Quanto lievito madre usare? Costruire la ricetta partendo dalla farina

 Quanto lievito madre usare? Questa è la prima domanda che di solito viene in mente quando si è appena terminata la creazione della propria pasta madre. Di solito si cercano in rete ricette semplici. Ma siamo proprio sicuri sia questo l’approccio migliore? Che occorra cioè partire dalla ricetta e non dalla farina?

Conoscere le proprietà della farina che si usa è fondamentale per capire qual’è la ricetta migliore da usare, ricetta che va costruita proprio intorno alla farina e alle caratteristiche del proprio lievito madre.

 

Quanto lievito madre usare? La ricetta che non c’è

 

Bene ho la mia bellissima pasta madre che grazie agli schemi che potrete trovare qui e qui avrete ottenuto in soli 7 giorni. Ho anche idea di come gestirla avendo letto anche qui. Cos’altro mi manca? Beh si la ricetta!

 

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Nel gruppo GRANI ANTICHI E PASTA MADRE abbiamo fornito delle ricette di base che sono pensate per i grani antichi, ovvero farine deboli e macinate a pietra che potrete trovare qui. Ma è davvero una buona idea seguire le ricette degli altri? Finché lavoriamo con farine da banco che hanno tutti parametri reologici molto simili probabilmente possiamo anche ragionare in termini di ricetta. Troviamo infatti le farine per dolci, quelle per pane e per pizza, quelle per tutti gli usi ecc. Le uniche sigle cui siamo abituati sono “0” e “00”. I più esperti di voi sanno che c’è anche la semola, ma la storia finisce lì.

 

Quando cambiamo tipologie di farina e passiamo a prodotti non standardizzati la faccenda tuttavia si complica ed è in realtà la farina che comanda. Non possiamo vale a dire prendere una farina e adattarla alla ricetta, ma al contrario prendere la ricetta e adattarla alla farina. E’ allora importante conoscere le caratteristiche di base delle farine, sapendo le quali, sapremo come meglio valorizzare il prodotto finale. Vediamo brevemente quali sono le caratteristiche delle farina

 

TIPI DI FARINA

 

Nel linguaggio comunque il termine “farina” indica la “farina di frumento”. Si da cioè per scontato che la macina in questione sia di grano, mentre di solito è specificato se il prodotto macinato è diverso (farina di ceci, di riso, di avena ecc.). Farina dunque indica non un prodotto in particolare, ma un tipo di lavorazione su qualcos’altro.
La prima distinzione per noi interessante è quindi tra grano duro e grano tenero. Il grano duro cresce solitamente in terreni aridi ed esposti alla calura, il grano tenero in zone più fredde. Questo condizionerà la qualità della farina che otterremo. Leggeremo più avanti le caratteristiche, ma qui limitiamoci a dire che il grano duro è meno “raffinabile”, ha un glutine più corto e rigido ed in genere una forza minore rispetto alle farine di grano tenero. Sono perciò meno panificabili e sopratutto meno adatta alla grande industria. Da ciò deriva un enorme vuoto normativo, che ha privilegiato il grano tenero e la molitura a cilindri.

 

TIPI DI MACINA

 

Per farla breve esiste una molitura industriale o a cilindri e una molitura a pietra più artigianale. La seconda era quasi scomparsa, ma è ritornata in auge con la scoperta delle farine “speciali”, altrimenti dette di “grano antico”, quasi sempre associate a coltivazione biologica e molitura a pietra. Esiste poi una pietra “industriale” che qui non tratteremo, che produce un prodotto che può essere etichettato come “macinato a pietra”, ma che ha caratteristiche più simili alla macina industriale che a quella artigianale.

Questa distinzione è fondamentale. Occorre infatti capire che le proprietà reologiche della farina sono proprietà della farina per l’appunto e non del grano che viene macinato. Ormai ci siamo abituati a chiamare per nome le farine (Sentore Cappelli, Gentil Rosso, ecc. ecc.). Ma le monoculture non era affatto la regola. In tutti i casi a parità di seme di partenza il MODO con cui viene coltivato prima e macinato poi determinerà le caratteristiche di fondo.

 

Differenze tra molitura industriale e artigianale

 

Se è vero che i grani contemporanei hanno naturalmente più glutine e sono per loro natura più performanti è altrettanto vero che il tipo di coltivazione e il modo con cui viene macinato il chicco restituiranno proprietà completamente differenti alla farina. In via del tutto generale è possibile affermare che:

  1. Una farina da grano biologica sarà tendenzialmente più debole della “sorella” coltivata con agenti chimici.
  2. Grani coltivati al “caldo” (sud Italia) saranno più deboli di grani coltivati al “freddo”.
  3. La macina industriale denatura il germe abbassando notevolmente l’indice di attività enzimatica (vedi sotto). A parità di abburattamento una farina integrale “ricostituita” sarà meno attiva da un punto di vista fermentativo.
  4. La macina industriale avrà un carico di batteri e lieviti endogeno minore delle macinate a pietra. Questo perché il grano è gestito molto meglio e sottoposto a controlli più stringenti in termini di sicurezza alimentare.
  5. Le farine industriali hanno caratteristiche reologiche più standardizzate. Una farina ideale per pizza per esempio, a prescindere dal produrre, sarà stabilizzata e grosso modo lavorerà in modo simile alle altre. La stessa cosa non può dirsi delle farine artigianali le cui proprietà variano a seconda di come è andato il raccolto e di come è stato trattato il chicco. Con profonde differenza tra un lotto e l’altro, un produttore e l’altro.

 

ABBURATTAMENTO

Il buratto altro non era che il “setaccio”. Il grado di abburattamento, volgarmente conosciuto come “raffinazione” è perciò semplicemente il livello di filtraggio della farina (endosperma) dalle parti cruscali. Chi mangi fa molliche, chi macina separa il corpo centrale del chicco dalle parti esterne, più queste parti vengono eliminate dal prodotto finale più la farina sarà “raffinata”, ridotta al solo amido e glutine, ovvero privata di fibre, sali minerali, vitamine ecc.
La normativa che regola il grado di abburattamento la trovate qui.

GRANO TENERO

 

Limitiamoci solo a dire che se parliamo di grano tenero distinguiamo la farina per tipo e numero partendo dalla più “raffinata” 00 sino alla “integrale”, quindi (tipo 00, 0, 1, 2 e integrale). Attenzione che la norma non regola la quantità di crusca presente nella farina, ma quelle delle cenerei residue alla carbonizzazione. Niente vieta dunque alle industrie di “raffinare” prima le farine portandole alla zero e reintegrale successivamente dello “scarto” della macina. Si parla in questo caso di farine “ricostituite” che sono tutte quelle che trovate tra i prodotti da banco. Sono nella maggior parte dei casi farine private del germe di grano che rende il prodotto estremamente deteriorabile.

 

GRANO DURO

 

Per il grano duro il discorso cambia. Come dice la stessa parola è “duro” ovvero non sfarinabile. Gli elementi cruscali sono più difficili da separare a livello industriale. Dal grano duro si ottengono perciò SEMOLATI (o semola) e SEMOLATI INTEGRALI a seconda che siano più e o meno privati dei corpi cruscali. La norma regola la granulometria dei grani su valore minimo. La semola può essere macinata più finemente e diventa perciò semola rimacinata e semola integrale rimacinata.

 

FARINA DI GRANO DURO

 

Se parliamo di farina di grano tenero ha senso specificare che sia macinata a cilindri o a pietra. Se parliamo di grano duro solo la macina a pietra può restituire un “farina” e non la semola. Purtroppo la normativa sulle farine non contemplava affatto l’allora morente macina artigianale ed era già molto carente sul grano duro. Il risultato è un vuoto normativo che permette ai produttori di scrivere di tutto in etichetta. In linea di massima però parliamo di farina integrale e abburattata in analogia alla normativa sul grano tenero.

 

LA FORZA

 

La Forza è il parametro più importante, perché è quello che ci da più informazioni sulla farina. E’ un indice direttamente proporzionale alla quantità di glutine che è capace di sviluppare la farina a seguito dell’impastamento. Più una farina ha forza, più avrà glutine, più avrà capacità di assorbire acqua e resistere alle lunghe maturazioni.
A condizionare la W di una farina tuttavia contribuiscono una miriade di fattori di cui i principali:

  1. la qualità della macina in particolare la percentuale di amido danneggiato, ovvero la quantità di destrine presenti.
  2. tasso di umidità
  3. temperature
  4. indice di attività enzimatica

Se usiamo la pasta madre gli altri due fattori che modificheranno le proprietà dell’impasto dipenderanno dai sottoprodotti del metabolismo dei batteri dell’acido lattico. L’acido lattico in particolare aumenta l’estensibilità, l’acido acetico la tenacia.
Si dice erroneamente che la forza della farina è direttamente proporzionale alla percentuale di proteine della scheda nutrizionale. Cosa assolutamente non vera se la farina è integrale. Se è infatti vero che il glutine è un complesso proteico e che per le sole farine raffinare vale l’equivalenza (sono in pratica ridotte al solo amido e glutine), l’equivalenza non vale per le farine meno raffinate. La crusca ha infatti un suo contenuto di proteine che NON concorrono alla formazione di glutine.

 

P/L o INDICE DI PANIFICABILITA’

 

Abbiamo presentato le due caratteristiche della farina “estensibilità” e “tenacia” che dipendono dal glutine ed in particolare dalla glutenina. La terza è la “plasticità” che dipende invece dalla gliadina. Se ve lo state chiedendo glutenina e gliadina sono le due molecole che assieme formano il glutine assorbendo acqua. Un impasto ha cioè una capacità di essere allungato (elasticità) oltre il quale l’impasto “strappa”, richiede una forza per essere allungato (tenacità) e ha una capacità di essere “modellato” (plasticità). Le caratteristiche della P (tenacia) e della L (elasticità) vengono “riassunte” dal loro rapporto detto appunto indice di panificabilità. che si aggira per il grano tenero tra lo 0,4 e lo 0,6. Per il grano duro siamo invece sempre sopra l’1. Più il P/L è basso più “molliccio” sarà l’impasto, più è alto e più sarà “rigido”. Come per la W il P/L è condizionato dal tipo di macina.
In particolare le “destrine” hanno un effetto liquescenza (abbassano il P/L), mente acido lattico e acetico come detto condizionano elasticità e tenacia.

FALLING NUMBER o INDICE DI ATTIVITA’ ENZIMATICA

 

Per farla brevissima ci da informazioni indiretta sulla fermentescibilità della farina. Più è alto l’indice di attività enzimatica più la farina a contatto con l’acqua farà in fretta a scomporre le macromolecole in molecole più piccole da mettere a disposizione di lieviti e batteri.

L’indice di attività enzimatica misura in realtà SOLO il livello delle alfa-amilasi presenti nella farina. l’enzima scompone l’amido in maltosio e destrine. In particolare le destrine hanno un effetto liquescente sull’impasto, mentre il “maltosio” stimolerà il metabolismo dei batteri lattici. Ne consegue che più una farina ha un’alta attività enzimatica più l’impasto conterrà destrine (effetto liquescente), più verra stimolato il metabolismo dei batteri e quindi al produzione di acido l’attico (che contribuisce a rendere l’impasto “molle”. Se impastando la consistenza del prodotto somiglia e quella della diarrea (scusate il termine, ma quello è) la colpa nella maggior parte dei casi è proprio del FN troppo basso (ovvero di un’alta attività enzimatica).

Il FN è INVERSAMENTE proporzionale all’attività enzimatica più è basso più è alta. E come sarà facile intuire influisce sulla forza della farina e sulla sua tenuta in lievitazione. Farina macinate a pietra conservano intatto il germe di grano stracarico di enzimi e hanno generalmente un F/N BASSO.

 

STABILITA’

 

La stabilità è l’ultimo parametro che ci interessa. Più una farina è “stabile” più a lungo può essere lavorata senza che la maglia ceda. Quando l’impasto parte bello bello ma poi in planetaria di nuovo acquista la consistenza della diarrea, questa volta dipende dal fatto che lo avete lavorato “troppo”. Farine di forza hanno tempi di lavorabilità maggiori, farine artigianali in genere minori. Si va da un minimo di 5 minuti ad un massimo di 15 minuti.
Quindi se l’impasto non incorda, non forzate troppo la lavorazione. Ma fermatevi.

 

CONCLUSIONI

 

Dopo avervi stordito (mi spiace). Vi starete senz’altro chiedendo, am che centra tutto ciò con la ricetta? Perché in un pos che doveva aiutare con le ricette si è parlato di tutto tranne che di ricetta?
Bene se siete sopravvissuti alla lettura allora avrete senz’altro capito che dalle caratteristiche di cui sopra (reologiche) dipende praticamente tutta la ricetta.
La forza di una farina, insieme al grado di abburattamento ci dice quanta acqua è in grado di prendere la farina. Più una farina è di forza più acqua tira, più è integrale più acqua tira. Occhio che la fibra e il glutine prendono l’acqua in modo diverso. La fibra tutta in una volta il glutine man mano che forma. Quello che è certo è che è la farina a determinare la percentuale ottimale di idratazione
Dal FN dipenderà quanto può reggere la lievitazione prima che la maglia ceda. Se parliamo di farine macinate a pietra la risposta è POCO. Questo a sua volta determinerà le quantità di lievito da usare (tanto)
Dall’incide di stabilità dipenderà quanto allungo possiamo lavorare gli impasti e se parliamo di macinate a pietra la risposta è POCO
Dal P/L dipenderà la consistenza dell’impasto per cui più è basso più dovremo dare struttura all’impasto attraverso le pieghe
Sapendo le caratteristiche della farina in altre parola la ricetta la costruiamo intorno a quest’ultima. Nella maggior parte dei casi però, sopratutto le farine integrali NON HANNO una scheda tecnica per cui si tratta non di conoscere le caratteristiche reologiche, ma di RICONOSCERLE. Bisogna cioè provare una ricetta di base (che dovrà essere sempre la stessa) e via via sistemarla per adattarla alla farina che avete.
Mi spiace lo so, vi ho scoraggiato. Ma serviva un post che raccogliesse un po’ assieme tutte queste informazioni

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