Ad Filippo perché in due abbiam fallito
La lettera è dedicata ad Filippo, nome che indica coraggio e personalità che a lungo mi aveva affiancato durante gli anni del volontariato.
Il vizio supremo è la superficialità, tutti ciò che è vissuto fino in fondo è per ciò stesso giusto.
(Oscar Wilde, De profundis).
Hegel diceva che il male, nel confessarsi, smette di essere
Filippo ci sono parole e gesti che perdono di significato quando la coscienza smette di ostinarsi, smette di inseguire la verità e si arrende. Qualcosa dentro me è successo e qualche altra anche fuori. Il “male”, nel rendersi manifesto, attende di essere riconosciuto come tale e in ciò risolversi nel perdono. Dissolversi nell’abbraccio reciproco, che l’altra gli ricambia.
Ho riflettuto e riflettuto. Resto la personalità poco strutturata di cui parli, ma di certo so riflettere e so ascoltare. Mi sono accorto di aver pervertito con i miei pensieri il “semplice”, di averlo complicato e perciò stesso trasformato nella mia punizione.
Ma non è questo che mi scandalizza. Non è questo che mi turba. Sono una personalità molto complessa, e sono abituato a questi stati d’animo. C’era del vero nelle tue parole che non hanno ceduto al perdono. Le relazioni mancate sono occasioni perdute, visi, persone ed esperienze che non hai fatto.
La mancanza di coraggio
Mi sono chiesto Filippo perché non te ne avessi parlato prima. Mi sono risposto per mancanza di coraggio, mi sono detto. Poi ci ho pensato meglio. Quando avrei dovuto farlo?
Ho pensato alle relazioni che ho costruito in questi tre anni, con tutti coloro che sono rimasti. Ho capito che tu non ci sei mai stato in queste relazioni, semplicemente, perché non ci sei mai stato. Eri certamente responsabile del gruppo, ma non fisicamente presente fra noi indipendentemente da quei contesti formali. Capisci cosa intendo? Riesco a contare le volte in cui ci siamo visti fuori dal contesto della colonia.
In tutto ciò, conto di essere la relazione più intensa che avevi in questo gruppo, e ci conto, perché tu stesso mi hai detto di tenere alla mia amicizia al di là del gruppo. Poi conto quante volte, al di là delle riunioni, hai partecipato alle attività del gruppo e sei stato assieme a noi a lavorare una sola volta e mi ricordo pure quella.
Perché non ti ho detto prima del mio disagio?
Mi sovvengono quelle tre, quattro volte di cui ti ho parlato e mi son detto che ho fatto bene a non parlarne, perché non era il momento giusto. Penso poi a tutte quelle volte che ti ho chiamato a casa, senza che c’eri o che qualcuno rispondesse, tutte le volte che ti ho chiamato persino al cellulare. Mi ricordo il gesto d’istinto con il quale alzavo la cornetta, la tensione che avvertivo per quel gesto che finalmente mi ero deciso a fare e poi il puntuale fallimento. Poi, qualche tempo dopo, riuscivo a sentirti è vero, ma dentro me il proposito era già svanito.
Filippo potrei dirti che la relazione è fallita perché son mancato io. La verità, però, è che in tutto ciò, al di là delle volte che ci siamo incontrati per organizzare le mille cose che assieme abbiamo fatto, ci siamo visti in tutto quattro, cinque volte. Per il resto ricordo un mucchio di chiamate burocratiche, telefonate di servizio, fatte per chiedere autorizzazioni formali a fare. Ricordo poi bei discorsi, sempre più radi invero, sui mille sogni, la casa famiglia e le altre fantasticherie strampalate e sui massimi sistemi, ma neanche quello da solo fa una relazione.
Filippo mi chiedo non perché si sia sfaldato il rapporto
Mi chiedo al contrario come ha fatto a durare così tanto. Mi sono risposto, che è perché, nonostante tutto, ho condiviso qualcosa di importante con te, anzi l’esperienza più importante di tutte. Questo mi lega a te e a tutti gli altri compagni di viaggio in modo indissolubile. Però neanche questo basta a costruire una relazione. È triste perché dopo tre anni che ti conosco, forse, se ci mettessero in una stanza, facendoci giurare di non parlare di colonia, io non troverei argomenti. Questo è triste perché vuol dire che al di là della colonia non esiste alcuna relazione e un occasione è stata mancata, un pezzo di vita non vissuto.
Fra un po’, al di là di tutto sto macello, andrai via, parti per la specialistica e un al di là della mia volontà comincerò a seguire le SISSIS, avendo molto meno tempo per il volontariato. Non riesco a immaginare una chiamata tua in cui mi dici semplicemente come và e francamente non riesco ad immaginare neppure una chiamata mia. Forse una in cui nostalgico chiedi notizie del gruppo si.
E ciò nonostante resta la mia complessità
Forse sono paranoico Filippo. Forse non dovevo costruire con i miei pensieri quella montagnola di merda, nella quale mi son seduto sopra. Ma se non l’avessi fatto? Se pure fosse stato che non avessi giudicato le intenzioni? Resta l’illusione di una relazione. Quanto le curi? Io penso che dentro, nelle relazioni, ci trovi alla fine dei conti, quello che ci hai messo. Io con buona probabilità ci ho messo la stessa merda, che mi è ritornata in faccia, sotto forma di parole l’altro giorno.
Se anche fossi stata una personalità più strutturata, forse mi sarei semplicemente allontanato. Ciascuno, allora, rifletta sulle accuse fatte e subite. Le mie riflessioni, sono esternazioni di una “checca isterica”. Fatico a digerire questo giudizio, a starci dentro. Hai individuato un punto vivo e lo hai fatto con lucidità, ben oltre la rabbia con la quale adesso ti scrivo.
Resta però il fatto che hai perso il contatto con il gruppo e la percezione della situazione reale. Resterai certamente la persona solida e compatta che non si lascia scalfire dal “giudizio” degli altri, che finirà per ferire gli altri meno solito per lasciare segni su di lui nello scontro. Hai privato la nostra relazione della cosa più importante di tutte: il tempo. Scegliere a cosa dedicare il nostro tempo è importante.
Le relazioni e il tempo del giudizio
Le cose che più contano sono per te le relazioni. Mi dici che prima di andare a dormire conti quali delle relazioni ti hanno reso felice e quali triste. Io però vedo una persona che punta al lavoro e alla realizzazione professionale e forse una persona non si è neanche accorta di aver perduto relazioni importanti. L’ultima cosa la dico, solo per evitare di lasciartela ripetere all’infinito a te: si giudico le intenzioni. Giudico le intenzioni, perché i gesti si possono solo giudicare da quelle e mi dispiace, ma non mi sento di sbagliare nel fatto stesso di giudicare.
Mi sento di sbagliare quando il mio giudizio diventa assoluto, quando serve per chiudere le porte all’altra persona. Il mio giudizio mi spaventa quando fa stare male le persone più fragili che lo subiscono. Per il resto non ho paura di giudicare, perché ogni giudizio verso gli altri resta, sempre, un giudizio verso se stessi. Chi dice di non giudicare mente (anche solo a se stesso) perché non si può non giudicare. D
Non ho però avuto la forza di oltrepassare i limiti del mio giudizio, evitando di condannare le persone. A volte ho ferito e ho giudicato, a volte, ho fatto del male, non sempre senza volerlo, altre volte senza neanche accorgermene. Alle fine dei miei giorni risponderò alle accuse a chi me ne chiederà conto con queste parol :”Ho fatto il male, ma senza saperlo, ho peccato, ma senza volerlo”.
Verrò per ironia della sorte giudicato proprio dalle intenzioni e vedrà non quanto male c’era nei miei gesti, malvagi comunque, ma quanto male c’era nelle mie intenzioni. Forse lì si scoprirà che tutto il male dell’uomo risiedeva nel fatto di somigliare a un Dio nelle proprie intenzioni senza mai riuscire di essergli simile.
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