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04/15/2022 by Alessio Farina Leave a Comment

Il destino: nomen omen

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“Spesso ci si imbatte sul proprio destino sulla strada per evitarlo” (Maestro Oogway, Kung Fu Panda)

Nomen Omen

 Alla domanda: “Chi sei?” rispondi sempre con il tuo nome. La divinità che diede come compito all’uomo di nominare tutte le cose, impedì allo stesso di pronunciare il suo nome, perché è nel nominare che viene stabilito il dominio sulla cosa. Chiunque tu sia, non dimenticare mai il tuo nome perché è nel tuo nome che abita la verità, la possibilità di stabilire un dominio su te stesso.

Dominio ha la sua radice in “domino” dal latino “padrone”, così come “domare” pare affine nel suo significato etimologico a “legare”, “soggiogare”. La possibilità di stabilire un dominio su di sé acquista quindi il significato negativo di porre limiti a se stesso, imbrigliarsi nel senso di non eccedere. Chi si sa dominare, sa anche auto controllarsi. “Dominus” deriva tuttavia il suo significato da “domus” (casa), domare e dominare paiono quindi avere a che fare con la casa.  Ancora il “perturbante” è in tedesco “Unheimlich”, letteralmente il “non-familiare” o anche “indomabile” o meglio ancora “inabitabile” o “estraneo”.

La potenza del destino

Le parole, il loro gioco di rimandi e apparentamenti, paiono suggerire una relazione tra il dominio di sé e la costruzione di un focolare domestico da abitare. L’operazione presuppone ad un tempo un fare spazio per così dire, uno stabilire un confine tra ciò che ci è familiare e ciò che non lo è. Il sé ha bisogno di costruirsi distinguendosi dal non-sé. Costruire una casa da abitare ha allora il significato di creare uno spazio interiore come luogo della propria intimità, sottratto allo sguardo estraneo che si sente come inquietante o alieno o non-familiare.
Delle volte il Sè ha bisogno di riappropriassi di parti di sé rimossi, metaforicamente di arredare una casa che non sente come propria. Questo succede quando le pretese degli altri hanno la priorità sulle nostre aspirazioni che vengono continuamente censurate. Questo movimento di “espulsione” dal sé di divieti introiettati è un processo di emancipazione che conduce ad una maggiore libertà e consapevolezza di sé.
Recuperare contenuti rimossi non è però sempre l’operazione giusta da fare. In alcuni casi si ha a che fare con un Sè fragile che è sorto a mala pena, che si distingue dalla realtà, ma si trova troppo spesso invaso da quest’ultima. Il mondo gli cade troppo spesso addosso, come l’acqua che invade valli poste al di sotto del livello del mare.

Il dominio sulla cosa

Delle volte per continuare la metafora non esiste ancora una casa per il sè che sparge le sue cose in giro per il mondo. In questi casi l’operazione da compiere è quella inversa e più che riesumare alcunché dall’inconscio occorre sottrarre dalla realtà i pezzi di sé frammentati. Occorre edificare una casa dentro la quale rimettere a posto le proprie cose, ovvero creare quello spazio di intimità che permetterà di distinguere nettamente il sé dall’altro. In questo senso l’operazione eroica da fare è ricacciare indietro l’acqua, porre delle dighe maestose in modo da poter ricavare spazi di terra ferma dove poter abitare. La potenza dell’Io è allora quella che permette il dominio sul mondo, di allontanarlo da sé, lasciando entrare solo ciò che gli appartiene e che sento come proprio.
Ogni volta che qualcosa cede, ogni volta che senti che dentro te qualcosa sta andando in pezzi, pronuncia il tuo nome, perché nel nome c’è la tua casa, nel nominare si stabilisce sempre il possesso, nel tuo nome ti ricorderai chi sei.
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