Cicatrici: Pezzi infranti di sé. Come convivere con le ferite

 

Le cicatrici: il ricordo di un dolore

Le cicatrici siano esse fisiche o spirituali sono delle tracce evidenti di un trauma, di uno strappo consumatosi e di certo risoltosi. Ci sono perché la ferita è stata rimarginata. Ci sono perché siamo stati capaci di andare avanti, di ricominciare, come si suol dire. Tuttavia qualcosa è rimasto dell’antico dolore: un senso vago di malinconia, un romantico guardarsi indietro per ricordare i tempi d’oro, un’insoddisfazione generica per il presente. Le cicatrici sono “riparazioni” di lacerazioni in quanto tali certamente dolorose. Quel dolore ci accompagna anche dopo che il trauma s’è risolto, come rimpianto. Deturpano la geometria perfetta del nostro corpo, del nostro presente. Disturbano quello che ci siamo con tanta fatica costruito.

Lembi ricuciti e cicatrici

Un po’ come Frankenstein sembriamo allora più un insieme di lembi ricuciti, pezzi che tra loro paiono non c’entrare nulla. Un po’ come un vaso rotto i pezzi sono stati rimessi assieme, ma quelle linee e quei frammenti mancanti ricordano che le cose non torneranno mai più come prima. Il nostro sè ancorché tutt’uno, non scorge la sua intima bellezza. Si sofferma piuttosto a guardare quei solchi tra un pezzo di carne e l’altro, come se quelle linee fossero dei limiti invalicabili tra una fase e un’altra della nostra stessa vita. Come se guardare tutta assieme la propria figura, riconoscersi i traguardi raggiunti, significasse tradire quello che si è stato.

Insomma le “cicatrici” vengono spesso viste come un problema. Tanto a livello estetico, quanto a livello spirituale il nostro desiderio sarebbe quello di vederle scomparire.

I vasi rotti riparati con l’oro del Giappone

A proposito di vasi mi viene in mente che in Giappone, si è soliti ripararli in modo che le linee di frattura siano ben visibili. Pare che la resina utilizzata contenga dell’oro. Lo scopo è di lasciare che le linee di giuntura siano belle ed evidenti. E’ dunque di sottolineare il valore della riparazione compiuta. Le cicatrici sono parti esse stesse di quel vaso adesso, lo rendono unico e gli danno un valore maggiore.

Gli eventi per quanto luttuosi, dolorosi sono quelli che ci hanno formato. Le scelte per quanto laceranti sono quelle che ci hanno fatto crescere. Le perdite, le rinunce, i sacrifici sono parti di noi. Le cicatrici insomma non andrebbero nascoste.

Siamo affezionati a quelle cicatrici. Siamo intimamente legati a quel dolore. La verità più profonda è che da quel dolore non vorremmo separarci, perché non vorremmo separarci dall’altra metà dei lembi che la cicatrice unisce. Smettere di star male sarebbe come smettere di amare quella parte di noi che un tempo ci fu tanto cara e cui dedicammo tante energie e passioni. Chiudere definitivamente col passato è dunque complicato. Tante volte i sentimenti negativi che ci accompagnano nel presente sono il modo di costruire ponti con ciò che sappiamo per certo non tornerà più.

Che fare allora?

Ho di recente visto un sito che mostra delle immagini di cicatrici integrate con dei tatuaggi. Le immagini mi hanno molto colpito. Quelle linee, quei solchi, diventavano parte di una figura nuova, non più elementi che deturpano la superficie del corpo. Non possiamo separarci da noi stessi, rinunciare a quello che siamo stati. Forse la maggior parte delle volte è proprio il tentativo di nascondere le cicatrici che ci rende infelici. Sono proprio le cicatrici infatti la linea di continuità tra il vecchio e il nuovo, tra le parti lacerate del sé. Volerle nascondere è un voler tenere separate le cose al proprio interno tra un prima e un dopo.

Esattamente come con quei tatuaggi, dovremmo al contrario esaltare quelle cicatrici. Riconoscere il loro valore riparatore, dargli il senso di una rinascita, integrarle in una figura completamente nuova e inaspettata. 

La rinascita è in realtà una conservazione come ebbe a dire il buon vecchio Hegel. Non si può togliere la vecchia figura senza conservarla. Non si può costruire qualcosa di nuovo se non sul vecchio, perché restiamo comunque legati ad esso, perché è parte di noi.

 

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