Zenone: riassunto. I paradossi del movimento

Zenone di Elea

Zenone nacque ad Elea verso la fine del VI secolo a.C. Fu discepolo di Parmenide e suo successore alla Scuola. Uomo coraggiosissimo, dal temperamento focoso. Di lui si narra che contro il tiranno Nearco progettò una cospirazione. Catturato e sottoposto ad interrogatorio pare si fosse tagliato la lingua con i denti e l’avesse sputata in faccia al tiranno. Si tratta ovviamente di ricostruzioni al confine con il mito. Rendono tuttavia l’idea di un temperamento caustico e poco propenso al compromesso. Questo aspetto in qualche misura torna nelle sue dottrine. Fu tenace difensore delle teorie di Parmenide e non concesse nulla ai suoi avversari.

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Le sue teorie furono probabilmente oggetto di molte critiche. L’essere di Parmenide, lo ricordiamo, era immobile, eterno, immutabile, racchiuso in una sfera. Era anche unico. Le contestazioni più importanti riguardavano dunque il movimento e la molteplicità. Erano quelle che più contraddicevano la tangibilità dell’esperienza quotidiana. Quest’ultima era infatti stata ridotta da Parmenide a fonte di inganno.

Il metodo confutatorio (i paradossi)

Il metodo con il quale Zenone procede alle sue dimostrazioni è confutatorio. Consiste nel dimostrare la falsità della tesi contraria alla propria. Ha una sua validità soltanto se si riconosce che per ogni posizione esiste una e una sola posizione contraria. Nello specifico l’operazione è quella di ridurre al paradosso la posizione dell’avversario, in modo da impressionare l’interlocutore. Per questa ragione Aristotele lo considerò il fondatore della dialettica. In effetti di questo metodo si servirono più in là tanto i sofisti come Protagora o Gorgia, quanto lo stesso Socrate e Platone. Costituisce infatti il modello dell’argomentazione filosofica, per sua natura fondata sul dialogo. L’argomentazione per confutazione muove infatti dalla posizione dell’interlocutore e questo necessita innanzitutto che un interlocutore vi sia.

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Le ragioni di questo modello argomentativo risiedono innanzitutto nel fatto che le affermazioni di Parmenide sono tautologiche. Dire che “l’essere è” è infatti un’affermazione sempre vera. A bene vedere queste affermazioni non vanno dunque dimostrate, ma solo mostrate, ovvero spiegate. Sono le premesse del ragionamento e della dimostrazione e per questa ragione non possono a loro volta essere dimostrate. Le implicazioni che si deducono dall’affermazione principale sono invece dette analitiche. Si limitano cioè a ricavare dalla definizione principale le sue proprietà fondamentali per scomposizione (o analisi) del concetto stesso. Legando assieme un concetto ad uno dei suoi predicati essenziali si ottengono proposizioni sempre vere e necessarie. Questo tipo di ragionamento è definito analiticodeduttivo. Né Parmenide, né lo stesso Zenone arrivarono così in là sulla via della teorizzazione logica. Bisognerà attendere Aristotele per definizioni così compiute. A noi bastino queste poche parole semplicemente per ricordare che le proprietà dell’essere individuate da Parmenide non sono ipotesi ma deduzioni necessarie, dunque necessariamente vere e reali.

La salvaguardia dell’essere (e del ragionamento)

Il problema posto dagli Eleati è dunque quello di giustificare la molteplicità posta l’unità dell’essere. Di spiegare il divenire posta l’identità dell’uno.  Se le proprietà dell’essere sono logicamente/ontologicamente necessarie delle due l’una: o sono sbagliati tanto il divenire e la molteplicità o è sbagliato il nostro modo di ragionare.  Zenone opta convintamente per la prima opzione. Dacché le affermazioni sull’essere, come detto, non hanno una vera dimostrazione, l’unica via per salvaguardarle dalle critiche dell’interlocutore è dimostrare la fallacia della posizione contraria.

Argomenti contro il movimento

Se dire che “l’essere è e che il non essere non è” può sembrare un affermazione banale, affatto banali risultarono le loro implicazioni. Negare il movimento non era infatti affare da poco. Filosofi del calibro di Eraclito lo avevano addirittura elevato a principio di tutte le cose. La stessa esperienza ci dimostra in ogni istante che le cose mutato internamente e rispetto alla posizione.

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Penso che giunto sin qui dovresti mettere un bel “like”.

Le obiezioni di Zenone si fondano tutte sul paradosso della continuità dello spazio/tempo. Sappiamo tutti infatti che un segmento è per definizione la linea che unisce due punti. Esso è finito e misurabile. Tuttavia è costituito da un insieme infinito di punti. Dato un segmento possiamo infatti dividerlo a metà e poi ancora a metà e ancora a metà all’infinito. Dati due punti ne esisterà sempre un’infinità in mezzo. Data questa caratteristica dello spazio i paradossi sul movimento risultano i seguenti:

 1. La divisibilità all’infinito dello spazio:

Per percorrere un tratto di strada se ne deve sempre prima percorrere una metà. Per percorrere questa metà occorre prima percorrere la metà di questa metà e così via all’infinito. Una infinità di metà separa il punto di partenza da quello di arrivo. Si tratta allora di percorrere in un tempo finito tratti infiniti, il che è manifestamente impossibile, dunque il movimento non è reale.

2. Achille e la tartaruga:

Un argomento molto simile al primo, ma più d’effetto è detto paradosso di Achille e della tartaruga. In una gara di velocità se Achille partisse dopo la tartaruga, la distanza tra loro sarebbe incolmabile. Achille non solo non potrebbe mai superare la tartaruga, ma nemmeno raggiungerla! Perché lo spazio che lo separa dalla tartaruga è divisibile all’infinito. Senza considerare che mano mano che Achille lo colma la tartaruga si è già spostata.

3. La freccia:

Il paradosso della freccia, più che confutare, spiega in che senso il movimento è un inganno dei sensi. Zenone sostiene infatti che la freccia che si vede scoccare da un arco non si muove mai per davvero. E’ in realtà  a riposo perché in ogni istante del suo volo essa occupa una porzione di spazio identico (sempre il suo). Il movimento è allora una somma di stati di riposo messi in sequenza.

Di primo acchito questa tesi può sembrare oscura. Ma in realtà è molto semplice, per noi uomini moderni. Chi di noi non ha mai visto un cartone animato? Sappiamo tutti ormai che si tratta di disegni posti in sequenza, no? Si tratta di immagini fisse, ciascuna delle quali è ferma. Poste in rapidissima sequenza tuttavia danno l’illusione del movimento. Cosa si muove esattamente quando vediamo un film? E nei cartelloni luminosi quando vediamo le scritte scorrere? Le lettere appaiono realmente da un lato e scompaiono dall’altro? Non è forse che resta tutto fermo? Questa è più o meno l’idea che ha Zenone del movimento.

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 Mmm.. Devo ancora chiedertelo? 😛

4. Il paradosso dello stadio:

E’ un argomento che dimostra la relatività del movimento. Questo è infatti sempre relativo al sistema di riferimento che prendiamo in considerazione. Poniamo il caso di avere due masse A e B in uno stadio che si vengono incontro alla stessa velocità. Dal punto di vista dell’osservatore esterno C, A e B andranno entrambe alla stessa velocità. Dal punto di vista di A (o di B), cioè dal punto di vista interno al movimento stesso, la massa impiegherà la metà del tempo per raggiungere B. Il tempo per colmare la stessa distanza (lo spazio tra A e B) è dunque prima la metà (per A stesso) e poi il doppio (per C). A raggiungerà infatti B in metà del tempo, perché B nel frattempo gli sta venendo incontro. Alla sua velocità si sommerà la velocità di B considerato fermo.

Una spiegazione semplice

Siete mai stati in aereoporto? Siete mai saliti correndo su un tappeto mobile? Appena saliti non avete subito la sensazione di andare più veloci? Ma il vostro passo è sempre lo stesso, No? Cosa è successo? Semplice, alla vostra velocità s’è sommata quella del tappeto. Quest’ultimo in un certo senso vi fa venire incontro il terreno che avete sotto i piedi. Mentre voi camminate in avanti è come se il punto che vorreste raggiungere vi venisse incontro.

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Sai cosa voglio no? Suvvia e che sara mai! 🙂

Il principio di relatività del movimento fu in seguito espresso con chiarezza da Galileo Galielei. Lo scienziato fa un esempio probabilmente più intuitivo. Se siamo dentro ad una cabina di una nave che si muove di moto rettilineo uniforme e non abbiamo punti di riferimento esterni avremo la sensazione di essere fermi. In questo caso l’osservatore interno A non percepirà il movimento. Quest’ultimo sarà percepito soltanto dal punto di vista esterno C.

Velocità e movimento sono dunque unità di misura relative al sistema di riferimento. Questo argomento indusse alcuni ad affermare che Zenone aveva inconsapevolmente anticipato la teoria della relatività. Gli argomenti espressi tuttavia non era intesi a dimostrare alcunché se non l’impossibilità del movimento. E’ infatti paradossale che un qualcosa si muova ad una velocità e ad un tempo alla velocità doppia. Quindi è paradossale il movimento.

Argomenti contro la molteplicità 

L’essere di Parmenide era uno e indivisibile. Zenone intende dimostrare come il tentativo di pensare la molteplicità e la divisibilità dell’essere conduca solo a paradossi. I due concetti sono legati tra loro.  Per dimostrare che esiste la molteplicità infatti dovremmo dividere l’unità in sottoinsiemi più piccoli. Dovrebbero allora esserci molteplici unità. Basterà dunque dimostrare che non è possibile che esistano molteplici unità.

Abbiamo appena visto come l’argomento della continuità dello spazio/tempo è quello che di fatto non riconosce “salti” nel vuoto. Un argomento simile torna come vedremo a proposito delle grandezze. Anche la materia infatti se ha una grandezza misurabile deve poter essere divisibile (almeno finché la grandezza è misurabile).

1. Infinitamente piccolo e infinitamente grande.

Se gli esseri fossero molteplici dovrebbero essere infinitamente piccoli e infinitamente grandi. Ciascuno degli esseri infatti per essere veramente uno non dovrebbe avere né grandezza, né spessore. Se avesse uno spessore questo potrebbe essere essere ulteriormente diviso. Il molteplice dovrebbe allora essere questa ragione infinitamente piccolo. Questo molteplice così descritto però, per aggiunto o tolto che fosse a qualcos’altro, non lo modificherebbe in nulla (essendo egli stesso un nulla).

Discorso simile vale per la grandezza. Giacché per quanto piccola ogni grandezza è divisibile infinite volte, questo qualcosa essendo composto da infine molteplicità dovrebbe essere infinitamente grande. La conclusione è che le molteplici unità dovrebbero essere sia infinitamente piccole che infinitamente grandi. Questo è tuttavia impossibile.

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Stiamo per finire, è la tua ultima occasione! 🙂

 

2. Infiniti e finiti per numero.

Discorso del tutto analogo viene applicato alla quantità. Se gli esseri fossero molteplici dovrebbero essere allo stesso tempo finiti e infiniti. Finiti perché sono quanti sono, infiniti perché tra uno e l’altro vi sono infiniti esseri. Infatti qualunque cosa estesa tra una cosa e l’altra è sempre divisibile all’infinito.

3. Lo spazio non esiste

Il terzo argomento nega l’esistenza dello spazio che è condizione di esistenza della molteplicità. Lo spazio, infatti, deve trovarsi in qualche cosa che è ancora uno spazio. Questo spazio a sua volta deve “poggiare” in qualcos’altro che lo contiene e così via all’infinito. Lo spazio dunque non può esistere.

4. L’uno e i molti si comportano in modo diverso

Dall’esperienza si nota che se cadono molti chicchi di grano fanno rumore, mentre se ne cade uno, o una parte anche infinitesimale di uno, no. Se un chicco fosse una parte dei molti dovrebbe fare rumore in proporzione e così la parte infinitesimale di esso. I molti assieme hanno un comportamento che il singolo da solo non ha. I singoli chicchi da soli non scrosciano se agitati, messi tutti assieme si. Il tutto quindi non è la somma delle singole parti. Il tutto si comporta come tutto (uno) e non come insieme di parti.

Lo spazio/tempo e l’anima

A partire dalle affermazioni di Zenone possiamo concederci qualche riflessione aggiuntiva. Abbiamo detto che per gli eleati esiste solo l’essere. Quest’ultimo non ha parti, né un prima o un dopo. L’unica cosa che esiste dunque è l’eterno istante inteso ad un tempo  come punto immateriale, privo di grandezza o spessore. L’istante è un’eterna presenza. In natura non sussistono innumerevoli istanti separati l’uno dall’altro e successivi, così come non esistono infiniti punti sequenziali e successivi in un segmento.

Al pari di quanto succede con lo spazio che è divisibile in infiniti punti, dato un lasso di tempo infatti questo è sempre divisibile in infiniti istanti. All’istante puoi sommarne infiniti altri resta sempre un unico istante. Un instante lo puoi dividere infinite volte senza avergli ancora sottratto nulla. Un punto non ha una dimensione e non occupa uno spazio. La somma di infiniti punti continuerà a non occupare uno spazio. Perché allora percepiamo il movimento? Pare che spazio e tempo non siano delle realtà oggettive. Il movimento che è il rapporto dello spazio sul tempo dunque non è oggettivo anch’esso.

L’istante è fuori dal tempo

Una successione di istanti non è dunque possibile, come non è possibile una successione di punti. Tanto l’istante, quando i punti sono unità adimensionali. Questa è la dimensione dell’eternità, dell’Essere e per chi ci crede di Dio. Nell’istante tutto resta fermo. Nel punto tutto resta immobile. Per avere il movimento dovremmo infatti avere sia un prima e un dopo temporali che la possibilità di immaginare due punti in sequenza e successivi Solo ciò che occupa uno spazio può essere posto in successione. Per semplicare è come se la realtà fosse soltanto un insieme di foto e fossimo noi a ricostruire il film.  Il movimento è dunque nell’anima, perché è nell’anima che avviene la ricomposizione degli infiniti punti in uno spazio continuo e degli infiniti istanti in un tempo continuo.

Il movimento funzione dell’occhio

Si tratta di un’operazione del tutto istintuale e inconscia, di una funzione dell’occhio potremmo dire. Tuttavia è la nostra vista che porta in sequenza gli istanti, che li racchiude nell’armonia del movimento. Il nostro occhio vede la scritta del tabellone scorrere. La continua a vedere anche quando sappiamo perfettamente che in realtà si tratta soltanto di luci fisse che si accendono e si spengono. Il tempo è nell’anima dirà per questa ragione Sant’Agostino.  Kant nella sua Critica della ragion pura definirà poi lo spazio e il tempo come intuizioni trascendentali apriori. Il fatto che siano “apparenze” dei sensi non rende i loro prodotti meno reali per noi.

Zenone tuttavia non è né Kant, né Sant’Agostino. A lui non interessava nemmeno risolvere i paradossi che lui stesso ideò. Suo obiettivo, ricordiamolo, era confutare l’esistenza del movimento e del molteplice.

Come si sciolgono i paradossi di Zenone

Quello che vengono evidenziati da Zenone sono in realtà i paradossi che si creano applicando la logica del finito all’infinito. E’ evidente che, ragionando su misure finite, la somma è maggiore delle parti.  2 più 3 fa 5 e questo è più grande sia del 2 che del 3. Allo stesso modo se sottraggo una parte ad una unità otterrò un che di più piccolo. Se ho 5 è tolgo 2 otterrò 3, che è più piccolo di 5. Questo tuttavia non vale né con l’infinitamente piccolo, né con l’infinitamente grande. La logica dell’infinito è del tutto diversa, paradossale se vista con gli occhi del finito.

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Si lo so ho mentito, ma a fin di bene! 🙂

All’infinito puoi sommare qualsiasi quantità senza che esso venga modificato in nulla. La somma è dunque uguale alle parti. Puoi ancora  sottrarre qualsiasi cifra senza che all’infinito venga tolto nulla. Il segmento è composto da infiniti punti, ma la somma di questi infiniti non mi da una lunghezza infinita, perché la somma degli infiniti punti resta il punto stesso (infinitamente piccolo). Dall’applicazione della logica del finito all’infinito scattano dei cortocircuiti dai quali Zenone trae l’assurdità delle tesi che vuole confutare.

Conclusioni

L’importanza delle tesi di Zenone non risiede tanto nell’insieme delle implicazioni che da esse possiamo ricavare. Per quanto io stesso abbia accostato l’eleate a Sant’Agostino, Kant o Galielo, lui resta figlio del suo tempo. La novità risiede piuttosto nell’aver inaugurato un modello argomentativo di straordinaria importanza. Il paradosso è un cortocircuito della ragione che origina come visto da sovrapposizioni di piani logici diversi. Divenne presto l’artificio retorico preferito dai sofisti e dai retori. L’arte dell’avere ragione era infatti l’abilità nel confutare entrambe le tesi contraddittorie, dimostrando con ciò che tutte le cose erano vere e false ad un tempo. Dalla sofistica nasce poi la teoria socratica e possiamo dire l’atteggiamento filosofico in senso pieno. In questo senso possiamo dire che Zenone è il primo vero filosofo.

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