
Constitit, et lacrimans, ‘Quis iam locus’ inquit ‘Achate,
quae regio in terris nostri non plena laboris?
En Priamus! Sunt hic etiam sua praemia laudi;
sunt lacrimae rerum et mentem mortalia tangunt.
Solve metus; feret haec aliquam tibi fama salutem.’
Sic ait, atque animum pictura pascit inani,
multa gemens, largoque umectat flumine voltum.
Si fermò, e piangendo, disse: “O Acate, quale luogo ormai, quale regione nel mondo non ha piena notizia dei nostri affanni?
Ecco Priamo. Pure qui l’onore ha i suoi premi,
ci sono lacrime per le sventure e le storie dei mortali che commuovono.
Non aver paura: la fama ti porterà salvezza”.
Così dice e nutre il cuore con la pittura vana
gemendo molto, ed irriga il volto di abbondante fiume.
Le pazze e la natura delle cose
Nel libro I dell’Eneide Enea sta contemplando le scene della guerra di Troia dipinte sulla parete del tempio di Giunone.
Enea sorprende allora il fido scudiero Acate commosso e ad un tempo angosciato da quelle immagini. E, tra le lacrime chiede. Si sente rispondere che Priamo resta immortalato nel suo terribile dolore a testimonianza di un cuore (quello dell’artista) capace di rendere onore (sunt etiam sua praemia laudi) a chi lo merita. In questo contesto Virgilio scrive la famosa quanto complessa espressione Sunt lacrimae rerum che da il titolo all’opera di Attanasio, meglio conosciuta come “Le pazze”.
Le pazze l’opera di Natale Attanasio
L’opera è parte della collezione di quadri contenuta nel Castello Ursino a Catania. Entrando nella stanza che lo contiene si viene immediatamente rapito dal dipinto e in particolare dal volto della donna alla sinistra. Un volto perso nello sguardo dentro un corpo capace e prosperoso. Un immagine seduttiva e al tempo stesso angosciante. L’autore sceglie questo titolo che è ancora più bello dell’opera: Sunt lacrime rerum.
Ecco l’arte nella sua manifestazione simbolica di parole e immagini rappresenta con l’agilità che gli è propria l’emozione che si prova allorquando si varcano certe soglie e tutto il proprio corpo vibra di una tensione nuova angosciante e insieme erotica. La pietà verso il malato psichiatrico (le pazze) è un sentimento forte che personalmente non sono stato capace di contenere.
Se fosse possibile a me tradurre quel “Sunt lacrime rerum” vi direi che li “anche le cose piangono”. Ed è questa la sensazione che ho avuto entrando in quei luoghi. Anche le pareti vibravano e restituivano il dolore che su di loro si scontrava.
Quelle che seguono sono le parole che ho scelto per concludere la mia esperienza in psichiatria come professionista della salute. Sono parole di commiato, le uniche che ho saputo proferire, dopo tante riflessioni e analisi che lasciano traccia, anche qui tra gli articoli del mio blog. Sono un saluto, che suona come un arrivederci.
Le cose piangono toccate dalle vicende umane
Conserverò l’importanza di ascoltare al di là delle parole, la necessità di tacere ove non è possibile parlare, la consapevolezza che ciò che pensiamo scaturisca da noi è spesso una risposta all’altro.
Ho compreso che la capacità di sentire il dolore è indice di benessere e che troppo spesso è il nostro tentativo di rifuggirlo a costituire il problema. Ho imparato che chi è capace di chiedere aiuto è già a metà dell’opera, che chi conosce le proprie debolezze è più forte, che il Sé è uno specchio del quale è complesso guardarsi per davvero.
Resto convinto che dove non c’è libertà non c’è né coscienza, né umanità, né spazio di cura, che non è possibile aiutare chi non vuole farsi aiutare.
Anche le cose hanno lacrime
Ho trovato problemi dove immaginavo soluzioni, dubbi proprio lì dove erano serbate le mie certezze, scoperto amor proprio dove vedevo altruismo.
Sono stato visto da volti umani dove pareva non esserci spazio per l’uomo e tanti sorrisi dove avrebbe dovuto esserci disperazione. Ho ricevuto più grazie di quelli che avrei meritato, capito cos’è la resilienza, cos’è l’ostinazione e quant’è invincibile l’animo umano anche quando si arrende.
Non credo vivrò più esperienze così forti, disarmanti e travolgenti. Non credo abiterò più luoghi così inquietanti, indomabili, inabitabili, inospitali dell’animo umano.
Imparo che “tutto” e “niente” sono le parole di chi non ha guadagnato la complessità del reale, che “Nessuno” e “Tutti” sono solo in apparenza dei soggetti usati da chi si è già isolato dal mondo. Imparo che le emozioni colorano la vita e che il non-senso è la cifra reale dell’animo umano.
Resta però la mia personale delusione, delusione per me stesso per ciò che non ho dovuto, né potuto, né voluto accettare. Resta la mia di ostinazione e di incapacità di sostenere la complessità del reale, le mie di incoerenze che voglio lasciare tutte li per dove sono. Mantengo salda l’idea che l’amor proprio è una forma di perdono e che l’unica vera malattia è la solitudine.
L’angelo caduto: la ribellione oltre la paura
Poi c’è questo quadro che voglio portare con me. Mi ha scandalizzato quando l’ho visto la prima volta, almeno quanto quello precedente.
Volendo cogliere un filo conduttore potrei sostenere che sembrano due sguardi opposti quello disperso nell’etere della fanciulla prosperosa e vittima assoluta e quello furente del “re nudo” appena scoperto nelle sue trame.
Si tratta tuttavia dei due volti dell’isteria.
La bella posa che ama mettersi in mostra anche nella disperazione, che sia annichilamento nel prossimo o assoggettamento dell’altro. Che sia smania di dominio e desiderio di cura i due volti sembrano incontrarsi. Nel Faust di Goethe, come nella terminologia attuale diremmo, si incontrano il narcisista e il dipendente.
Tutta questa complessità viene semplificata in un tocco gentile sulla tela.
L’emozione che si coglie nel volto dell’angelo decaduto o è solo parte della forza del dipinto. La bella posa nella caduta, la perfezione del corpo e quell’accenno di corna che mostrano i capelli rendono l’idea di quanto sia umano il sentimento di ribellione e la fame di giustizia dell’angelo della luce, che tuttavia non può essere sanata se non commettendo altre ingiustizie.
Il prediletto del Signore, nutrito fin dalla nascita del suo stesso orgoglio, viene infine cacciato perché opera soltanto le conseguenze dell’essere che lo ha voluto così. Il rancore, la rabbia cieca e disperata stanno letteralmente bruciando Lucifero che di lì a breve instaurerà il suo regno nella terra delle ombre. Ma in questa posa niente è ancora successo, tutto sarebbe ancora recuperabile, solo che lui oramai è irrimediabilmente solo, probabilmente schernito dal coro degli angeli sopra di lui, angeli che lui stesso sa per certo valgono molto meno e proprio per questo mai oserebbero spingersi così tanto oltre il limite.
Mi chiedi cos’è la felicità adesso? Un respiro a pieni polmoni quando le correnti dell’anima si sono acquietate