Caos e creazione: significato

Il caos viene solitamente associato al disordine. Va da sé che questa idea presupponga che le cose avessero un ordine iniziale rimosso, scompigliato. L’universo stesso procede dall’ordine al disordine e la direzione inversa comporta un consumo di energia. Il caos tuttavia per i greci era all’origine di tutte le cose. Venne definito apéiron da Anassagora diade da Platone. Sul caos agiva secondariamente un principio ordinatore, che divideva, separava e di fatto creava. Si dovette aspettare l’arrivo del cristianesimo per la riduzione ad “uno” del principio creatore ed Hegel per la spiegazione più precisa della dinamica del divenire.

Il Lògos è quindi prima identità indeterminata (tesi), negazione o estraneazione (antitesi), e infine consapevolezza di sé o realizzazione (verwirkchlikeit) di se stesso e in questo senso unica realtà (sintesi). Già gli stoici avevano posto le basi di questa visione conciliata del logòs, mentre dubbie sono le interpretazione per Eraclito da cui pure Hegel eredita la sua dialettica. Non è chiaro vale a dire se la contesa degli opposti (polemòs) giungesse ad una risoluzione, riconciliazione per l’appunto o se piuttosto fosse il perdurare stato di irrequietezza a generare le cose. Nietzsche sceglie questa seconda strada interpretativa formulando il notissimo aforisma: “bisogna avere un caos dentro di sé per generare una stella danzante”.

Lògos o contesa

Comunque stiano le cose, che l’antitesi conduca ad una sintesi oppure no, pare che la generazione, passi comunque attraverso il caos, il disordine, la conflittualità, il negativo. Questo concetto complesso in astratto si aggancia piuttosto facilmente alla nostra esperienza individuale. Già la nascita comporta un lungo travaglio, che però è il travaglio della madre non del figlio. Questi due punti di vista sono consecutivi solo alla fine del percorso e sempre ammettendo che il risultato sia identico a quello che avevamo all’inizio, cosa niente affatto scontata nell’esempio precedente.

Se abbiamo guadagnato un punto di vista superiore (Assoluto), la sintesi era già contenuta nella tesi: l’adulto può riconoscersi nel bambino che è stato. Se esiste una resurrezione, la passione sarà “tolta” come un momento, “conservata” quindi non dimenticata. Anche se non dovesse esistere un riconciliazione tuttavia il caos avrà comunque trasformato la materia, senza che questa “conservi” memoria della sua trasformazione. In questo secondo caso la figura precedente verrebbe solo tolta e non conservata (rispettando la traduzione gentiliana di auf-heben).

Saremmo polvere e poi molecole del mare, del cielo e attraverso il vento torneremo alla terra utili alla semina e infine saremo albero in un ciclo eterno senza posa e senza dimora. Nietzsche lo chiamava “eterno ritorno” una ciclicità che non è una spirale crescente, ma piana per così dire.

Comunque stiano le cose il caos dentro di sé ha una potenza distruttiva che nel momento in cui accade non preannuncia la nascita di alcunché.

Che cos’è il Caos per la coscienza che lo comprende (verstehen)?

Il logos è la potenza del tutto capace di generare da sé la contraddizione. Il negativo è il momento di inciampo della coscienza, un urto a volte doloroso altre volte irrisolto. La crescita è un superamento del negativo, letteralmente uno stargli sopra in modo da poterlo guardare e da lì avere una visione del tutto che si era in potenza, adesso realizzato.

Ma che cos’è allora il caos? Il magma che ribolle che pare impossibile da controllare, la massa incandescente che si muove senza posa e che dal fondo di una irrazionalità preme per venir fuori? Il caos non è semplice disordine. E’ emotività pura, forza incontrastata, potenza dissolutrice, motore della vita. L’universo non nacque dal punto compatto, senza movimento, senza parti. Nacque dalla prima forte esplosione che scompose quell’uno, lo distrusse, lo polverizzò e lo espanse. Tutto dunque nasce dal Caos e pare in esso dileguarsi.

“Caos” ha un’etimologia complessa dal greco “chàos” rimanda a “fenditura”, e quindi “abisso”, ma anche “vuoto”, “buca” “tana”, come pure a “lasciar andare” nel senso di “abbandonarsi”. Sembra dunque che il senso primitivo sia quello di ampia tenebrosa voragine, nella quale, prima che il mondo fosse ordinato stavano commisti gli elementi dell’universo.

Scrive Esiodo nella Teogonia:

Dunque, per primo fu il Chaos, e poi Gaia dall’ampio petto, sede sicura per sempre di tutti gli immortali che tengono le vette dell’Olimpo nevoso,

Il caos è fuoco vivo che brucia, animo ribelle, dolore, rabbia, istinto. E’ l’abisso dei mari, quando il mare sembra così profondo da non averne uno. E’ il cielo sopra di noi, quando sembra sovrastarci e pesare sulle nostre spalle piuttosto che ergersi verso l’alto. Il caos è il contrario del logos, senza forma, senza nome. Per Hegel era quello stesso Logos nella sua assoluta estraniazione, ma questo è del tutto indifferente per la coscienza che lo accoglie dentro di sé: il caos è la sua negazione. E’ il delirio dionisiaco, traboccante di doni, il consumo orgiastico indistinto nauseante, angoscioso. E’ la voragine che tutto ingoia di riflesso e che nulla può riempire.

Non c’è nulla in un bruco che ti dica che sta per diventare una farfalla (R. Buckminster).

La farfalla potrebbe anche sapere di essere stata prima un bruco, ma non il bruco: “Quella che il bruco chiama fine del mondo, il resto del mondo chiama farfalla” (Lao TZU).

Che cos’è il caos per la coscienza che ne fa esperienza (erleben)?

E’ un precipizio, un abisso che scivola a vista d’occhio, e la profondità della fessura materna che pare volersi ringoiare il figlio.  Hegel restava un cristiano, restava cioè convinto che la morte avesse una resurrezione, che proprio dalle ceneri della coscienza dileguata, dai frammenti millimesimali prodotti dalla prima grande esplosione, risorgesse l’assoluto, nascesse l’universo. In principio era il Lògos e tutto si risolve dentro di lui. Ma comunque stiano le cose dal punto di vista esterno, alla coscienza non importa. Cosa celi il caos lei ancora non lo sa. Se anche lo sapesse, nel dileguarsi, non le sarebbe affatto consolatorio. Nella sua passione non ci sarebbe meno patimento. In quel sacrificio non ci sarebbe meno dolore. Non c’è niente nel nero della notte che annunci l’alba del nuovo giorno.

Il caos è creazione ed in quanto tale è il momento preciso della trasformazione, non il prima non il dopo.  E’ generativo e distruttivo nello stesso momento a seconda di chi lo guarda. Il caos è quindi un mistero che non può essere colto, un paradosso che non può essere compreso, un istante inafferrabile mai uguale a se stesso. Delle volte si resta intrappolati in questo esatto istante, senza tempo, senza dimora e senza fine, nell’eterno istante, nella potenza generatrice che tutto consuma

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