Impasto appiccicoso come fare, come rimediare?

 Impasto appiccicoso, ma perchè? Essere troppo appiccicosi è un difetto non solo nelle relazioni umane, ma anche in panificazione. Molti di voi si saranno trovati nella situazione di dover gestire persone troppo appiccicose e in effetti vi accorgerete che forse è più semplice abbiate a che fare con un impasto appiccicoso. Quindi innanzitutto non scoraggiatevi se vi trovate in questa seconda situazione.

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La consistenza dell’impasto appiccicoso costituisce senza dubbio una difficoltà nella lavorazione degli impasti e nella successiva gestione. Sentirete sempre dire infatti “lavorate gli impasti finché non si appiccicano più nelle mani” oppure la versione meccanizzata “finché l’impasto si stacca dai bordi della planetaria”. Quello infatti è il segno che l’impasto è sufficientemente incordato, mentre poi se volete fare i fighi con i bolloni dovrete fare la prova del “velo” che a noi qui proprio non interessa e che perciò vi risparmio.

Perché l’impasto appiccicoso è appiccicoso?

La prima domanda da porsi è perchè? “Perché” è sempre una buona domanda da fare anche quando sarebbe meglio non conoscere la risposta. Cercheremo perciò di semplificare il più possibile la cosa, tenendo presente che fare e sapere sono due cose distinte e separate. Per saper fare un buon pane non è necessario sapere esattamente perché succedono le cose, ma piuttosto COME vadano fatte.

La risposta più semplice che potete dare alla domanda ad ogni modo è “perché aggiungete acqua alla farina”. Per cui banalmente più acqua aggiungete più l’impasto appiccicoso sarà tale (almeno all’inizio). La prima tentazione quando avete un impasto che appiccica troppo è dunque aggiungere farina. Vedremo però che non è quasi mai una buona idea. A questo punto vale la pena chiedersi COSA assorbe acqua, pensando al fatto che assorbire nel nostro caso vuol dire “essere in grado di trattenere” e non “sciogliersi” nell’acqua. Mi spiego con un esempio pratico.

Sia la sabbia che lo zucchero assorbono acqua. Sarebbe tuttavia più corretto dire che la sabbia “trattiene” l’acqua intrappolandola tra i granuli (esattamente come fanno i granuli di amido), mentre lo zucchero si scioglie nell’acqua. La differenza sta tutta nel fatto che lo zucchero sciolto in acqua lascia il composto liquido (caso mai solo più denso). La sabbia sciolta in acqua man mano che l’aggiungiamo invece la SOLIDIFICA, fino a ottenere un composto plastico (lavorabile), ma non elastico e tenace, perché ovviamente non c’è glutine.

Vedremo che questa non è una differenza di poco conto. Alcuni composti della farina infatti sono idrosolubili e si sciolgono in acqua, altri non lo sono e semplicemente la trattengono. Semplificando la questione nella farina troviamo essenzialmente PROTEINE E CARBOIDRATI (amido).

Le proteine e il glutine

Le proteine sono poi solubili e insolubili tra quelle insolubile troviamo GLIADINA E GLUTENINA che sono quelle che formano il GLUTINE, il quale a sua volta formandosi intrappola molecole di acqua. Quando il glutine cede per effetto o dell’attività proteolitica o di acidità in effetti l’impasto diventa troppo liquescente e appiccicoso. Questa tuttavia non è una situazione che potrete oggettivamente trovarvi all’inizio quando cominciate ad impastare, visto che il glutine non si è nemmeno formato.

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Attenzione quindi alla parola “INTRAPPOLA”.

Il glutine vale a dire non si scioglie in acqua. Come nell’esempio della sabbia “asciuga” l’impasto appiccicoso trattenendo acqua tra le sue maglie. Il glutine è talmente poco solubile in acqua che se prendete un impasto perfettamente incordato e lo lavate sotto il rubinetto per liberarlo dall’amido vi resterà tra le mani il seitan ovvero appunto il glutine. Si calcola a spanna che il glutine sia in grado di assorbire il doppio dell’acqua rispetto al suo peso.

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Il piccolo dettaglio di questa faccenda però è che la quota di acqua che assorbe il glutine non è assoluta. Dipende infatti da quanto l’impasto è INCORDATO. Dipende vale a dire da quanto glutine abbiamo formato durante l’azione di impastare. Più glutine formate, più acqua la farina prende, più incordate l’impasto, più questo asciuga e smette di essere appiccicaticcio e grumoso. Ovviamente se mettete altra farina piuttosto che continuare a lavorare avrete aggiunto solo altro glutine non formato. Magari l’impasto non “vi si appiccica nelle mani” come da istruzioni, ma non sarà nemmeno incordato. Il fatto che non si appiccichi non è segno di nulla, se non del fatto che c’è poca acqua :).

Difetti di lavorazione nell’impasto appiccicoso

Bene, focalizziamoci su questo primo punto. La prima ragione per cui un impasto appiccicoso è tale è che non è lavorato abbastanza o che lo avete lavorato troppo. Nel primo caso appiccicherà e sarà grumoso, ma solido. Nel secondo avrà la consistenza dello yogurt e sarà molliccio. Se però avete appena aggiunto l’acqua o state lavorando a mano l’impasto difficilmente lo avrete scaldato tanto da trovarvi nella seconda situazione, quindi semplicemente l’impasto NON E’ INCORDATO A SUFFICIENZA.

Se manualmente non riuscite a incordare o state lavorando in planetaria e proprio l’impasto non si stacca dalle pareti della ciotola allora è meglio fermarsi e lasciar riposare l’impasto. L’altra cosa bella del glutine è che si forma anche se non lo lavorate, per cui in genere basta lasciare l’impasto in pace per ritrovarlo più asciutto senza che avete fatto nulla.

Ricordiamo inoltre che se parliamo di farine raffinate tipo 0 e 00, più alta sarà la percentuale di proteine, più sarà il glutine che potenzialmente potrete formare, più sarà la capacità MASSIMA di assorbimento dell’acqua. Ma anche che in ogni caso l’acqua va inserita POCO PER VOLTA solo dopo che l’impasto ha assorbito la prima quantità. C’è infatti una percentuale di acqua che la farina prenderà subito che è l’idratazione di base (per i grani antichi 60%) e un’altra che l’impasto assorbirà man mano che si va formando il glutine.

SE INSERITA TROPPA ACQUA TUTTA ASSIEME l’impasto sarà liquescente e appiccicoso

e non è detto che sappiate recuperarlo. Questo perché l’azione di impastare che forma la maglia glutinica scalda anche l’impasto stressandolo. Potreste quindi scaldarlo al punto tale che il glutine perde struttura e l’impasto acquista una consistenza lattiginosa. In questo caso fermatevi e lasciate riposare l’impasto, se possibile in luogo fresco (anche il frigo se necessario). Raffreddando gli impasti di sola acqua 9 volte si 10 recuperano struttura (diverso è se ci sono in mezzo anche i grassi).

In realtà il calore rende iperattivi anche gli enzimi amilasici e proteolitici cosa di cui però parleremo più avanti. Per adesso sappiate che scaldando troppo l’impasto c’è quella volta che nemmeno le pause e il freddo vi salveranno

L’amido e attività amilasica

L’amido al contrario è parzialmente solubile in acqua. La sua solubilità dipende dalla sua struttura. Se è tutto raggomitolato assorbirà pochissima acqua, se è squadernato ne assorbirà molta di più. Non è quindi una variabile da sottovalutare né rispetto alla capacità di assorbimento dell’acqua, né rispetto a tutte le altre caratteristiche reologiche della farina.
Si calcola che circa 1/3 dell’acqua sia assorbito da quest’ultimo. A rendere l’amido insolubile è come detto la sua struttura a granuli. Esiste quindi una prima percentuale di acqua che la farina è in grado di assorbire che dipende principalmente dalla percentuale di granuli di amido DANNEGGIATI durante la macina. Si calcola che l’amido danneggiato è in grado di assorbire fino 4 volte il proprio peso di acqua.

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La crusca

La crusca è capace di assorbire acqua fino al 400% (4 volte il proprio peso), che è la ragione per cui più una farina è grezza, maggiore sarà la sua capacità iniziale di assorbimento dell’acqua. Questa quantità d’acqua verrà prelevata fin dall’inizio (esattamente come fa la sabbia), ragione per la quale, almeno per le farine integrali il 60-65% di idratazione (600 ml di acqua per chilo di farina) è il minimo sindacale per avere un impasto lavorabile. Non fatevi ingannare da impasti troppo asciutti a basse idratazioni se sono integrali perché non saranno incordati, ma solo con poca acqua.

Le destrine e l’attività amilasica

In questo calcolo non abbiamo considerato tuttavia un sottoprodotto dell’amido molto importante, ovvero le destrine. Si tratta di frammenti di amido che possono essere scomposti o dall’attività meccanica (macina) o dal processo di fermentazione (idrolisi degli amidi), che avviene ad opera della alfa-amilasi, detti appunto enzimi liquescenti.

Le destrine, infatti, al contrario dell’amido, sono altamente solubili in acqua e se da un lato aumentano la capacità di assorbimento dell’acqua, dall’altro sono i principali responsabili della liquescenza degli impasti (e della consistenza appiccicosa). Mentre quindi una certa percentuale di destrine presenti nell’impasto ha effetti positivi sullo stesso, facilitando l’assorbimento dell’acqua e dando una certa elasticità, oltre una certa soglia l’eccesso di destrine peggiora tutti gli indici reologici della farina.

Quando parliamo di farine integrali macinate a pietra esiste quindi una seconda ragione per cui gli impasti possono essere troppo appiccicosi che non dipende da come abbiamo lavorato ovvero l’ECCESSO DI ATTIVITA ENZIMATICA DELLA FARINA. In ogni caso gli enzimi (tutti) hanno un loro target di azione e delle temperature ottimali. Scaldare troppo l’impasto in fase di lavorazione significa tra le altre cose velocizzare l’azione degli enzimi da cui la liquescenza quando si è ecceduto.

Esistono però delle farine talmente enzimatiche che il solo contatto con l’acqua basta a farle smollare e queste farine sono in genere definite NON PANIFICABILI. Udite, udite quasi tutte le farine di grani antichi sono dentro questo range.

Panificabilità e digeribilità

Di contro però inibendo l’attività amilasica facciamo di colpo risalire quasi tutti gli indici reologici fino a rendere la farina PANIBICABILE. Se il problema dell’impasto che appiccica quindi NON DIPENDE da un errore nella lavorazione, ma è una caratteristica della farina possono aiutare.

Abbassare il ph dell’impasto

Le amilasi, come tutti gli enzimi ha un suo range di funzionamento oltre il quale viene semplicemente disattivato. Ricordandoci che l’altro nome di pasta madre è pasta “acida”. Ci basterà sapere che i prodotti fatti con fermentazioni spontanee (lievito madre, Kefir, acqua fermentata ecc.) hanno un’acidità maggiore rispetto ai prodotti con solo lievito di birra, perché i batteri lattici producono più sottoprodotti acidi (acido lattico e acetico). Perciò i grani antichi rendono meglio se trattati con pasta madre piuttosto che con lievito di birra.

Abbassare le temperature

Esattamente come per il PH anche per le temperature esiste un range di azione degli enzimi. Basse temperature limiteranno l’azione delle amilasi. Se dunque troviamo un modo per rallentare l’azione delle amilasi (maturazione) ma far proseguire l’attività fermentativa questo potrebbe permetterci di migliorare la resa della farina. L’esempio migliore è la lievitazione mista (pasta madre, lievito di birra) con l’uso del frigo o più in generale le lievitazioni che fanno l’uso del frigo con un lievito madre in spinta.

Alzare le temperature

La gelatinizzazione a caldo è un processo che in realtà aumenta l’attività enzimatica della farina, fornendo agli enzimi una maggiore quantità di amido degradato. Il picco di attività delle amilasi è 70 gradi. Se tuttavia le temperature di gelatinizzazione sono particolarmente elevante (sopra gli 80 gradi) gli enzimi contenuti nella quota di farina che avete gelatinizzato saranno stati completamente denaturati. Io non gelatinizzo mai gli impasti, non mi piace affatto la consistenza che ha poi la mollica sul pane, ma ci sono molte ricette nel gruppo che usano questa tecnica, che è particolarmente efficace per la segale, il cui amido gelatinizza a temperature più basse.

Aggiungere miglioratori naturali

L’ultimo motivo per cui un impasto appiccica troppo centra con errori nella gestione della lievitazione. Va da sé cheUN IMPASTO CHE HA LIEVITATO TROPPO avrà avuto più tempo per lasciar agire TROPPO sia le amilasi che le proteasi. Oltre ad essere appiccicoso in questo caso non avrà praticamente maglia glutinica (maglia che sfalda). Con questo entriamo nell’ultimo argomento: la digeribilità.

Cosa centra la digeribilità?

Occorre sapere che gli enzimi (amilasici e proteolitici) sono quelli che lavorano sulla farina non appena questa entra in contatto con l’acqua (processi idrolitici). Alcuni di questi enzimi sono endogeni, ovvero contenuti nella farina stessa ed in particolare nel germe se questa è integrale e macinata a pietra, altri saranno esogeni ovvero legati all’attività metabolica della lievito madre stesso. Limitare l’azione degli enzimi vuol dire limitare anche i processi di scomposizione dei macronutrienti durante la fase di maturazione.

Quando si ragiona sulla panificazione, sopratutto se con grani antichi, si aprono quindi due strade. O vi ponete come obiettivo quello di conservare la struttura del pane limitando l’azione degli enzimi, con tutta una serie di tecniche che sono quelle che in genere suggerisco, o vi ponete come obiettivo quello di esaltare le caratteristiche del grano antico, di cui la prima è l’alta digeribilità dovuta in larga misura non solo alla qualità del glutine, ma sopratutto ai processi di scomposizione dello steso ad opera degli enzimi di cui sopra.

Se non volete quindi limitare l’attività enzimatica della farina vi occorrerà lavorare con idratazioni più basse che mantengano quindi l’impasto maneggiabile, scaldarlo poco durante la lavorazione sfruttando piuttosto le pause e le pieghe e perché allungare i tempi di maturazione a basse temperature (15-20 gradi).

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