La teoria degli antichi astronauti
PREMESSE: L’ipotesi del Dio alieno
Credo che un tesi come quelle di Mauro Biglino in italia e del più famoso Zecharia Sitchin ben prima non abbiano bisogno di grosse presentazioni. Sono autori conosciutissimi nell’ambito della cosiddetta teoria degli antichi astronauti. Teoria che presenta fin troppa coerenza interna, al tal punto da far diventare proprio quest’ultima il suo vero punto di debolezza. Ecco perché quanto meno sarebbe più opportuni parlare di ipotesi del dio alieno, piuttosto che di teoria. Come è noto infatti le ipotesi sono lo spazio prescientifico da cui pesca lo scienziato per elaborare, dopo opportuni accertamenti delle teorie. Una volta che l’ipotesi è stata elevata a teorie, è cioè stata supportata da evidenze o prove, deve ancora ritornare alla comunità scientifica per essere confrontata con delle teorie concorrenti. Solo alla fine quando la maggioranza della comunità scientifica, sulla base di ragioni, converge su quella data teoria ritenendola la migliore a giustificare quel dato fenomeno, la si può introdurre al grande pubblico come “verità” acquisita.
Le ipotesi su Dio
Chiunque voglia seriamente parlare di questi argomenti deve quindi, pena la ridicolizzazione mediatica, degradare la teoria degli antichi astronauti ad un’ipotesi, la quale ad oggi non ha sufficienti prove per assurgere a teoria. Ricordo infatti che una delle condizioni del dibattito scientifico è la pubblicità. La prova, l’evidenza, chiamatela come volete, deve essere di pubblico accesso almeno in linea di principio. Non valgono come prove le “strane coincidenze” né tanto-meno la coerenza interna. Una ipotesi che spieghi più cose, che le organizzi in modo più coerente non è da preferire ad un’ipotesi più complessa e con punti meno oscuri. Il cosiddetto rasoio di Ockham si applica infatti a teorie e non ad ipotesi. Certo la coerenza, la quantità di punti ciechi (ambiguità), la coerenza interna e i fatti di cui riesce a rendere conto sono indici di correttezza di un ipotesi, ma non dicono nulla sulla sua validità scientifica.
Quando si ragiona di ipotesi concorrenti infine, quando cioè nessuna ipotesi ha sufficienti prove per assurgere a teoria, si ragiona in termini di probabilità. Esistono allora ipotesi più probabili, ipotesi meno probabili ed ipotesi semplicemente impossibili. Cataloghiamo pure l’ipotesi del Dio alieno tra le altamente improbabili. E’ bene però sapere che l’ipotesi oggi predominante, quella che afferma che un uomo è morto e risorto il terzo giorno, è per sua stessa ammissione impossibile.
Sulla impossibilità di conciliare le verità espresse nella Bibbia, con quelle che produceva la scienza s’è infatti elaborata da ormai 500 e passa anni la teoria della doppia verità, formulata per la prima volta da Galileo Galilei.
La doppia verità: la schizofrenia della ragione
Esistono verità di fede e verità scientifiche che hanno ambiti diversi e funzioni diverse. Esiste poi il limite imposto alla scienza dalla sacralità dell’atto di fede, sacralità cui la ragion cede il passo allor quando si annuncia a noi il mistero della morte. Non voglio fare in questa sede un discorso sulle radici antropologiche della religione, solo limitarmi a dire che per secoli dalla patristica in poi, pur di non accettare il significato letterale di ciò che c’era scritto nella Bibbia abbiamo dovuto articolare teorie su teorie, la principale delle quali semplicemente impossibile da credere secondo scienza.
Da questo punto di vista è bene precisare che qualsiasi ipotesi su Dio e sull’origine dell’uomo è migliore di quella espressa dal cristianesimo, che ha più volte dovuto arrangiare la sua verità alle acquisizioni del dibattito scientifico. L’evoluzionismo in particolare non è ancora stato accettato dalla chiesa, che ha proposto un più morbido disegno intelligente. Non è il caso che regola l’evoluzione genetica, ma il volere di Dio che per altro nel caso dell’uomo sarebbe intervenuto direttamente (come?) per modificare la sua natura, imprimendo la sua immagine su di lui.
Altamente improbabile è meglio di impossibile.
Le probabilità dell’ipotesi del Dio alieno
Capirete dunque che così posta la questione la partita è vinta facile. Però conviene lo stesso confrontarsi sulle probabilità che l’ipotesi sia vera.
Il primo gruppo di ipotesi
- Quanto è probabile che in un universo infinito ci siano altre creature intelligenti come noi se non di più?
- In che misura è probabile che esista un pianeta nell’infinità dei pianeti dell’universo che abbia condizioni atmosferiche compatibili con le nostre?
- Quanto è probabile che una vita al “carbonio” abbia la medesima genetica dovunque essa si sviluppi? Ovvero che la vita per come la conosciamo utilizzi il medesimo linguaggio per cosi dire?
Questa la prima serie di probabilità. Se lancio un numero finito di dadi la probabilità che esca il numero 1 poniamo è 1 a 6. Posso però ripetere il lancio 1.000.000 volte e il numero uno non uscire mai. Dirò però che è altamente improbabile che su un milione di lanci non esca mai nemmeno una volta il numero uno. Altamente improbabile in ambito scientifico è sinonimo di impossibile nella quotidianità. Ebbene è altamente improbabile che su un numero infinito di pianeti non ne esista uno con condizioni simili alle nostre dove non si sia sviluppata una vita al carbonio con una genetica identica alla nostra. Sarebbe giusto il caso di ricordare infatti che il batterio unicellulare, il dinosauro, l’uomo e tutti gli essere viventi del mondo condividono il medesimo DNA. La stessa sequenza infatti codificherà sempre la medesima istruzione in qualsiasi organismo.
La risposta a questo gruppo di domande allora è: altamente probabile.
Il secondo gruppo di ipotesi
- Quanto è probabile che esistano razze aliene più intelligenti della nostra che abbiano deciso di colonizzare il nostro pianeta per approvvigionarsi di materie che scarseggiavano nel loro?
- In che misura è probabile che tali razze aliene distanti anni luce dal loro pianeta una volta arrivati qui abbiano dovuto adattare le loro conoscenze ai materiali disponibili in loco?
- Quanto è probabile che possano aver modificato al genetica di una specie preesistente per migliorarla ai loro scopi?
Bene queste sono probabilità a mio avviso condizionate. L’evento deve cioè essere successo per davvero e solo una volta successo il resto si rende probabile. Le probabilità cioè che i suddetti alieni abbiano scelto proprio il nostro pianeta non sono vale a dire oggettivabili. Se il fatto è accaduto allora il resto è probabile almeno in linea di principio. Siamo noi infatti i primi a cercare possibilità di sfruttare i pianeti vicini per trovare risorse in esso. Non pensiate infatti che i viaggi costosissimi su Marte siano fatti per il solo fascino della scoperta! Le nostre attuali conoscenza sul genoma ci hanno già permesso ibridazioni di specie (OGM) allo scopo di migliorare per esempio la resa del grano e pare che in Cina siano già partite le prime sperimentazioni sull’uomo. Possediamo cioè in linea di principio già le conoscenze che dovremmo attribuire ai famosi alieni venuti da lontano.
Il terzo gruppo di ipotesi
- Quanto è probabile che delle civiltà gloriose abbiano per millenni popolato la nostra terra senza che di loro sia rimasta traccia?
- Come possiamo pensare che “visitatori” così radicati sulla terra a tal punto da costruire qui la loro forza lavoro siano semplicemente scomparsi?
- Quali ipotesi REALI sulla loro storia possiamo fare?
In effetti qualche traccia del loro passaggio questi visitatori l’avrebbero anche lasciata. Ben al di là dei testi dei sumeri, di un vuoto evolutivo non spiegato né dal’antropologia culturale né dalla genetica, al prova del loro arrivo sulla terra saremmo proprio noi essere umani.
La prima prova del loro arrivo siamo proprio noi esseri umani. Allo stato attuale
I punti di forza
i punti ciechi
i risvolti sociologici.
lo schiavo non vuole essere libero, vuole solo diventare il capo degli schiavi
Non voglio dilungarmi ulteriormente sul perché considero un errore storico l’aver rinchiuso questo rapporto tra classi dentro un movimento dialettico che evidentemente non gli appartiene. Il comunismo s’è realizzato ed è lì. Se non lo trovate da nessuna parte nella carta geografica, tanto vi basti come prova dell’errore che fece Marx. L’esistenza delle classi si spiega meglio a mio avviso come un’istanza strutturale ad organizzare la società in modo verticistico. Un esigenza tutta umana di ubbidire a qualcuno e adorarlo fino al punto di considerarlo un Dio, per poi tramargli continuamente dietro le spalle. schiavi e padroni. Un ubbidienza sempre pronta alla ribellione l’avrebbe definita Hegel. Da dove deriva tuttavia questa esigenza? Mi permetto in questo spazio di avanzare brevemente due ipotesi., che a ben vedere possono tranquillamente interagire fra loro.
1- La Genesi spiega la nostra attitudine alla schiavitù: l’argomento di Mauro Biglino
Su quest’ultima mi limito solo a dire che siamo nati per lavorare e nati per ubbidire. Per nati intendo proprio “geneticamente fatti per”, pensati dal nostro “Santo Creatore” esattamente con questo scopo. Ci sono studi recenti di Mauro Biglino in proposito che spiega molto meglio di me cosa intenda con questa affermazione. Non sintetizzerò (almeno in questa sede) il suo pensiero. Per due ragione. La prima è che lui è senz’altro più bravo, e conosciuto, di me a spiegare il suo pensiero. La seconda è che tutto sommato si può fare a meno di considerare vere le sue ipotesi su un Dio alieno, fermo restando che giudico la sua ipotesi più che plausibile.
La sua ipotesi la giudico plausibile, almeno per quello che mi riguarda, per le implicazioni che ha sugli sviluppi storici del genere umano, che in questa sede tuttavia tenterò di analizzare per altre vie. Desidero in questo modo tenermi alla larga di quei facili obiettori che magari non credono ad un’ipotesi remota ma plausibile di un Dio alieno che ci abbia creato e non generato, ma sono disposti a credere ad un tizio che è morto e risorto 2000 anni fa.
Che in universo potenzialmente infinito possano esistere altre creature con un intelligenza anche superiore alla nostra è un ipotesi plausibile, che possa esistere un uomo che muore e poi risorge una certezza (di fede) assurda. Tanto basti come difesa d’ufficio sulle ipotesi formulate da Biglino. Lui è grande e grosso e sa senz’altro difendersi meglio di come o fatto adesso io.
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Noi proveremmo piuttosto a procedere utilizzando altre vie, avendo però ben presente la sua ipotesi.
Marx disse del lavoro che esso è fonte di emancipazione degli individui dalla Natura e mezzo di acquisizione della consapevolezza di sé. Gli antichi uomini medievali dicevano “Ora et labora”. Tanto ci basti per ragionare sul fatto che quella del lavoro è un’esigenza umana, proprio come lo è mangiare, crescere e morire. Non intendo dire che bisogna operare, fare qualcosa per vivere, questo è ovvio e non ci distinguerebbe dagli altri animali. Intendo proprio dire che abbiamo bisogno di un operare organizzato, collettivo, per trasformare in modo a noi soddisfacente la Natura e dunque sopravvivere. Abbiamo altre sì bisogno della struttura verticistica che le organizzazione complesse necessariamente richiedono e dunque di regole, religioni, nel senso di recinti e divieti.
Siamo esseri sociali solo per necessità, come dice spesso Biglino, da soli in Natura moriremmo dopo due secondi. Il senso più profondo di questa necessità è il lavoro. Il nostro operare DEVE essere un operare sociale, strutturato, regolato da convenzioni. Possiamo vale a dire operare solo sotto la formula del lavoro dipendente, sotto la guida di un “padrone” che sia garante per noi della risoluzione dei sicuri conflitti che si creerebbero se fossimo lasciati da soli.
Se fossimo lasciati da soli la nostra aspettativa di vita durerebbe non più di qualche giorno La coercizione alla vita sociale è una forma di dipendenza non ai mezzi di produzione come aveva detto Marx, ma alla nostra stessa struttura genetica. Sintetizzando per sopravvivere siamo costretti a collaborare e dunque a vincere la nostra naturale tendenza a ucciderci reciprocamente, sopraffarci l’un l’altro e infine assoggettarci. Per costringerci a collaborare abbiamo bisogno di regolamentare il nostro operare, strutturarlo nella forma sociale del lavora.
Detto fra noi ha più ragione Hobbes e il cristianesimo che Marx.
La natura umana è fondamentalmente cattiva e la storia della società è una storia di riscatto da questa cattiveria o “peccato” originale. La spiegazione hegeliana su come succeda che posti in origine tutti sullo stesso piano vada a fine che qualcuno comanda e gli altri servano è molto affascinante e ve la ripropongo qui.
Per adesso ho in mente altro che spiega meglio perché il lavoro abbia una struttura verticistica. Di questo tuttavia non parlerò come dicevo adesso. La spiegazione di Hegel resta la più bella e ancora utile al nostro scopo.
Io ne ho approcciato una sintesi credo esaustiva qui
Quello che qui conta è chiarire che abbiamo bisogno di un padrone, un’entità superiore che faccia da garante del patto sociale e che risolva volta per volta le contese che la socializzazione coatta crea. Questo ci rende fisiologicamente (e geneticamente) schiavi e non c’è niente che possa emanciparci dalla nostra schiavitù. Credo in breve sia questo il principale errore di Marx.
2 – La povertà legittima la nostra genesi: l’argomento sociologico
L’altra argomentazione dicevamo ce l fornisce Orwell. Lui ha chiarissimo il fatto che il principale motivo per il quale il povero non si ribella in continuazione, pur essendo di animo naturalmente ribelle è esattamente l’iniqua distribuzione della ricchezza (almeno nella società capitalista che abbiamo costruito). Il povero non si ribella spera un giorno di potersi arricchire, accetta la diseguaglianza perché aspira a salire lungo la scala del potere. Il povero non si ribella proprio perché povero. La differenza nella redistribuzione della ricchezza è in altri termini la fonte di legittimazione del potere nella società post-industriale. Se la gente non fosse troppo impegnata a trovarsi un lavoro e sfamare la famiglia, se non fosse impegnata nella sua personale lotta per la vita e per la morte cui il Signore la segretamente condannato, questa troverebbe il tempo per ribellarsi.
Non è la filosofia la più inutile delle arti, quella che comincia quando si sono soddisfatti tutti il bisogno naturale ma la ribellione, nel cui spirito continuamente soffia lo spirito critico del filosofo!
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