Lunghe maturazioni e digeribilità: un mito da sfatare

Davvero non capisco perché utilizzare una farina di forza per fare lunghe maturazioni, piuttosto che una medio-debole che matura in tempi più umani. Intendo dal punto di vista tecnico, non di salute. Proviamo anche a capire perché le lunghe maturazioni non aumentano la digeribilità del prodotto finale.

 

SE VUOI APPROFONDIRE IL MONDO DELLA PANIFICAZIONE  CLICCA QUI PER ENTRARE NEL GRUPPO FACEBOOK GRANI ANTICHI E PASTA MADRE =>

 

Lunghe Maturazioni e Fermentazione

E’ convinzione ormai diffusa, sopratutto presso i pizzaioli, che sia possibile separare la fase di maturazione dell’impasto da quella di lievitazione. In particolare, per dirla banale, l’uso del frigo rallenterebbe o addirittura bloccherebbe i processi fermentatiti del lievito. Gli enzimi endogeni della farina nel frattempo resterebbero lì a lavorare scomponendo amidi e proteine. Questo in particolare migliorerebbe la digeribilità del prodotto.

Da qui deriva la moda ormai diffusa di utilizzare farine di forza che reggono lunghe maturazioni che permetterebbero di allungare per bene i processi di maturazione anche 3-4 giorni. Questo tipo di prodotto, giuro non so perché, viene impacchettato a chi ha di solito problemi a digerire le pizze, ma cosa ben più grave ai diabetici. Il ragionamento è che siccome la pizza è predigerita noi facciamo meno fatica a digerirla. Bene cerchiamo di capire quanto questa convinzione sia vera. I macronutrienti interessati dai processi idrolitici che avvengono nell’impasto sono ovviamente AMIDO e PROTEINE (essenzialmente glutine).

 

ANDIAMO AGLI AMIDI

 

L’amido viene scisso in parti più piccole dagli enzimi alfa e beta amilasi. In particolare le alfa-amilasi attaccano al centro le ramificazioni di amido (amilosio e amilopectina) e le beta invece le parte esterne. Va da sé che le alfa-amilasi sono in grado di “spezzettare” l’amido. Le beta-amilasi sono invece un po’ più lente e aggrediscono le sole “punta e punta” della molecola.

 

Le alfa-amilasi sono detti enzimi liquescenti, le beta-amilasi invece rendono l’impasto più coriaceo. L’amido danneggiato dalla macina ha infatti una capacità molto superiore di assorbire acqua ed è l’UNICO che può essere aggredito dagli enzimi (i granuli intatti non sono attaccabili), ma una volta aggredito dalle alfa-amilasi e scomposto in DESTRINE queste rilasceranno parte dell’acqua da cui la liquefazione.

 

La prima cosa da dire dunque è che nelle lunghe maturazioni i processi di digestione dell’amido riguardano SOLO la quota di amido danneggiato dalla macina. Questa è l’unica, come detto, che può essere aggredita dagli enzimi. La restante parte dell’amido dovrà prima essere correttamente gelatinizzata durante la cottura. Solo dopo potrà essere digerita dagli enzimi amilasici del nostro organismo (saliva ed enzimi pancreatici che si riversano nel duodeno).  Se tuttavia l’amido non è stato correttamente gelatinizzato (impasto crudo al centro) o se il lavoro degli enzimi nel tenue è stato rallentato per qualche motivo (fibre: es. farine integrali), parte dell’amido scivolerà nel crasso.

 

Lì i batteri e lieviti del colon faranno festa, regalandoci tanta aria e sete. Questo senza considerare il sale, il resto degli ingredienti e del pasto ovviamente.  Quello che è importante capire che la quota di amido danneggiato è molto bassa sul totale. Quest’ultima infine dipende dalla macina più che dalla qualità del grano. Entro una certa soglia influirà positivamente sugli impasti incentivando il rilassamento, oltre danneggerà negativamente la maglia glutinica e tutti gli indici reologici della farina. Parliamo però di quote che stanno tra il 10 e il1 15% dell’amido totale. Amido predigerito significa comunque solo più zuccheri disponibili, quindi un indice glicemico più alto. Consigliarlo ai diabetici è sbagliato (no i lieviti non ne mangiano più di noi).

 

ANDIAMO ALLE PROTEINE

 

La convinzione è che gli enzimi proteolitici siano i maggiori responsabili del degradamento del glutine. In particolare questi agiscono “spezzettandolo” in unità più piccole. Agirebbero principalmente sulla glutenina e sui suoi gruppi tiolici aiutando così il rilassamento di impasti che partono molto coriacei (p/L 0,7). Perciò esistono sostanze attivatrici e sostanze inibitrici gli enzimi endogeni che sono presenti nella farina a loro volta in forma passiva o attiva.

 

In particolare si dice che la Vitamina C agisca anche disattivando gli enzimi proteolitici oltre che come agente ossidante (creazione di ponti di-solfuro). Ricordo che rispetto ai processi infiammatori, che riguardano però i SOLI celiaci, la molecola in questione è tuttavia la prolammina (gliadina) e non la glutenina.

 

Ad ogni modo uno interessantissimo studio sulla celiachia pare dimostrare che gli enzimi proteolitici della farina, ma anche l’attività del lievito di birra non giochi un grande ruolo in questo senso. Pare al contrario che i LAB siano più efficaci nello smaltire gli epitopi imputati della reazione immunitaria tipica della celiachia. Se per digestione dobbiamo intendere però non l’allegerimento del reticolo glutinico, ma la formazione di aminoacidi e peptidi più piccoli, allora, il contributo degli enzimi della farina pare quasi nullo.

Gli enzimi e le lunghe maturazioni in frigo 

 

Quello che è certo che il freddo rallenti sia i processi di fermentazione che quelli di “autodigestione” delle farina. Gli enzimi sono infatti TERMOLABILI come i batteri e i lieviti. In altre parole con il freddo bloccate TUTTO (fermentazione e maturazione) in misura proporzionale al calo delle temperatura (zero è la temperatura a cui è davvero tutto fermo).

 

Adesso: perché ciò nonostante la lunga lievitazione produce benefici? Perché in parte la farina, in parte lo stesso lievito di birra, posseggono una quota parte di batteri LAB (lattobacili). Il loro ruolo di questi ultimi su lievitazioni corte è praticamente nullo. Questo perché il saccaromiceno cervisie è un fermentatore seriale ed è un competitore dei LAB per metabolismo degli zuccheri (si pappa tutto lui).

 

Batteri lattici e lunghe maturazioni

 

La presenza saccaromiceno cerevisiae in genere inibisce lo sviluppo dei batteri lattici. Le cose però cambiano se usiamo PICCOLISSIME quantità di lievito di birra. Allora sopratutto in frigo succederà che per via delle temperature i LAB, che hanno un range di tollerabilità maggiore, riescano a moltiplicarsi in misura tale da cominciare a produrre, da un lato acido lattico (estensibilità) e in misura minore acido acetico (tenacia), acido propionico ecc. e dall’altro aromi, sottoprodotti del metabolismo delle proteine (aminoacidi). Loro, i LAB, infatti, sono ghiotti di aminoacidi, vitamine, carboidrati e ammine. Saranno quindi le lunghe maturazioni o le lievitazioni indirette (Biga e poolish) a dare questo contributo sotto il profilo aromatico e rispetto alla migliorata estensibilità dell’impasto, più che i processi di “maturazione” di cui sopra. In ogni caso si tratta di una piccolissima quota di nutrienti consumati, davvero poco significativa per il nostro di metabolismo.

 

 

[su_button url=”https://www.facebook.com/groups/graniantichi.pastamadre/” target=”blank” background=”#881d2b” icon=”icon: facebook-f” desc=”Grani Antichi & Pasta Madre”] [/su_button]
/ 5
Grazie per aver votato!