Il consumatore universale: quando la soluzione è il problema

Il consumatore universale è in sé il miglior alleato del capitale ormai divenuto globale. Esiste un problema complesso di istituti sovranazionali che stanno via via acquisendo “la maestà di sciogliere e legare” come la definiva Hegel, ovvero i poteri coercitivi che prima erano dello Stato (moderno). Il WTO, L’OMS, il FMI ecc. – ben al di là dell’esperimento che si sta svolgendo in Europa di una moneta senza stato, sono la chiara espressione di soggetti privati sovranazionali che chiedono come loro interlocutore organi di controllo altrettanto sovranazionali.

 
Il problema di fondo è che mentre il consumatore è ormai da tempo universale almeno quanto la multinazionale che gli ha fornito il prodotto, il lavoratore è ancora nazionale ovvero incapace di legarsi al “fratello” polacco, rumeno, cinese, africano ecc. Peggio i lavoratori sono in competizione fra di loro. Badiamo bene che l’universalità di cui parliamo non è quella che deriva dalla connessione con il tutto – la piena consapevolezza di sé che è per l’appunto la consapevolezza di essere in sé identico all’altro da sè (essere-in-sé-e-per-sé). L’universalità del consumatore è piuttosto quella astratta e vuota della figura incipiente, che è cioè all’inizio del suo percorso, che è identica a se stessa, solo perché in sé non ha ancora maturato alcuna contraddizione. E’ perciò l’identico che non ha parti e dunque indifferenziato al suo interno, indeterminato ed in questo senso “vuoto”.
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Resta tutta via il fatto che il consumatore nel suo essere è consimile alla multinazionale di cui è il prodotto diretto, mentre il lavoratore il diretto antagonista. Il motto con il quale si chiude il manifesto del partito comunista :”Operai di tutto il mondo unitevi” è infatti più un’esortazione, che una constatazione, quindi anche la prova del fatto che questi proletari non sono affatto uniti.

Il consumatore è contro i diritti del lavoro

 
Così le condizioni che accetta l’operaio cinese in Cina diventano l’ostacolo principale per la lotta per i diritti di quello americano, quelle che accetta l’immigrato in casa nostra l’ostacolo per i diritti dei lavoratori autoctoni e così via. La multinazionale, infatti, indifferente a qualsiasi interesse nazionale, non fa altro che “sciogliere e legare”, spostare e di qua e di là fabbriche e lavoratori. utilizza vale a dire la delocalizzazione come perenne arma di ricatto. Insomma rispetto alla globalizzazione i “proletari” diventano più un ostacolo per i loro stessi interessi, che un soggetto capace di operare il ribaltamento (Umkerung).
 
Hegelianamente direi che il soggetto vincitore (il proletario), una volta affermata la propria identità, matura in sé la contraddizione, precipitando in essa. Non è un caso infatti che il luogo del trionfo della globalizzazione sia proprio l’ultimo stato comunista rimasto in piedi: la Cina.
 
La nuova figura che emerge è quella del CONSUMATORE UNIVERSALE. Questi è nemico giurato del lavoratore in quanto cerca sempre il prodotto migliore al prezzo minore ed in ciò si dimostra essere il più grande alleato del capitale che lo ha creato.

Le battaglie di cartone del consumatore (e i suoi diritti)

 
Non è un caso che le più grandi battaglie “morali” oggi vengono tutte gestite dal punto di vista del consumatore e non del cittadino. Esempio per tutti la svolta ecologista, affrontata schiacciando la visuale talmente in basso verso il consumatore che si ha quasi l’impressione di strisciare per terra. La soluzione proposta è infatti, non già rivedere l’intero sistema di produzione e la globalizzazione in quanto tale, ma rimodulare i CONSUMI: usate la carta al posto della plastica. In questo modo non viene minimamente scalfito il soggetto produttore di beni e consumi, gli basterà semplicemente produrre una nuova “etichetta verde”, che applicata al prodotto gli restituirà persino un plusvalore.
 
Quale la soluzione? Pare ormai evidente che gli Stati nazionali non hanno la forza di contrapporsi alle potenze industriali e finanziare chiaramente in vantaggio su di lui. Ancorché la globalizzazione, giunta nel suo punto più maturo, ha determinato un rigurgito “sovranista”, non è da quel lato che lei – la globalizzazione – vedrà emerge la propria contraddizione. La contraddizione infatti è nel tempo, come aveva già capito Aristotele e il tempo è un fiume che scorre dal passato, dalle altitudini verso la valle e mai viceversa. Il movimento dello spirito (con la “s” minuscola) non può svolgersi all’incontrario, non può camminare all’indietro sui suoi passi. Non può essere in altre parole un ritorno agli stati nazionali la risposta, per quanto questo ritorno sia inevitabile e con ogni probabilità traumatico.

Il consumatore come unica possibilità di uscita dalla globalizzazione

 
Guardando bene la soluzione non può che emergere laddove è nato il problema, ovvero dal alto del consumatore. Se guardiamo bene la grande industria mentre bacchetta e umilia il lavoratore, coccola e venera il consumatore dei suoi prodotti.
C’è necessità che il consumatore, universale nel linguaggio, nel bisogno e nei suoi diritti, almeno quanto la grande industria che l’ha prodotto – affiori in superficie con una migliorata coscienza di sé o come amava di Marx, coscienza di classe.
 
Il consumatore ha però un grosso problema: è una singolarità, mentre per emergere come “classe” avrebbe bisogno di guadagnare consapevolezza della sua interconnessione con l’altro. Credo sia questo allo stato il nodo principale da affrontare: come collegare il consumatore individuale e universale agli altri consumatori fino a trasformarlo in un antagonista credibile della multinazionale?
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