Guglielmo di Ockham: riassunto. L’alba della modernità.

GUGLIELMO DI OCKHAM E L’OCKHAMISMO

La figura di maggiore rilievo filosofico del secolo XIV, esponente della Scolastica medioevale, è senza dubbio Guglielmo di Ockham (OCCAM).

Nato nel villaggio di Ockham, a sud di Londra, nell’ultimo decennio del Duecento, Guglielmo entrò nell’ordine dei francescani. Studiò ad Oxford ed insegnò in questa università. Nel 1324 fu convocato ad Avignone, alla corte del papa Giovanni XXII, per essere sottoposto a processo. Aveva infatti dato il suo appoggio al movimento dei «fraticelli». Questi erano francescani «spirituali» che sostenevano anche per la Chiesa la necessità della povertà assoluta. Nel 1328, insieme col generale dei francescani, Michele da Cesena, orientato nel suo stesso modo, OCKHAM fuggì da Avignone per unirsi alla spedizione dell’imperatore Ludovico il Bavaro in Italia, perciò fu scomunicato.

Vita e opere

Nel 1342 Mi chele da Cesena, che era stato deposto dal capitolo dei francescani, morì e lasciò a Guglielmo di OCKHAM il sigillo dell’ordine, riconoscendo in lui il capo spirituale del movimento dei «fraticelli»; ma nel 1347, morto l’imperatore Ludovico, OCKHAM restituì il sigillo al capitolo dell’ordine, riconciliandosi in tal modo con la Chiesa. Morì nel 1349 a Monaco di Baviera, dove aveva seguito il Bavaro al ritorno dall’Italia.

Nel periodo del suo insegnamento oxoniense Guglielmo di OCKHAM scrisse opere di logica, quali la Summa totius logicae e la Expositio aurea super artem veterem e opere di fisica, quali le Summulae in libros Physicorum e le Quaestiones in libros Physicorum (due commenti alla Fisica di Aristotele). Nel periodo avignonese scrisse opuscoli di polemica antipapale, quali l’Opus nonaginta dierum ed il Compendium errorum papae Johannis XXII. Infine scrisse altre opere teologico-politiche, quali il Dialogus inter magistrum et discipulum de imperatorum et pontificum potestate, le Octo quaestiones de potestate papae, il Tractatus de iurisdictione imperatoris in causis matrimonialibus e il De imperatorum et pontificum potestate.

OCKHAM è noto per la sua adesione al nominalismo (la dottrina che nega l’esistenza degli universali, riducendoli

a puri nomi, o flatus vocis, sostenuta da Roscellino nel secolo XII), per la quale fu anche chiamato princeps nominalium («principe dei nominalisti»). In realtà la sua posizione è molto più complessa del semplice nominalismo.

Nominalisti VS Realisti

Il primo e più famoso tra i nominalisti fu Roscellino di Compiègne (1050-1120), del quale si sono perdute le opere. Il suo pensiero, pertanto, ci è noto attraverso un’esposizione che ne fa s. Anselmo d’Aosta.

Secondo Anselmo, Roscellino avrebbe affermato che:

[su_box title=”Nominalisti” box_color=”#f26c45″]Quelli che vengono comunemente considerati concetti universali sono in realtà semplici flatus vocis. Sono cioè emissioni di voce, suoni, dunque realtà sensibili, per nulla universali.[/su_box]

La realtà tutta, di conseguenza,sarebbe costituita esclusivamente da cose individuali e gli universali propriamente detti non esisterebbero affatto. Questa dottrina avrebbe impedito a Roscellino di comprendere qualsiasi realtà di tipo non sensibile e ad intendere la stessa Trinità ereticamente come costituita da tre individui diversi, privi di qualsiasi unità («triteismo»).

La posizione opposta, cioè realistica, che peraltro era già presente, come abbiamo visto, in Giovanni Scoto Eriugena e nello stesso Anselmo d’Aosta, fu sostenuta da Guglielmo di Champeaux (1070-1121). Costui era un antidialettico, maestro nella scuola cattedrale di Parigi e fondatore, in seguito, del monastero di San Vittore.

Secondo Guglielmo:

[su_box title=”Realisti” box_color=”#f26c45″]Gli universali sono realtà esistenti in sé (realismo esagerato) ed inoltre sono anche presenti nelle realtà individuali, delle quali costituiscono l’essenza.[/su_box]

 In seguitoAbelardo obietto a questa posizione che in tal modo le differenze tra i vari individui diverrebbero tutte inessenziali (compresa quella, ad esempio, tra animali razionali e animali privi di ragione). Pare allora che Guglielmo modificasse la sua dottrina, rinunciando a dire che gli universali costituiscono l’essenza delle realtà individuali. Continuò tuttavia ad affermare che essi sono presenti in queste in maniera indifferenziata, per cui la distinzione tra gli individui non costituisce una vera propria differenza.

La posizione di Guglielmo di OCKHAM

Egli ammette infatti tre ordini di termini (o elementi delle proposizioni):

  1. quelli scritti,
  2. quelli proferiti con la voce,
  3. quelli concepiti con la mente.

Tutti questi termini sono per lui segni di cose, cioè suppositiones. Stanno vale a dire al posto delle cose (suppositio da supponere,  «stare per»). Oggi noi diremmo che sono simboli, qualcosa messo al posto di qualcos’altro. I termini mentali sono detti anche intentiones (da intendere, «tendere a», «indicare»). Sono infatti orientamenti dell’anima verso determinate realtà, cioè sono indicazioni di cose. Queste intentiones, secondo OCKHAM, indicano sempre soltanto enti individuali. Nella realtà esistono infatti solo enti individuali, ed esse stesse, le intentiones, sono realtà individuali, cioè atti dell’anima, atti di intendere. Non c’è bisogno, dunque, di porre nessuna realtà universale, né nell’anima né fuori di essa. Si deve piuttosto escludere l’esistenza degli universali, perché «gli enti non devono essere moltiplicati senza necessità».

A causa di questa drastica eliminazione degli universali si è parlato del rasoio di OCKHAM, come se essa fosse una specie di rasatura dalla realtà di ogni escrescenza superflua. La posizione di OCKHAM è stata contrapposta come via moderna a quella dei realisti, in particolare degli scotisti, chiamata via antiqua.

Al nominalismo è connessa la dottrina della conoscenza elaborata da OCKHAM.

La logica nominalistica

Questi distingue infatti tutte le conoscenze in incomplesse e complesse. Le prime sono i singoli termini. Le seconde sono le proposizioni composte dai primi. Le conoscenze incomplesse possono essere a loro volta intuitive o astrattive. Quelle intuitive colgono direttamente l’oggetto, con tutte le sue caratteristiche particolari, compresa la sua esistenza. Quelle astrattive prescindono da queste caratteristiche, compresa l’esistenza.

Le conoscenze astrattive sono più povere e meno valide di quelle intuitive, le quali costituiscono l’unico vero fondamento della conoscenza. Ma le conoscenze intuitive sono possibili, secondo OCKHAM, solo nell’ambito dell’esperienza, esterna o interna. Nel primo caso si rivolgono attraverso i sensi ad oggetti materiali. Nel secondo si rivolgono mediante l’intelletto ad oggetti immateriali (affezioni dell’anima, sentimenti, intellezioni). PEr via del loro fondamento empirico sono anche realtà contingenti. Insomma OCKHAM riduce tutta la conoscenza a intuizioni empiriche e le nega qualsiasi carattere di universalità e di necessità. Nega dunque possibilità stessa alla metafisica e fonda la conoscenza esclusivamente sull’esperienza secoli prima l’empirismo di Locke e di Hume.

 Di Dio, in definitiva, secondo OCKHAM non si può conoscere l’esistenza. Di lui non si ha alcuna intuizione empirica, ma la sua esistenza può essere solo creduta per fede. Non hanno nessun valore, di conseguenza, le dimostrazioni dell’esistenza di Dio fatte da S. Tommaso.  o Duns Scoto.

 L’impossibilità di conoscere Dio

A maggior ragione non si può conoscere l’essenza di Dio, cioè i suoi attributi, che devono essere creduti solo per fede. Tra questi il più importante è comunque quello dell’onnipotenza. Dio può fare qualsiasi cosa che non sia contraddittoria con se stessa, cioè può in qualsiasi momento far essere ciò che non è e non essere ciò che è. Questo fa sì che nella conoscenza umana della realtà non vi sia mai alcuna certezza.

Naturalmente non si può dimostrare, secondo OCKHAM, se il mondo è stato creato, ed ancora meno se è stato creato nel tempo o dall’eternità. Anch’egli ammette, tuttavia, come Scoto e l’intera scuola francescana, una materia prima, dotata di una sua attualità ed uguale per tutte le sostanze materiali, sia terrestri che celesti. In particolare, secondo OCKHAM, non si può affermare che le sostanze celesti siano incorruttibili, come sosteneva l’aristotelismo, perché Dio nella sua onnipotenza può sempre distruggerle. Notevole è poi il fatto che OCKHAM attribuisca alla materia prima come sua proprietà fondamentale l’estensione nello spazio, cioè una caratteristica quantitativa, misurabile matematicamente.

OCKHAM poi nega che sia dimostrabile il rapporto di causalità, perché nell’esperienza noi abbiamo intuizioni separate della causa e dell’effetto e l’una non include l’altra, cioè dall’una non si può ricavare l’altra. Infine egli nega anche il concetto di causalità finale, perché il fine come tale non può essere causa di nulla e ciò che appare come effetto di una causa finale è in realtà il prodotto di una causa efficiente, l’unica capace di muovere un oggetto verso il suo fine. In tal modo OCKHAM nega ogni spiegazione finalistica dei fenomeni naturali. Tutte queste dottrine, come vedremo, saranno riprese dalla filosofia moderna ed attestano perciò l’importanza di OCKHAM per la storia della filosofia.

La negazione della metafisica e la critica al concetto di causa

Per quanto riguarda l’anima umana, OCKHAM naturalmente esclude che sia possibile dimostrarne l’immortalità. Anche in questo caso essa viene ammessa solo per fede. Per spiegare l’intellezione, infatti, c’è bisogno di ammettere un intelletto immateriale, il quale come tale non può corrompersi. Non è necessario tuttavia che questo sia forma del corpo, cioè sia un’anima intellettiva individuale. Esso potrebbe essere una causa motrice, del tutto separata dal corpo.

Solo la fede ci assicura, secondo OCKHAM, che tale intelletto è anche forma del corpo (Aristotele), cioè anima intellettiva, e quindi che la nostra anima è immortale. In tal modo OCKHAM finisce per far dipendere dalla fede persino una dottrina aristotelica. Anche la libertà umana, secondo OCKHAM, non è dimostrabile razionalmente, ma risulta solo da un’esperienza immediata. Per mezzo di essa l’uomo può anche compiere azioni buone. Queste però non sono mai sufficienti ad assicurargli la salvezza, la quale dipende solo dalla grazia divina. 

Notevole è infine il pensiero politico di OCKHAM, volto tutto a contestare il possesso, da parte del papa, della cosiddetta plenitudo potestatis, cioè della pienezza dei poteri, sia temporale che spirituale. Ciò significa non solo che si deve ammettere la reciproca indipendenza fra il potere politico dell’imperatore e il potere religioso della Chiesa, ma che all’interno della stessa Chiesa il potere del papa deve essere limitato, cioè deve essere quello di un semplice amministratore.

In particolare OCKHAM nega l’infallibilità del papa, contestando la validità della condanna dei fraticelli pronunciata da Giovanni XXII, e nega anche l’infallibilità del Concilio, sostenendo che solo la Chiesa nella sua totalità, cioè la comunità dei credenti, è infallibile. Abbiamo visto che in ciò egli si trovò a convergere con gli esponenti del movimento dei francescani spirituali, cioè Michele da Cesena e Ubertino da Casale.

Conclusioni

Come è possibile notare le riflessioni di Ockham hanno già un gusto tutto moderno. Egli riconosce che il fondamento della conoscenza sia l’esperienza. Su queste basi nega la possibilità di una dimostrazione razionale dell’esistenza di Dio e dell’immortalità dell’anima. Non riconosce infine la possibilità di una salvezza mediante le opere. In questo anticipa vale a dire il protestantesimo. Nega infine la possibilità dell’ingerenza della Chiesa sullo Stato.

Non meno interessanti sono le sue posizioni in tema di filosofia del linguaggio. Il suo nominalismo non è infatti né ingenuo, né sprovveduto. Non sostiene semplicemente che gli universali (concetti) non abbiano alcuna realtà. Sostiene piuttosto che la loro realtà è solo logica e sussiste mediante la capacità del simbolo di porre qualcosa per qualcos’altro. Questo stare per è determinato infine dalla capacità intenzionale della mente (anima). E’ lei che pone il simbolo e lo pone al posto di qualcos’altro.

Insomma nel suo pensiero ci sono tutte le premesse che la filosofia moderna dispiegherà con calma secoli dopo. Egli è per questa ragione l’ultimo grande pensatore medievale e il primo filosofo della modernità.

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