Pizza napoletana e lievito madre

Pizza napoletana e lievito madre

 La mia passione per il mondo della panificazione è nata con la pizza napoletana. Pizza che ho provato a fare con ogni sorta di farina possibile e immaginabile finché non mi sono spostato sul mondo del grano antico. Adesso farine integrali e pasta madre vanno di moda al punto che anche il disciplinare, che potete leggere qui, ha allargato le possibili varianti sia all’una che all’altra, ma vi posso assicurare che fino a qualche annetto fa chi faceva napoletana con pasta madre veniva visto come un alieno. Quali sono i problemi di utilizzare la pasta madre e non il lievito di birra?

1) Una scarsa spinta in cottura.

Noi (cioè voi, ma di sicuro non io) ci siamo ormai abituati a fare le pizze con farine “tecniche” alte idratazioni per ottenere sto benedetto cornicione che nemmeno le labbra di Valeria Marini sono pompate così tanto e che proprio non sopporto nella pizza napoletana. Per ottenerlo i pizzaioli fanatici delle lunghe maturazioni di cui ho parlato qui, utilizzano quindi farine sopra i 300 W, che idratano sopra il 70% per ottenere quella meravigliosa “colla” che chiamano impasto, perfettamente incordato e che vanno agitando come fosse un blob tutti contenti. Anche quando utilizzavo la zero, mi sono SEMPRE rifiutato di utilizzare questo genere di farine qui per le pizze, attenendomi in modo religioso al sacro disciplinare. Per me la pizza VERACE è quella e se la vuoi cambiare non chiamarla verace. Ma questo è un problema mio, torniamo a noi…

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Al di là di tutta questa storia che vi ho raccontato e che potrebbe risultarvi tediosa, la pasta madre in origine era anche detta pasta ACIDA. Ha cioè per sua natura cioè una quota consistente e predominante di batteri lattici (100 parti) che lascia spazio a un pochetto di lieviti (1 parte). Insomma quando si facevano le cose come le nostre nonne, la pasta madre non garantiva la stessa spinta del lievito di birra (la mia comunque ci metteva un cubetto intero di lievito di birra e non contenta lo “attivava” con acqua tiepida e zucchero). I batteri producono infatti meno gas e i loro processi di fermentazione e li producono in maniera diversa anche durante il processo di cottura. Hanno cioè bisogno di cotture più “dolci” e prolungate del lievito di birra.
Si da il caso che la pizza napoletana cuocia nella bocca dell’inferno per un solo minuto, massimo un minuto e mezzo. Ha bisogno cioè di 500 gradi e di una lievitazione ESPLOSIVA che è poco compatibile con la pasta madre per le ragioni di cui sopra. A meno che… A meno che la pasta madre non venga “addolcita” con rinfreschi ripetuti e farine di forza che abbassino il più possibile la quota di acido acetico e aumentino la quota di acido lattico, ma sopratutto l’attività dei lieviti. Arriviamo così dritti dritti al secondo problema.

2) La tenacia della maglia

E’ risaputo che la pizza napoletana verace non va incordata molto. Si deve impastare una decina di minuti e poi lasciar riposare, senza pieghe. Questo perché non ci serve che la maglia si innervi, ma che al contrario l’impasto arrivi sufficientemente elastico e rilassato da farsi spianare, allargare e strascicare in pala con tanto di condimenti sopra. Prima era molto più complicato ottenere un risultato simile con farine che cambiavano di lotto in lotto. Adesso inutile menarla col maestro pizzaiuolo, basta mettersi in casa una farina “tecnica”, ovvero studiata appositamente con certe caratteristiche e dotarsi di una buona calcolatrice per calcolare quanto lievito va: il gioco è fatto.
Le cose ovviamente cambiano se usiamo farine di forza e idratiamo all’80-90%. Li la corda serve e come per permettere alla farina di assorbire acqua. Poi però l’idea di prendere un impasto strabagnato e sbatterlo a 500 gradi per un minuto qualche perplessità a me la suscita. Ma restiamo sulla verace per semplificarci il ragionamento.

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La pasta acida però per quanto voi possiate addolcirla resta acida di natura. Tende cioè a sviluppare una quota naturale di acido acetico, sopratutto se la “lunga” maturazione gliela fate fare in frigo. Le basse temperature producono infatti come conseguenza una sbilanciamento verso l’acetico. I batteri lattici sono infatti per un verso grandi consumatori di proteine, vanno cioè a deteriorare la maglia glutinica molto meglio e molto più in fretta del leivito, per altro verso tendono ciononostante a irrigidirla piuttosto che a rilassarla (effetto paradosso). Tante volte potreste ritrovarvi a fine lievitazione un’impasto troppo rigido che “strappa” e non si lascia spianare bene bucandosi (sopratutto se dovete spianare 300 pizze in una serata).
Quale sarebbero quindi in vantaggi di usare il lievito madre anziché il lievito di birra? La maggiore fragranza? La maggiore “digeribilità”? Siete sicuri di apprezzare le linee aromatiche dell’impasto quando ci avete messo sopra una tonnellata di prosciutto, porchetta, salsiccia, peperoni, cipolla e chi più ne ha più ne metta? Siete proprio sicuri sicuri che dopo aver ingurgitato in dieci minuti 280 gr. di pasta cruda la lunga maturazione vi abbia risolto il problema? Insomma detta franca il gioco non vale la candela e anche chi vi dice di usare lievito madre a livello professionale poi la caccola li lievito di birra va a finire che ce la butta sempre e insomma anche chi se ne importa. Il lievito di birra non è nostro nemico e non c’ha mai fatto nulla di male (anzi).

Pizza “napoletana” e grani antichi

Il discorso cambia completamente quando ci spostiamo da quelle farina di forza a farine di grani antichi. Parliamo infatti di farine debolissime che si fanno la loro bella lievitazione in giornata (6-8ore) a temperatura ambiente e la cui maglia (quasi inesistente) viene persino aiutata dalla presenza dell’acido acetico. Il risultato che ho ottenuto dopo anni di sperimentazione è questo:

Pizza napoletana e grani antichi

La ricetta del male

Ciò premesso e sperando di avervi dissuaso dal farlo, siccome me lo avete chiesto, una ricetta che usi pasta madre e farina di forza (tipo Caputo Rossa per intenderci) ve la posso anche dare, sperando che voi però non la usiate mai:
  • 1 KG di farina di forza 0
  • 680-700 ml di acqua,
  • 50 gr. di sale,
  • 100 gr. di pasta madre.

Procedimento

  1. Si comincia con 600 ml di acqua dove si spumerà il lievito, con la frusta. Va cioè “montato” in modo che faccia una bella schiumetta che ossigeni il composto, stimolando il metabolismo di lieviti e batteri.
  2. Si aggiunge poi tutta la farina e si impasta finché il composto non assorbe tutta l’acqua (dovrebbe prenderla abbastanza in fretta).
  3. Infine si aggiunge il sale e il resto dell’acqua poco per volta. Per ta tipologia di farina di farina si consideri di arrivare almeno al 65% di idratazione (650 ml per chilo di farina) ma l’optimum è il 70% (700 ml).
  4. Non serve che incordare tantissimo (anzi si può proprio non incordare per nulla), ma ci si dovrà comunque assicurare che il composto abbia assorbito bene tutta l’acqua e di ritrovarsi con le mani e il ripiano di lavoro asciutto. Eventualmente aiutarsi con pieghe e frigo se l’impasto smolla (non aggiungendo farina), con la tecnica che mostro qui.
  5. Lasciare riposare l’impasto un’ora a temperatura ambiente e poi lasciare due giorni in frigo (si due giorni ci deve stare, ad espiare i suoi peccati). Trascorse le quali l’impasto andrà tirato fuori e diviso in panielli. A quel punto partirà la lievitazione vera e propria che durerà circa 4-8 ore. Questa seconda lievitazione infatti dipende da che temperature avete in casa.

Conclusioni

Bene perché non si dica che non accontenti la gente . Lo spiegotto ve l’ho fatto e la ricettina ve l’ho data. Però vi ricordo che impasti con sola farina tipo zero non si possono pubblicare. Perciò in caso buttateci nell’impasto un 30% di farina integrale per farmi contento (300 gr. di integrale e 700 gr. della vostra amata caputo rossa) e sarete autorizzati non solo a pubblicare, ma anche a lievitazioni più umane di 24 h ore totale (16 di frigo e 6-8 a t.a.).
P.S.: Quella in foto è fatta con Caputo blu pizzeria e lievito madre (è di almeno 4 anni fa).
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