L’utopia di Tommaso Moro: riassunto.

Utopia il sogno di Tommaso Moro

 Thomas More, italianizzato in Tommaso Moro (1478-1535), filosofo e politico, ideatore della Utopia, rivestì la carica di Lord Cancelliere d’Inghilterra al seguito di Enrico VIII. Sii rifiutò di accettare l’Atto di Supremazia con cui il sovrano istituiva la Chiesa inglese facendosene capo.  Non accettando di disconoscere il primato del papa, fu incarcerato e infine giustiziato. 

L’opera che lo ha reso noto fino a noi è il progetto di una repubblica perfetta e basata  sull’uguaglianza. Il modello è quello della Repubblica di Platone. La sua visione è realizzata in un’isola immaginaria chiamata Utopia. Un “non-luogo”, dal greco ou, “non”, e tópos, “luogo”. Da questa parola deriva anche il titolo dello scritto pubblicato a Lovanio nel 1516, Dell’ottima forma di Stato e della nuova isola Utopia.

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In Utopia vige un ordinamento politico articolato secondo giustizia e ragione. La parola “utopia”, quindi, oltre che “paese che non esiste”, viene così a indicare anche il “buon luogo”, una “eutopia” (da eu, “bene”, e tópos).

Vanno sottolineate le novità importanti di quest’opera rispetto alla trattatistica politica dell’epoca. Non viene proposto il modello cosiddetto dello speculum principis, in cui un autore si propone di prospettare un modello ideale di comportamento politico cui un principe dovrebbe conformarsi, Si introduce il progetto di una città razionale, ben strutturata e felice. A questa viene contrapposta un’Europa mal governata, ingiusta e preda di guerre rovinose. A uno stile esortativo si sostituisce il paradigma di un’ottima repubblica. Il paradigma è modellato sul rovesciamento speculare della realtà a cui si vuole contrapporre.

La struttura dell’opera

L’opera è strutturata come un dialogo tra lo stesso Moro, l’amico Pietro Gilles e il viaggiatore portoghese Raffaele Itlodeo (ciarlatano). Quest’ultimo, unitosi ad Amerigo Vespucci, ha avuto modo di viaggiare molto. Quindi ha avuto modo di venire a contatto con gli usi e costumi di diversi popoli. Conoscitore del greco, del latino e di filosofia sembra dimostrare un certo acume nell’analisi delle questioni politiche.

Delle due parti dell’opera, la prima è dedicata ad una critica feroce dei governi e delle politiche europee. La seconda invece è dedicata alla descrizione dell’“ottima repubblica” dell’isola di Utopia.

La società in cui Moro vive è infatti profondamente ingiusta. E’ governata dispoticamente e continuamente occupata da guerre di conquista. L’idea dell’esistenza di una società giusta può solo essere immaginata in un’isola lontana e sperduta. Per questo Moro la colloca in un luogo che non c’è.

Critica alle scelte politiche europee

I sovrani europei, avidi e corrotti, vengono paragonati da Itlodeo a un medico incapace che, anziché curare una malattia, ne procura di altre e peggiori. Itlodeo è contrario per esempio alla pena di morte comminata indifferentemente ai ladri e agli assassini. Questi gli argomenti di Itlodeo contro la pena di morte.

Anzitutto, la vita di un uomo è un bene assai più prezioso del denaro che ha sottratto. In secondo luogo, i reati non hanno tutti lo stesso grado di gravità e richiedono, pertanto, sanzioni differenti. Un omicidio è più grave di un furto, non ha quindi senso trattare i due reati allo stesso modo. Ancora, Dio ha proibito espressamente di uccidere. La stessa legge mosaica puniva il furto con un’ammenda.

Moro, poi, attraverso le parole del navigatore portoghese, fa riferimento alla recinzione delle terre. Queste erano originariamente destinate all’agricoltura e poi adibite al pascolo. Un evento che ha portato all’espulsione dei contadini e alla produzione di nuove sacche di povertà. Un’altra conseguenza è stata l’ulteriore diffusione di furti e brigantaggio. Lo stato di povertà delle nazioni è la vera origine della diffusione di comportamenti malavitosi. La sua causa non può che essere imputata, quindi, agli stessi governanti. Il fenomeno viene poi ulteriormente aggravato dalle politiche bellicose degli stati e da un regime gravoso di tassazione.

La condanna della proprietà privata

Compare, a questo proposito, un controesempio immaginario. Presso la popolazione persiana dei Polileriti (dal greco polýs, “molto”, e léros, “cicaleccio”, come dire i chiacchieroni), chi è condannato per furto restituisce la somma al legittimo proprietario. E’ inoltre costretto a svolgere lavori di pubblica utilità.

L’origine dell’ingiustizia e delle disuguaglianze viene attribuita alla proprietà privata. E’ proprio in riferimento polemico a questa che viene evocata per la prima volta la comunità degli utopiani. Questa è regolata da poche leggi che stabiliscono l’uguaglianza dei beni in modo che a nessuno manchi il necessario. Il riferimento all’immaginaria Utopia viene rinforzato da quello a Platone. Il filosofo greco avrebbe già compreso che la sola salvezza per lo Stato è l’uguaglianza dei cittadini,. Questa uguaglianza non si può perseguire infatti quando i beni sono proprietà privata dei singoli.

E’ infatti il possesso individuale la causa principale dell’invidia e dell’avidità, la molla che spinge al desiderio di aumentare le proprie ricchezze. Il motivo dello scatenamento dei conflitti e della diffusione della povertà. Un’equa e razionale distribuzione dei beni implica necessariamente l’abolizione totale di ogni forma di proprietà.

 Le guerre

Diretto corollario dell’avidità sono le guerre di conquista, nelle quali sono impegnati gli stati all’epoca. Gli effetti principali sono le stragi, lo sperpero di denaro e la necessità di procurarsene ulteriormente, l’aumento della povertà e dei disordini. Anche in questo caso viene presentato un contro esempio utopistico. La popolazione degli Acori (letteralmente: “senza luogo”), vicina al paese di Utopia, si impegnò in una guerra di conquista cui presto rinunciò a causa dei gravi inconvenienti che ne derivavano. Gli svantaggi per la comunità erano infatti di gran lunga superiori ai vantaggi attesi.

L’organizzazione sociale

La seconda parte dello scritto è dedicata alla descrizione dell’isola di Utopia. Questa si compone di 54 città, ciascuna divisa in 4 parti.

I magistrati, o sifogranti, in carica per un anno, vengono reclutati elettivamente tra le famiglie. Un magistrato ogni trenta famiglie, in modo da formare gruppi di dieci, a capo di ognuno dei quali viene posto un traniboro. I sifogranti eleggono un principe, la cui carica è a vita, scegliendolo tra quattro nomi proposti al senato dal popolo stesso.

Al centro di ogni città c’è un luogo adibito a mercato in cui ciascuna famiglia porta i prodotti del proprio lavoro. Questi vengono suddivisi tra tutti in base alle necessità. I pasti si svolgono in comune, in spazi appositamente adibiti.

La famiglia come nucleo della società.

L’unità minima è costituita dalla famiglia, ordinata secondo rapporti gerarchici. Il più anziano è capo famiglia, la moglie è sottomessa al marito, i figli ai genitori ecc. Tutti i cittadini si recano a turno a lavorare in campagna, dove restano per due anni. Ognuno apprende un mestiere (falegname, tessitore, muratore ecc.). La giornata lavorativa è di sei ore, mentre il tempo libero è dedicato agli studi umanistici. Infine, la proprietà privata, come detto, è bandita e le guerre inesistenti, se non occasionalmente per difendersi dalle aggressioni dei paesi nemici.

Conclusioni

Il pensiero di Moro può certamente risultare ancora acerbo se paragonato alle grandi riflessioni politiche e sociologiche del ‘700 e meglio ancora dell’800. Tuttavia si tratta di una visione per certi versi profetica. Questo sia rispetto al livello di analisi che ai contenuti. La sua critica all’Europa fu tristemente annunciatrice di disastri anche peggiori di quelli cui lo stesso Moro assistette. Essa è per certi versi ancora attuale in seno all’odierna UE. Gli egoismi dei sovrani cechi rispetto alla crescente sofferenza del popolo ne rappresentano il vero grande vulnus.

La corrispondenza tra iniqua redistribuzione del reddito e diseguaglianza sociale è certamente chiara nel pensiero di Tommaso Moro. Utopia è certamente un tentativo infantile di porre soluzioni a grandi problemi. Alcune proposte tuttavia, come per esempio l’idea di eliminare la proprietà privata, come anche il limite delle 6 ore di lavoro giornaliere avranno un seguito inaspettato.

 

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