Protagora: riassunto. Il padre della sofistica

Il movimento “sofistico” nasce con Protagora. Fu il primo a darsi questo appellativo. Prima di lui il “sofista” era semplicemente considerato l’uomo sapiente (da sophìa conoscenza).

Protagora padre della sofistica 

I sofisti nella loro attività non si rifanno al filone naturalistico inaugurato con Talete. Ereditano infatti la lunga tradizione poetica inaugurata da Omero ed Esiodo. Sono di fatto i primi veri umanisti in ambito filosofico. I temi trattati erano legati per questa ragione alla ricerca del bene, del giusto e dell’utile per l’uomo.

Furono i primi a riconoscere il carattere educativo del sapere. Furono essi stessi “educatori”. Elaborarono il concetto di paideia come processo di acquisizione della cultura e formazione dell’uomo alla vita sociale. Erano perciò dei “Maestri” nel senso odierno del termine. Si facevano infatti pagare per il loro servigi. Vagavano città per città finché qualcuno non richiedesse le loro abilità. S’erano perciò abituati ad adattare i loro insegnamenti ai luoghi dove andavano. Ai loro modelli culturali, credenze ed abitudini. Ogni cittadino andava educato ai costumi della propria città infatti.

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Questo permise loro di sviluppare l’arte della retorica. Questa è la capacità di giustificare con la parola qualsiasi cosa. I sofisti inaugurano perciò un metodo di ragionamento empirico-induttivo. Questo permette di risalire dal particolare dell’esperienza al generale della regola che la governa. E’ contrapposto al metodo analitico-deduttivo, visto per esempio con Parmenide. Egli dal concetto di Essere deduceva le sue proprietà

La tradizione sofistica

A lungo i sofisti furono dispregiati dai grandi filosofi, primi fra tutti Socrate, Platone ma anche Aristotele. Oggi per dire che una persona fa ragionamenti volutamente arzigogolati di suole dire che fa “sofismi”. “Sofisticato” è invece un termine che si una per indicare un qualcosa di inutilmente complesso.

Per il fatto di servirsi delle loro conoscenze non per il “puro” amore per il sapere, ma per trarne guadagno furono appellati come “prostitute del sapere”. Siccome la loro arte consisteva nel saper dimostrare la verità di una cosa, come della cosa contraria, passano alla storia come i primi relativisti. 

I sofisti furono in realtà dei potenti innovatori. Essi spostarono il loro interesse dall’indagine sulla Natura a quella sull’uomo. Spostamento che determina in sé la necessità di mutare atteggiamento. La realtà umane sono più complesse, soggette al tempo e alla storia. Mentre del principio può dirsi che esso è identico in tutte le cose, dei costumi umani possono dirsi cose estremamente diverse. In tutte tuttavia v’è del vero. Il metodo descrittivo, vale a dire, l’attitudine di trarre verità dall’esperienza, lascia per sua natura coabitare ipotesi diverse. Il concetto stesso di verità, quando ci si sposta dall’ambito “scientifico” a quello umanistico è costretto a mutare pelle.

“Mercenari del Sapere” o scalatori sociali?

Quanto alla loro abitudine a chiedere un compenso, occorre sottolineare che le critiche di Platone e Aristotele erano nella maggior parte critiche classiste. Abbiamo visto come i filosofi fossero uomini pubblici, influenti nella loro città, ma sopratutto ricchi. I sofisti invece non avevano fissa dimora, né cespiti guadagna. Vivevano perciò della loro sapienza. L’idea aritotelica che si potesse aspirare al sapere solo allorquando fossero stesti soddisfatti tutti i bisogni primari, sottolinea anche come il sapere allora fosse una questione di censo. La conoscenza era considerata un privilegio per pochi. Da questo punto di vista si capisce meglio perché fosse tanto osteggiato chi lo rendesse disponibile a tutti per una manciata di danaro.

Homo mensura

L ‘uomo è la misura di tutte le cose, di quelle che sono in quanto sono, e di quelle che non sono in quanto non sono (Platone, Teeteto, 152a)

Si tratta senza dubbio della fase più famosa di Protagora. E’ l’individuo singolo a decidere della verità delle cose. Questa fu in qualche modo la diretta conclusione dei risultati ottenuto dalla filosofia naturalistica.

Questa infatti aveva proceduto affermando volta per volta verità diverse sul principio di tutte le cose. Verità per le quali erano state fornite ragioni evidenti e prove empiriche (diremmo oggi). Esistevano dunque molteplici punti di vista, ciascuno dei quali appare almeno plausibile.

Cos’è dunque che esprime la verità l’essere o l’uomo che la sta affermando? Protagora pare non avere dubbi. E’ l’uomo il criterio del vero e del falso. L’unità di misura che sola può definire le cose. Egli sposta dunque il riferimento dall’oggettività assoluta (l’essere) alla soggettività singola. L’io di cui parla Protagora è infatti l’individuo storicamente situato. Io e tu mio caro lettore. Io sono la misura delle cose vere e false, come lo sei tu. Proprio per questa ragione però secondo il sofista è necessario educare i soggetti alla sapienza.

Il tema dell’apparenza contrapposta alla verità nasce già con la filosofia naturalistica. Abbiamo più volte visto come ciascun filosofo nell’affermare la propria verità relegasse la tesi contraria ad apparenza. Se tutto muta, il permanere è un inganno dei sensi (Eraclito). Al contrario se solo l’essere è, sarà il divenire e il molteplice ad apparire paradossale (Zenone). I sofisti ribaltano completamente questo punto di vista.

Le apparenze non ingannano: tutto è vero (e falso)!

Ciò che appare è necessariamente vero per Protagora. Egli in altri termini recupera i paradossi degli Eleati sostenendo piuttosto che la paradossalità del divenire, quella delle cose che sono. L’essere è non è allo stesso modo.  Ma c’è di più, giacché a qualcuno una medesima cosa e a qualche altro appare in modo diverso, tutte queste molteplici visioni del mondo saranno ad un tempo vere e false.

Scrive in proposito Protagora: “Quali le singole cose appaiono a me, tali sono per me e quali appaiono a te tali sono per te”. La sua riflessione non è banale: calandoci nel punto di vista delle credenze singolo non c’è possibilità di errore. Che vuol dire? Vuol dire innanzitutto porre la domanda sull’essere non in astratto, ma in concreto a ciascun individuo. Nel farlo non si prende poi in considerazione ciò che è vero in sé, ma ciò che è vero per quel dato individuo. Se reputo vero un qualcosa, infine, potrò anche sbagliarmi sulla realtà della cosa stessa, ma non sul fatto che io la creda vera.

Questo approccio a lungo criticato dagli anti relativisti, costituirà più in là per tutta la modernità l’unico vero modello fondativo possibile. Ad essere vera è la mia credenza, la mia predisposizione verso l’oggetto: sarà sempre vero che io la creda vera. “La sensazione è sempre di cosa che è [l’uomo]”. La doxa, opinione, che comprende le apparenze sensibili e l’insieme delle credenze, abitudini e convinzioni viene accettata da Protagora come unica fonte di conoscenza. In questo senso non c’è falsità nell’opinione.

Come si risalga tuttavia dall’inossidabile certezza del singolo, alla verità oggettiva valida per tutti è cosa che i sofisti non ci spiegano. Questa costituisce piuttosto la sfida percorsa dalla modernità, ancora oggi in gran parte irrisolta.

L’uomo e il relativismo

Proprio come succede per il celebre uomo di Vitruvio disegnato da Leonardo da Vinci è l’uomo a rappresentare la “quadra del cerchio”. Quest’ultimo è l’elemento su cui ruota la contraddizione , ma che è ad un tempo capace di contenerla e armonizzarla. Sono il quadrato e il cerchio che debbono adattarsi al lui, non il contrario. Le regole, le leggi e persino la realtà devono sottostare all’uomo-misura, che ha la maestà di sciogliere e legare.

Per le ragioni appena esposte l’individuo non è soltanto la misura delle cose che si percepiscono, ma anche del bene, del giusto e del bello.

L’interesse del sofista non è dunque puramente teorico-goneseologico. Come detto l’indagine sulla physis, piuttosto, cade in secondo piano. I problemi che stanno a cuore a Protogora sono quelli dei tribunali, della vita politica, dell’educazione dei giovani. Si tratta dei problemi della vita associata, che sorgono all’interno dei gruppi sociali. Oggetto di interesse della sofistica è  l’uomo non come monade, ma come individuo consociato, ovvero, la Polis (città) stessa.

Il principio delle doppie ragioni

Sulla base di queste premesse Protagora insegnava che di ogni cosa è possibile affermare il suo contrario. Di tutte le tesi egli insegnava a difendere la più debole. Su ogni cosa insegnava ad offrire tesi diverse e contrapposte. Questo passa come principio delle doppie ragioni. Il sofista infatti insegnava a dimostrare come su ogni cosa ci siano due ragionamenti che si contrappongono fra loro. I sofisti in altri termini insegnavano la loro arte, come strumento per trarre vantaggio dalla contesa e vivere solido nelle proprie convinzioni.

Lo scopo dei sofisti era infatti “armare” il discepolo contro tutti i conflitti di pensiero o di azione di cui la vita sociale può essere l’occasione. Il loro metodo consisteva dunque nelle sviluppo delle antilogie. L’antilogia è esattamente il pronunciare sia un discorso di difesa che uno di accusa relativamente alla medesima questione. Questa impostazione consente di mostrare il relativismo delle conoscenze. Può però essere usato anche solo a scopo puramente didattico o per mostrare la propria abilità oratoria, nella controversia.

La virtù è l’utile

Protagora, maestro di virtù, definisce quest’ultima come accortezza. La virtù è insegnabile ed in questo senso assimilabile ad una abilità piuttosto che ad un attributo della persona, nel senso cristiano. La virtù è per il sofista un modo di stare nella società, di comprendere le ragioni contrapposte e di trarre vantaggio dalle diverse situazioni. E’ quieto vivere e ricerca dell‘utile. Non esiste una verità specifica, né un bene in assoluto. Esistono però dei vantaggi che si possono saper trarre o non trarre dalle situazioni. Mentre rispetto a ciò che è vero e ciò che è falso è possibile che sia l’uomo a decidere, esiste un’oggettività pratica rispetto all’utile.

Quello che con Darwin chiameremmo istinto di sopravvivenza ha dunque un fondamento oggettivo, che i sofisti non paiono rifiutare. Il criterio dell’utilità è sganciato certamente dalla verità gnoseologica, ma resta comunque un criterio sovra-soggettivo. E’ un criterio che regola la vita degli uomini, piuttosto che le loro conoscenza. La stessa conoscenza d’altronde è come visto per i sofisti asservita ad un interesse: si discute per trarre vantaggi personali.  Come sia possibile risalire dall’interesse del singolo ad interessi universali è fatto su cui i sofisti non indagarono.

La virtù è dunque una capacità di stare al mondo, di relazionarsi agli altri. E’ per i sofisti virtù di un intera comunità. E’ allora utile alla polis che i cittadini siano educati alla corretta convivenza etico-politica. Competenza educativa che i sofisti attribuivano a loro stessi ovviamente.

CONCLUSIONI

Le successive interpretazioni di colossi della filosofia come Socrate, Platone e Aristotele determinarono un atteggiamento verso la sofistica, che ne ha a lungo condizionato l’interpretazione. Questi dettero la priorità ai tempi puramente speculativi nella loro critica. Dove come visto emerge con più chiarezza il loro relativismo.

Abbiamo appena visto come al relativismo gnoseologico, tuttavia, non corrispondesse un relativismo etico-pratico. Che è possibile distinguere tra puro arbitrio e convenzionalità.

Abbiamo anche precisato come i sofisti non si ponessero nemmeno il problema dei rapporti tra l’individuale e l’universale. Questo o perché fossero dei relativisti puri o perché ai loro occhi non aveva nemmeno senso porsi la domanda. E’ infatti risaputo che l’uomo greco si identificava con la Polis. E’ noto che questi si intendesse immediatamente come parte del tutto. Se i sofisti non si posero nemmeno la domanda allora forse ciò dipende dal fatto che l’individuo per loro esprimeva già da sempre l’universale. Comunque stiano le cose Protagora fu il primo ad affermare per la prima volta la priorità della soggettività sull’essere.

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