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08/14/2023 by Alessio Farina Leave a Comment

La regina di cuori: matrigna del focolare

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Una madre ama di solito in suo figlio più sé che il figlio stesso.

F. Nietzsche

La matrigna desiderata, seduttiva, erotizzata nella sua richiesta di vicinanza, contratta nell’uso dei desideri, incapace di dare senza essersi prima assicurata di aver ricevuto, calcolatrice, travestita da vittima, possessiva, vendicatrice, punitiva, disinteressata.

La santa matrigna, domestica del focolare

Un classico di ogni fiaba che si rispetti la matrigna è un personaggio molto più conosciuto di quel che si pensi. Il figlio o figlia cresce come un orfanello, servo della sua padrona, cui deve tutto, nella convinzione di valer poco, di dover continuamente risarcire il disturbo arrecato, schiacciato tra sensi di colpa e rabbia repressa che si tramuta troppo spesso in angoscia. Sottomesso al capriccio di una volontà evanescente, scostante, evanescente, che pare sempre dover essere risarcita per il fatto stesso che si sta prendendo cura di qualcuno.

Qual’è il vero volto della matrigna? Quanto è riconoscibile in lei la sua cattiveria. In effetti difficilmente il volto della matrigna è quello trionfante e gaudente della propria perfidia. La regina è in realtà serva del focolare, sottomessa all’autorità probabilmente, perfetta donna di casa. Ci tiene ad essere la più bella del reame, ma anche la più buona, la più prodiga di cuore, la più umile persino.

La regina della casa si mostra all’esatto opposto di ciò che è. Somiglia dunque più alla vecchietta, fragile, devota, ubbidiente all’autorità e capace di dispensare doni. La seduzione è più quella della debolezza, della pena, del bisogno con cui lega nella doppia direzione (è bisognosa e si occupa del bisogno altrui). La carica erotica di questa relazione è dissimulata, resa occulta, non riconosciuta. Il godimento malcelato è quello del sentirsi buoni, del sacrificio del sé per la salvezza altrui. E’ la donna della devozione quella che continuamente viene mostrata, dell’immensa umanità e volontà di aiutare il prossimo, la donna dal cuore di mamma disposta a tutto pur di rendere felici i figli.

La mendicante fragile e accudente

Come la classica domestica del focolare appare dunque desiderosa solo di accudire la prole. Già così tuttavia si rivela trasbordante nelle sue attenzioni. Appare evidente che prendersi cura dei bisogni dei figli è piuttosto un suo bisogno, per cui i figli vanno tenuti bisognosi e carenti, affinché possano essere accuditi.

Ossessionata dall’ordine e dal controllo, incapace di disfarsi per davvero delle cose. Disinteressata alla cura reale dei figli, soprattutto del loro bisogno di sviluppare personalità autonome, sul lato emotivo è in gioco un misto di sentimenti che vanno dalla gelosia, al rancore.

Cospiratrice, tesse ragnatele, dice il contrario di ciò che pensa e fa l’opposto di quello che farebbe. Perdona quando desidera solo vendetta, isola quando vuol punire, abbandona quando l’altro si mostra riottoso a subire le sue cure.

Lo specchio della bellezza cui sempre guarda

Proietta il proprio sé grandioso sui figli che sono chiamati a farle da specchio della propria bellezza, ingorda com’è di successi, li mastica una volta raggiunti e poi li sputa via. Ha bisogno di essere venerata e continuamente al centro dell’attenzione e dovunque vada nella relazione ne fa una questione di potere. E’ il dominio di chi serve, non di chi comanda. Il controllo di chi lascia ad altri l’immagine della signoria, ma lavorando per lui se ne assicura la sua dipendenza. La debolezza è dunque la sua forza, la parola sussurrata, insinuata nel cuore dell’altro come uno spillo.

Non è l’ordine diretto il suo strumento preferito, ma il complotto nel retro bottega il suo miglior ricamo. Tesse ovunque tele, assicurando di reggere sempre lei i fili. Divide dove gli altri provano ad unire, rafforza chi sta al centro quando la periferia borbotta, oppure ingrassa il rancore della periferia quando il centro minaccia contro. Indebolisce e disprezza quando qualcuno si allontana, riempiendo d’angoscia ogni suo gesto, quando non di rabbia furente di modo tale che ad essa segua il senso di colpa. La coscienza sfinita dalla lotta finisce con il cercare ristoro esattamente nel luogo da cui avrebbe voluto fuggire. Una volta arresa all’ira e sconfitta dall’umiliazione, tornata all’ovile l’anima ribelle può di nuovo essere ammantato di amorevoli cure. Questo pare: sempre disposta a perdonare, a ricevere il figliol prodigo, anche quando costui aveva voglia di partire non di restare, ma la sua volontà gli è indifferente.

La strega matrigna: famelica di attenzioni

Rabbia, Angoscia, Noia, Senso di colpa sono le cose che pesca dal ventre di personalità deboli e incapaci di tenere alti i confini tra lei e loro.

Dalla Rabbia al senso di colpa. La prima è insinuata con provocazioni, obblighi impossibili da rispettare, vessazioni sopratutto emotive. La seconda arriva sempre subito dopo l’esplosione di rabbia, che è lei che ha causato, ma rispetto alla quale adesso è vittima assoluta. L’angoscia è l’atto conclusivo di una mattanza, perché adesso lei è la sola che può prendersene cura, che pare conoscerla. Insomma lei ha il veleno e lei l’antidoto, lei insinua la colpa e lei possiede la chiave del perdono.

La crocerosina che proietta nell’altro il suo bisogno di cura

Il sacrificio in lei, incapace di godere per davvero com’è, diventa una missione e la forma più alta di erotismo. L’amore diventa concetto astratto, tensione assoluta verso un uomo assoluto che non esiste, un padre immaginario che copre quello reale, assente quando non violento o indifferente. In questa potete manipolazione della realtà, il marito è preteso comandante, se non fosse che a ordinargli di comandare è lei. La sostanza del paradosso è indebolirne una figura fragile, marginalizzarla, elevarla a male assoluto, piuttosto che rinforzarla e predisporla al comando.

La vedetta sul marito è giocata con i figli, che gli ha sistematicamente messo contro, dacché sempre è stato utilizzato come missivo della sua ostilità. Un po’ come il cacciatore nella nota fiaba è lei che ordisce trame, ma non è lei ad eseguire i compiti più sgradevoli.

Di chi vuoi che sia la colpa quando le cose sono andate male? Quando le trame sono state scoperte? Di chi vuoi che sia il braccio virguto quando il fanciullo si ribella? Prova vergogna? Si ostinata nell’errore? Un reuccio è messo lì a far finta di comandare.

Odiata e amata matrigna

La corda che trattiene i figli è allentata o stretta sulla base del proprio umore. Nutriti di ansia, angoscia e poca stima di sé, vengono apparentemente elogiati e sotto scherniti, sminuiti e svalutati costantemente.

La matrigna resta sola di fronte al suo altare, sola anche quando l’ultimo alfiere ha ceduto alla tentazione della carne e con altra carne di donna l’ha tradita. Resta ostinata al comando disfacendo le carni del suo reuccio, il cui compito adesso è definitivamente assolto e che non gli serve più. Lo sevizia, lo umilia e lo lascia li tutto pelle e ossa. Arrabbiata, desolata e clamorosamente sola, lascia che il suo regno un tempo florido e pieno di schiamazzi adesso crolli.

Angoscia profonda è tutto ciò che resta di lei, angoscia con la quale bisognerà imparare a convivere, con la quale si è stati nutriti sin dal primo giorno e che sempre dispensa la sua tragica figura di donna.

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