Pitagora e i pitagorici: riassunto. Il numero come principio

Pitagora e i pitagorici

Si parla sempre di pitagorici al plurale e non di Pitagora, né di altri discepoli specifici. Si ha un quadro abbastanza delineato delle teorie di questa scuola, ma non un idea chiara di chi divulgò il messaggio. Il pitagorismo era infatti più una setta a carattere religioso che una scuola. Le sue dottrine erano in gran parte segrete. Gli adepti sottostavano a regole rigide, tra le quali la castità. I temi scientifiche, come vedremo di grande modernità, si sovrappongono al sentimento religioso.

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Lo stesso Pitagora oltre che un maestro era venerato come un Dio o diremmo oggi un profeta. I pitagorici rappresentano un passaggio importante, come vedremo, nel percorso di dematerializzazione del principio. Sono per tanti aspetti la porta di ingresso al pensiero di Platone. Quest’ultimo infatti poneva la matematica seconda solo alla filosofia e disse che le idee erano in origine l’uno e la la diade (il numero dunque). Egli inoltre abbracciò la teoria della reincarnazione dell’anima, di origine Orfiche, ma professata dallo stesso Pitagora.

Per Pitagora il principio è il numero. I pitagorici a detta dello stesso Aristotele furono i primi ad applicarsi alle matematiche e a farle progredire. Poiché nella matematica i numeri sono per loro natura i principi primi gli venne naturale vedere in questi più che nella materia il principio di tutte le cose. Tutte le cose pareva per loro fossero fatte ad immagine dei numeri, sopratutto la musica: “pensarono che gli elementi del numero fossero elementi di tutte le cose, e che tutto quanto l’universo fosse armonia e numero” (Aristotele, Metafisica).

Il principio è il numero

Per i pitagorici la natura era traducibile in un sistema matematico. O meglio la matematica era la chiave per comprendere la natura. Pitagora notò per esempio come la musica fosse traducibile in un sistema di note e a loro volta di determinazioni matematiche. Notò anche come il cosmo sottostava alla legge del numero: il susseguirsi di giorno e notte, le stagioni, i giorni etc.. Sono precise leggi numeriche che regolano anche gli eventi della nascita e della morte e i vari fenomeni della vita.

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Il numero per i pitagorici era dunque l’unità originaria espressione del calcolo, ma anche della forma geometrica. Non esisteva allora la distinzione tra aritmetica e geometria. In questo senso la natura si esprime secondo una geometria imperfetta e un ordine misurabile che  rimanda alla perfezione del numero. Il sole somiglia ad un cerchio, l’orizzonte ad una retta e così via.

Fu lo stesso Aristotele ad inserire Pitagora tra coloro che spiegavano l’ordine del mondo attraverso una causa materiale. In realtà sarebbe più corretto dire che i pitagorico fecero di quello stesso ordine il principio di tutte le cose. Essi riconobbero vale a dire il fatto che le regolarità matematiche sono il principio di comprensione del mondo. In ciò rivelano dunque una sensibilità spiccatamente moderna (si pensi per esempio a Galileo Galieli). Il concetto di numero rimanda infatti all’idea che la realtà si esprima sempre un ordine misurabile che è accessibile attraverso le scienze matematiche.

Cosa sono questi elementi o principi?

I numeri sono innanzitutto raggruppabili i due specie: pari e dispari. Fa eccezione l’uno, che è definito il parimpari perché capace di trasformare il pari in dispari e viceversa. Il pari e il dispari non sono però la prima coppia. Essi rimandano al loro volta ai concetti di limitato e illimitato e sono questi ad esprimere l’ordine essenziale di tutte le cose. Abbiamo già visto come per Anassimandro il cosmo originasse da un processo di “precipitazione” delle determinazioni dall’infinito o apeiròn. I pitagorici pare che astraessero ulteriormente da questa visione, immaginando il processo di generazione delle cose come un processo di “imbrigliamento” dell’illimitato nei confini del limite. Le cose originano dunque da una mescolanza di illimitato e limitato. La generazione è un processo di determinazione, ovvero risulta dall’azione del limitato uno sull’illimitato diade.

A sostegno del rapporto tra pari=illimitato, dispari=limitato v’era anche il modo con il quale i pitagorici rappresentassero i numeri.

 

Il numero pari veniva rappresentato in modo che geometricamente  lasciasse la possibilità di uno spazio illimitato. Rappresenta pur sempre una determinazione dell’indeterminato (il foglio bianco), ma idealmente protende più verso l’illimitato.

Il numero dispari veniva invece raffigurato in questo modo. L’unità “blocca” espandersi illimitato nello spazio. E’ dunque il principio di determinazione che agisce sull’indeterminatezza dell’elemento pari.

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Passaggio dal numero alle cose

Abbiamo visto dunque come dalla prima coppia limitato/illimitato  sorgano i numeri a loro volta divisi in dispari/pari. A questa seconda opposizione ne seguono altre otto. Dieci era infatti il numero perfetto rappresentante la divinità, come dieci sono i numeri da cui derivano tutti gli altri.

  1. Limitato – illimitato
  2. Impari- pari
  3. unità- molteplicità
  4. destra – sinistra
  5. Maschio- femmina
  6. Quiete – movimento
  7. Retta – curva
  8. Luce – tenebre
  9. Bene – male
  10. Quadrato – rettangolo.

Il limite è l’ordine, è la perfezione. Tutto ciò che si trova dalla stessa parte della serie degli opposti è bene, ciò che si trova dall’altra parte è male. Ancora oggi diciamo un tipo “sinistro” per esempio, ad indicare il fatto che sia sospetto.

Ancorché la cosmogonia di Pitagora ricordi molto quella già sviluppata dai milesi, l’assetto generale è completamente mutato. Per Anassagora il processo di determinazione dell’apeiròn era inteso come un decadimento, una colpa da sanare. Per Eraclito tutto era conflitto, polemos, disequilibrio. I pitagorici immaginano invece un mondo armonioso, ordinato, posto in equilibrio dal rigore del numero. Reso giusto dalla sua intrinseca necessità e regolarità. Il tutto è allora definito cosmo, che vuol dire appunto ordine.

Cosmologia

Proprio a partire dalla concretezza del numero, che oltre ad indicare una quantità, occupa anche uno spazio fisico, è possibile capire come da essi scaturiscano tutte le cose. L’uno è il punto, il due la linea, il tre il piano, il quattro il solido. I quattro elementi derivano anch’essi dai numeri. La terra è il cubo, il fuoco è la piramide, l’area l’ottaedro, l’acqua l’icosaedro. La diversità degli elementi corporei dipendeva dunque dalla diversa forma geometrica delle particelle più minute che le compongono. Questo concetto a ben vedere non è troppo diverso dalla nostra idea moderna di atomo. A distinguere gli uni dagli altri è infatti la diversa quantità di particelle, da cui deriva una diversa “forma” atomica.

I pitagorici ritenevano ancora che al centro dell’universo ci fosse una fuoco centrale (uno/limitato). Da quest’ultimo sono attratte le parti più vicine dell’illimitato (diade) che lo circonda (spazio o materia finita), parti che da questa attrazione vengono limitate, quindi plasmate all’ordine. Questo processo ripetuto più volte conduce alla formazione dell’interno universo.

Il mondo è per loro concepito come una sfera al centro della quale c’è il fuoco originario e intorno a questo si muovono da occidente ad oriente i dieci corpi celesti: il cielo delle stelle fisse. A distanze sempre minori dal fuoco troviamo i cinque pianeti. Il sole, che come una grande lente raccoglie i raggi del fuoco centrale e li riflette intorno, la luna, la terra e l’antiterra, un pianeta ipotetico che i Pitagorici ammettono per completare il numero dieci. Il limite estremo dell’universo doveva essere formato da una sfera avvolgente di fuoco corrispondente al fuoco celeste.

Antropologia

Come ogni altra cosa l’anima umana è armonia. Pitagora fu certamente il primo che insegnò la dottrina della metempsicosi. E’ la dottrina secondo cui l’anima è costretta a reincarnarsi più volte, per espiare la propria colpa originaria. L’anima è dunque immortale e la sua unione con il corpo non gli connaturata. Rappresenta come detto una punizione e mezzo di espiazione. Per i pitagorici l’obiettivo della vita era dunque purificare l’anima dai propri peccati. Questo obiettivo poteva essere ottenuto solo attraverso la scienza. Il culto della scienza era quindi il più alto dei misteri capace di purificare l’anima. L’armonia è ciò che determina e condiziona la mescolanza degli elementi corporei, il principio della convivenza di anima e corpo, ciò che li tiene uniti.

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Alla dottrina dell’anima si collega l’etica pitagorica, con la sua definizione di giustizia. La giustizia è rappresentata dal numero quattro. Il quadrato è infatti il numero uguale moltiplicato per l’uguale (2*2). Simboleggia la giustizia, che consiste infatti nel rendere l’uguale con l’uguale. L’etica pitagorica consiste per il resto in una serie di precetti, che hanno l’obiettivo escatologico della purificazione dell’anima. Questi vanno dall’astinenza sessuale, alla pratica del silenzio. I discepoli apprendevano inoltre le arti della musica, dell’aritmetica e della geometria. Da ultimo passavano allo studio di tutta quanta la natura e il cosmo. Il maestro inoltre parlava nascosto dietro una tenda, per separare il sapere dalla persona fisica che lo pronunciava. Pare infine che la formula αὐτὸς ἔϕα  (Ipse dixit in latino) nasca proprio presso i pitagorici ad indicare il carattere inconfutabile delle affermazioni del “maestro” Pitagora: “Lui lo ha detto“.

Conclusioni

Abbiamo dunque visto come i pitagorici professassero un insieme di credenze di spiccata sensibilità teorica. Essi determinano un sostanziale “salto” dalla concezione materialistica del mondo ad una spiegata per concetti e  ragionamenti. Il numero conserva tuttavia una sua certa materialità da non confondere come visto con il concetto moderno di numero. La struttura cosmologica è ridotta a strutture logico-matematiche per loro esplicita intensione. I pitagorici spiegano quell’insieme complesso di dottrine non scritte dello stesso Platone. E’ infatti assodato che quest’ultimo attingerà a piene mani dalla scuola pitagorica per elaborare la sua metafisica.

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