dove potevamo perché non avevamo un’istruzione” non faceva per ripetermi in continuazione papà. “Voi dovrete avere un’istruzione e prendervi una laurea. Dovete sempre puntare il più in alto possibile. Perché più in alto puntate più lontano arriverete comunque andranno le cose. Se invece puntate in basso non potrete comunque arrivare più in là di così”. Nel dire questa frase disegnava con le mani il movimento della freccia. Non era l’esempio giusto, perché se lanci una freccia più punti in basso e più lontano arriva, ma il concetto restava chiarissimo lo stesso. Capivo il senso della sua affermazione e condividevo con loro un obiettivo che passava attraverso di me e mio fratello.
Non mi rendevo conto forse che in questa corsa per il riscatto sociale non avrei avuto un valore per quello che ero, ma per i risultati che ottenevo, ma per come mi presento. Non mi rendevo conto che essere importanti per qualcuno vuol dire sentirsi amati non essere visti. Passavo piuttosto le giornate a cercare riconoscimento sociale, che vuol dire in soldoni ottimi risultati a scuola. Tra le “sudate carte” e i lunghi periodi di malattia la mia vita relazionale non era granché e di questo me ne lamentavo spesso: “Adesso soffri perché stai sempre chiuso in casa e invidi tuo cugino che esce ogni sera, ma vedrai che crescendo sarà al contrario. Tu avrai un lavoro di tutto rispetto e tuo cugino invidierà te!”.
Io continuavo a chiedermi perché parlassi di desideri,
di bisogni, di attenzioni e loro rispondessero con l’invidia. Cosa vuoi che mi importasse di chi invidiasse prima o dopo. Davamo tutti per scontato che mi avrebbero invidiato tra venti anni, ma nell’attesa restava il fatto che gli altri ignoravano deliberatamente me, almeno quando io ignorassi esplicitamente loro. Dovevo già apparire sin da piccolo, fiero, altezzoso e autosufficiente, ma nascondevo in realtà un bisogno estremo di relazione e contatto umano.
Per intanto i miei, onde facilitare ulteriormente la mia vita relazionale, avevano pensato di iscrivermi in primina, di modo tale che mi ritrovassi a sette anni appena compiuti direttamente in seconda elementare. Capite? Studiare già all’asilo. Compagni anche due anni più grandi di me. Insomma cosa poteva andare storto? Abituato com’ero ad essere sempre il più piccolo mi muovevo come un elefante in una stanza di cristalli. Attenzionavo ogni mio gesto per non rompere nulla, non creare disturbo, ma soprattutto non attirare l’attenzione su di me.
“Vedrai un giorno, questo vantaggio d’età ti tornerà utile” continuavano a ripetermi i miei.
Eccola tutta lì la mia vita. L’attesa di un giorno che forse non sarebbe mai arrivato, un giorno nel quale sarebbero successe cose incredibili e da farmi perdere la testa. Nel frattempo però c’era la vita di tutti i giorni, cadenzata, ordinata, precisa e alquanto noiosa. E così che mi presento
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