l termine “borderline” è piuttosto recente nell’ambito della psichiatria e soleva indicare uno stato di confine con la follia (Hughes 1984).

Definiva quindi il comportamento di gente troppo sana per essere definita pazza e troppo pazza per essere definita sana.
Esisteva quindi un territorio psicologico di confine tra sanità mentale e pazzia (Rosse 1980) e quindi un livello di funzionamento intermedio tra le nevrosi e le psicosi. Alfred Stein (1938) notò che le persone con caratteristiche borderline tendevano a peggiorare piuttosto che a migliorare a seguito di un trattamento analitico classico. Le definizioni di questa zona grigia sono cambiate nel corso degli anni Helene Deutsch (1942) parla di “personalità come se”, Hoch e Polain propone l’espressione “schizofrenia pseudonevrotica”
Il manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali
Oggi il termine “borderline” indica uno specifico disturbo di personalità, allontanandosi dunque dall’idea che possa esserci un livello di funzionamento e uno specifico “carattere”. Il DSM, ormai arrivato alla sua quinta edizione, avrebbe dovuto servire ad integrare la diversa terminologia, assicurandosi un minimo di condivisibilità all’interno della discussione scientifica sui disturbi mentali. Ha purtroppo finito per diventare la “Bibbia” del diagnosta, confondendo la neutralità delle definizioni in esso contenuto con l’oggettività.
L’operazione sicuramente riuscita sul piano clinico, dacché permette di associare un gruppo di segni e sintomi ad un titolo diagnostico e di conseguenza ad uno specifico trattamento farmacologico e psicoterapeutico è tuttavia tra le più infauste a livello di concettualizzazione teoria. L’approccio filosofico che ho seguito nell’articolo non può essere più distante da questa posizione, ricordando tuttavia al lettore che il filosofo non ha il compito di curare il malato, ma di riflettere sulle domande di senso che orientano nel mondo.
Il disturbo borderline di personalità
Scartata la posizione neo-positivista del DSM ho trovato certamente più interessante la prospettiva psicodinamica, che almeno concepisce il rapporto tra sanità e malattia, non sulla base di criteri da verificare punto per punto, ma rispetto ad un continum dunque quantitativo e non qualitativo. In questa prospettiva il passaggio dalla salute alla malattia è oscillante e incerto.
L’approccio psicodinamico
Tuttavia all’interno della prospettiva psicodinamica ci si sente spesso come di fronte ad una vivisezione del paziente, che risulta sempre piuttosto cosificato. Ho dunque preferito radicalizzare il mio approccio e saltare anche questo momento di riflessione.
Sono a tutt’oggi persuaso che non fosse allora necessario buttare il bambino con tutta l’acqua sporca per così dire e che il processo di secolarizzazione non avrebbe dovuto interamente sbarazzarsi dello spazio di senso aperto dalla religione. Questo spazio che ha a che fare con l’uomo non può essere interamente riempito dalla psicologia, meno che mai dalle neuro-scienze.
I vissuti borderline
L’anima resta il soggetto della riflessione sull’uomo. Partendo da questa premesse ho costruito tutto il resto dell’articolo che ha preso la strada che ha voluto mentre lo scrivevo. Ho introdotto il termine “vissuti borderline”, immaginando una riflessione fenomenologica sul termine. Solo dopo ho compreso che era necessario sbarazzarsi del termine.
Clicca qui per scaricare l’articolo
Lascia un commento