Cogito ergo sum. Chi ha paura di Cartesio?

[su_spacer size=”30″][su_spacer][/su_spacer]Eccoci qua ad approfondire il Cogito Cartesio. Con il nostro ciclo “chi ha paura di”. Cartesio non presenta di solito grosse difficoltà di comprensione. Si tratta pur sempre del primo filosofo in senso moderno. Noi siamo tutti figli della modernità. Le sue teorie per questa ragione ci paiono sorprendenti, ma anche piuttosto “scontate”.

Comprendere sino infondo il suo pensiero non è tuttavia così scontato. Spesso  privilegiano infatti gli aspetti più utili per il successivo sviluppo teorico. Si trascurano però gli aspetti del suo pensierio visti come totalità. Si tratta di un approfondimento ad argomenti che per chi volesse potrebbe leggere in forma sintetica e spero chiara qui. Qui invece un’approfondimento sui temi etici

Premessa

Per Cartesio Rex Cogitans (il Cogito) e Rex extensa sono separate, ma c’è di più nel suo percorso riesce a dimostrare l’evidenza della sostanza pensante. Solo attraverso questa dimostra poi quella della sostanza che occupa uno spazio, che ha cioè una fisicità e una tangibilità.

Qual è il problema principale dunque? E’ spiegare in che modo ciò che non ha materialità alcuna, incontra e dialoga con ciò che è materia. Cartesio elabora dunque il suo dualismo Anima/corpo o mente/corpo che è lo stesso. Delle due l’anima è la sostanza pensante il corpo la sostanza estesa. L’anima è fatta di pensieri il corpo di carne ed ossa. Secondo Cartesio tutti i pensieri presenti in noi, appartengono all’anima, mentre il calore e tutti i movimenti appartengono al corpo. Come e dove si incontrano dunque?

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Questo era il problema filosofico di Cartesio ed è interessante vedere come si rifletta nella sua concezione dell’anatomia umana.

La strategia del dubbio iperbolico e il Cogito

Cos’è il dubbio metodico? Cartesio è uno dei primi che riduce la scienza a questione di metodo. A determinare cosa è scientifico e cosa non lo è, è solo il metodo con il quale si procede. Occorre nello specifico individuare un metodo sicuro che possa condurmi a conoscenze certe ed evidenti (criterio dell’evidenza). Il dubbio metodico afferma il principio per cui debba scartare inizialmente dal terreno della conoscenza ciò di cui è possibile nutrire il minimo dubbio.

Capisci bene che se dubito di una cosa è proprio perché è possibile che sia vera o che sia falsa. Come debbo procedere dunque? Intanto “accantono” le cose dubbie. Le metto da parte, tra parentesi. Ne “sospendo” la validità. In questa operazione separo l’atto del pensare da tutti i suoi possibili oggetti. Cosa resta? Il puro atto del pensare. “Dubito (Cogito) dunque sono”.

La dimostrazione dell’esistenza di Dio

Anche in questo caso quanto scritto nell’articolo è più che sufficiente, mi limito qui a ricopiare il paragrafo Dall’Io a Dio.

Per Cartesio Io, in quanto Cogito, ho delle idee. Alcune di esse sono innate, altre avventizie, altre fattizie. Innata per Cartesio è la sola capacità di produrre idee. Quindi di fatto le idee sono avventizie (prodotte da altro) o fattizie (prodotte da mie rielaborazioni).

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Devo insistere? 😛

 Tra tutte queste idee ve ne una che certamente non è stata prodotta da me. Dio infatti in quanto sostanza infinita, eterna, onnisciente, onnipotente e creatrice, non può essere una mia invenzione. Di fatti io sono privo della perfezione che quell’idea rappresenta (il creato non può essere più del creatore), se dunque avessi creato da me l’idea di perfezione avrei dovuto essere perfetto anch’io. Le tre prove già descritte nel precedente articolo ricalcano tutte questo unico principio.

Rapporti con la scolastica

Già Tommaso dal concetto di Dio ne ricava la necessità della sua esistenza. “Dio è”, diceva San Tommaso. Dunque è nel suo concetto, nella sua essenza, che è già compresa anche l’esistenza. Egli è l’unico ente (participio presente di essere), il cui predicato è sé stesso (“L’essere è” diceva già Parmenide). Era stato già San Tommaso a “mostrare” l’esistenza di Dio con le sue cinque vie. Vie per l’appunto e non dimostrazioni. Dio infatti era una certezza autoevidente, alla sua verità bisogna solo condurre con i ragionamenti. Cartesio aggiunge veramente poco al riguardo.

Qual è il problema? Perché Cartesio non comincia da Dio come faceva la filosofia scolastica? Perché potrei ingannarmi su tutto, anche sull’idea che ho di Dio. Devo prima dimostrare che sulle cose evidenti non c’è possibilità di inganno. Devo cioè prima dimostrare la verità del Cogito e solo dopo procedere con tutte le altre evidenze. La via che porta a Dio in Cartesio è dunque l’Io.

Fatto ciò dimostrare l’esistenza di Dio è una strada in discesa.

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Dio come garante del Cogito

1- Delle tre sostanze Dio è l’anello di congiunzione tra l’Io e il Mondo, soggetto e oggetto. Questo è il primo senso per il quale Dio è determinante sul piano gnoseologico.

2 – Con il criterio dell’evidenza, di cui a breve parleremo seguendo le tue domande. Al punto 4. Abbiamo già visto perché è necessario che all’idea di Dio, corrisponda un ente reale. Infine considera che è Dio in quanto bontà infinita il garante del criterio dell’evidenza. Non mi inganno su cose che mi appaiono assolutamente chiare e trasparenti, perché Dio è buono e non lo permette.

2- Il “Cogito ergo sum” ha solo dimostrato che esisto in quanto Cogito. Ma non ha dimostrato l’esistenza delle mie idee. Deve quindi poter esserci almeno un’idea tra quelle che ho ad esistere per necessità indipendentemente dal fatto che la pensi. Dio in quanto garante del criterio dell’evidenza (vedi punto -2) è garante del fatto che siccome percepisco con evidenza l’esistenza degli oggetti essi esistano per davvero. Attraverso Dio guadagno dunque anche la certezza dell’esistenza dell’oggetto (secondo elemento della conoscenza).

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 Il ruolo di Dio nella rifondazione del sapere

Non avendomelo chiesto non abbiamo visto l’importanza dell’ipotesi del Dio maligno per la radicalizzazione del dubbio. Per poter affermare il dubbio come unica certezza è infatti necessario dubitare di qualsiasi cosa. Esistono però le verità matematiche sulle quali non è possibile dubitare. 2+2 fa quattro. Questo è necessariamente vero. Occhio che se il dubbio non fosse radicalizzabile (o iperbolico), il criterio dell’evidenza (o dubbio metodico), non potrebbe essere guadagnato come certezza (vedi il punto 7). Ecco che Cartesio introduce l’ipotesi di un Dio maligno che potrebbe ingannarmi anche su verità che io reputo certe. Questa ipotesi mi permette di poter radicalizzare il dubbio. Mi permette di elevarlo ad atto universale della conoscenza.

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Stiamo per finire, cosa aspetti? Che sia Cartesio a chiedertelo? Un bel like 🙂

Dio come garante dell’”evidenza”. 

Questa ipotesi del Dio Maligno è stato posta per dimostrare il criterio dell’evidenza. Deve però in qualche modo essere “tolta”. E’ chiaro che se esistesse per davvero un Dio maligno potrei ingannarmi anche su ciò che reputo evidente. Il gioco della fondazione ultima necessità invece che mi possa ingannare su tutto, tranne che sul fatto che mi stia ingannando, come visto.

La dimostrazione dell’esistenza di Dio mi garantisce dunque contro ogni ipotesi di genio maligno, poiché Dio, in quanto perfetto, non può essere menzognero. Egli pertanto non può ingannarmi quando io giungo all’evidenza, né può ingannarmi popolando il mio pensiero di fantasmi fallaci.

Egli è garante dell’evidenza, nel senso cioè che la sua esistenza garantisce che ciò che è stato colto una volta come vero continua immutabilmente a essere vero, indipendentemente dalla mia capacità di ripercorrere quella catena di evidenze che mi aveva condotto all’affermazione della verità. Dio dunque propriamente è garante della permanenza della verità.

 Materia ed estensione per Cartesio: il mondo fisico

A questa domanda credo di aver risposto in modo dettagliato nell’articolo che ho già linkato, al paragrafo Rex extensa. Qui vorrei solo richiamare alcuni concetti. La concezione fisica di Cartesio è meccanicistica e democritea. Le differenze che appartengono alla sostanza estesa sono  perciò quantitative e non qualitative. Gli attributi soggettivi sono il risultato dei nostri pensieri sull’oggetto.  Il fatto che un oggetto occupi uno spazio, abbia un peso ecc. è determinato dall’oggetto stesso, il fatto che si anche bello ecc. ecc. è un nostro pensiero.

Le caratteristiche oggettive delle cose

La sostanza corporea non possiede tutte le qualità che noi percepiamo, ma alcune di esse sono quantitative (grandezza, figura, movimento situazione, durata numero) e appartengono alla sostanza estesa, altre soggettive (colore, sapore, odore, suono ecc.) e non appartengono alla cosa corporea, ma al soggetto che la percepisce (ricorda Galilei). Nella concezione cartesiana esiste dunque un dualismo tra sostanza pensante (Cogito), consapevole e libera e sostanza estesa, inconsapevole e meccanicamente determinata.

Le leggi della meccanica

Alla base del movimento stava invece il principio d’inerzia: lo stato naturale dei corpi non era più la quiete, come pensava Aristotele, ma il movimento rettilineo uniforme; solo se interveniva una causa esterna, un corpo poteva modificare il proprio movimento o rimanere in quiete.

L’altro principio è della conservazione della quantità di moto. L’unica forma di interazione possibile tra i corpi era l’urto, la trasmissione di movimento per contatto.

 L’uomo e il dualismo cartesiano

Perché è l’uomo il Cogito, ovvero, l’unica Res Cogitans. Gli altri animali hanno funzioni intellettive meno evolute. Se stessimo ancora alla distinzione aristotelica dell’anima delle tre funzioni dell’anima: Vegetativa e desiderativa e intellettiva, gli animali possiederebbero solo le prime due. Sarebbero cioè capacità di nascere e morire oltre che di di muoversi. Queste due funzioni come visto sopra, sono funzioni del corpo. Ovvero proprietà della sostanza estesa, che banalmente occupa uno spazio (esiste) ed è  capace di movimento.  E’ l’uomo soltanto a possedere anche l’intelletto. Questo problema perciò è particolarmente evidente nell’uomo perché possiede entrambe le sostanze.

Fisiologia delle passioni umane. 

Cartesio ci parla di CORPO-MACCHINA. Tutte le parti più vive e sottili del sangue entrano senza posa in grande quantità nelle cavità del cervello. Queste parti sottilissime del sangue formano gli spiriti animali (da anima, leggi spiriti dell’anima). Man mano che ne entra qualcuno nella cavità del cervello, qualche altro ne esce attraverso i pori che si trovano nella sua sostanza cerebrale e che li conduce nei nervi e di qui nei muscoli. Il sangue pare che per Cartesio fosse il vettore dei pensieri e la ghiandola pineale il punto in cui Anima e Corpo si incontrano per così dire.

Secondo Cartesio la sede delle passioni dunque non è nel cuore, ma in una piccola ghiandola situata nel cervello, la pineale. Le arterie che portano il sangue al cuore, si riuniscono, infatti, in una piccola ghiandola da cui si irradia in tutto il resto del corpo per mezzo degli spiriti, dei nervi, e anche del sangue, che, partecipando alle impressioni degli spiriti, può condurli attraverso le arterie, in tutte le sue membra.

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Per quanto riguarda il rapporto ANIMA-CORPO, Cartesio, afferma che non vi è oggetto che agisca sulla nostra anima più immediatamente del corpo cui essa è congiunta. Per questo ciò che è una passione nell’anima è comunemente un’azione nel corpo. Non vi è via migliore per giungere alla conoscenza delle nostre passioni che esaminare la differenza esistente tra l’anima e il corpo.

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