Eraclito: riassunto. La contesa è madre di tutte le cose

Eraclito l’oscuro: Filosofia ionica

Eraclito è il primo pensatore a tutto tondo che incontriamo nel nostro percorso. Fu un teorico strutturato originario di Efeso. Egli disse che il principio era il fuoco. Come vedremo, tuttavia, presenta punti di forte discontinuità rispetto ai suoi predecessori. La sua idea del principio è infatti legata al divenire, che è

  1.  lotta,
  2. armonia degli opposti,
  3.  logos/ragione (singolarità),
  4.  legge comune (collettività).

Cenni bibliografici

Eraclito nacque ad Efeso fra il VI e il V secolo. Pare fosse di animo sdegnoso e superbo. Per questa ragione non volle partecipare mai alla vita pubblica. “Pregato dai suoi concittadini di dar leggi alla città, rifiutò perché essa era già caduta in balia della cattiva costituzione”, scrive di lui Diogene Laertio. Non ebbe maestri diretti e si vantò di aver scoperto da sé la sua sapienza.

Anche la sua opera si intitolava Della Natura. Pare che il libro fosse scritto in maniera apposita da risultare poco comprensibile. Per questo il nostro fu chiamato Eraclito “l’oscuro”. Sembra ancora che il nostro filosofo procedesse per aforismi legati tra loro concettualmente. Di lui si sa inoltre che aveva un temperamento malinconico. Tenofane disse che questa era la ragione per la quale non riuscì mai a completare i suoi scritti, da cui la forma aforistica.

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Panta rei: Tutto scorre

I Milesi da Talete in poi avevano indagato sul principio di tutte le cose, ovvero, sulla genesi del cosmo. Nel fare questo avevano notato l’estremo dinamismo di tutte le cose. Anassimene aveva addirittura posto a principio l’aria. Questo per sottolineare come le cose fossero in continuo movimento, mosse dai venti e dalle turbolenze. Eccezion fatta per Anassimandro, che pose come principio l’infinito, gli altri erano ancora tutti legati a quella che Aristotele chiamerà successivamente causa materiale. Non seppero perciò esplicitare la natura di questo divenire, elevarlo a principio.

Questo è piuttosto quello che fece Eraclito. Rilevò la perenne mobilità di tutte le cose che sono: nulla resta immobile, nulla permane nella sua fissità e stabilità. Tutto scorre, tutto cambia, trasmuta, senza posa e senza eccezione.  In frammenti divenuti ormai celebri egli scrive:

A chi discende nello stesso fiume sopraggiungono acqua sempre nuove. (Diels Kranz [abbr. DK22], 12).

Non si può discendere due volte nel medesimo fiume e non si può toccare due volte una sostanza mortale nel medesimo stato, ma a causa dell’impetuosità e della velocità del mutamento si disperde e si raccoglie, viene e va (DK22, 91).

Non ci si può immergere due volte nello stesso fiumeNon solo perché l’acqua che lo comporrà sarà già diversa la seconda volta, ma perché lo saremo anche noi. Diremmo noi oggi che, nel nostro continuo rigenerarci, le nostre cellule non sono più le stesse. Non sono più le stesse le molecole che le compongono, ne la loro disposizione. Non siamo più quelli che eravamo però non solo fisicamente, ma anche spiritualmente. Chi buon ben dire di essere rimasto lo stesso negli anni? L’esperienza forse non ci insegna, non ci fa crescere e mutare? Panta rei, dunque! Tutto scorre. Tutto va, lento e inesorabile.

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La verità, ama nascondersi

Ancorché il divenire sia alla base della nostra esperienza quotidiana, elevarlo a principio è cosa diversa. Se tutto diviene non è possibile fissare la conoscenza di nulla. Qualsiasi forma diamo alle cose infatti si sarà presto dileguata. Delle cose che sono, nel mentre che diciamo cosa sono, non sono più. In che modo dunque il mutamento si rapporta all’universalità e necessità del principio? Questo è il problema che rilevava per esempio Cratilo suo discepolo:

Finì con il convincersi – ci dice Aristotele – che non si dovesse neppure parlare, e si limitava a muovere semplicemente il dito, rimproverando persino Eraclito di aver detto che non è possibile bagnarsi due volte nello stesso fiume: Cratilo, infatti, pensava che non fosse possibile neppure una volta (Aristotele, Metafisica).

Se tutto cambia come è possibile fissare in concetti la realtà, pensare e conoscere le cose, cogliere la verità? Non è forse che appena la si è colta essa si è già dileguata? Tacere pare sia la soluzione più immediata per non cadere in contraddizione. Eraclito apre così le porte al relativismo, senza tuttavia entrare nel suo regno egli stesso, come vedremo.

Gli svegli e i dormienti

[su_spoiler title=”clicca per approfondire” style=”fancy”]Per Eraclito la conoscenza immediata, la comune credenza, è fonte di inganno. La vera sapienza è difficile da raggiungere. Egli lamenta quindi come gli uomini, pur avendo ascoltato la voce della ragione, se ne dimenticano, sicché non sanno quel che fanno da svegli, come non sanno quel che fanno nel sonno. Lungo tutta l’opera poi polemizza contro la saggezza apparente, di chi sa molte cose, ma no ha intelligenza. Alla saggezza si oppone la ricerca dei filosofi, che si dirige si ad oggetti molteplici, ma li raccoglie tutti in unità. La verità ama nascondersi diceva dunque Eraclito ed aggiunse: “I cercatori d’oro, scavano molto e ne trovano poco” (DK22, 22), soleva dire per sottolineare la difficoltà della ricerca filosofica. Egli affermò inoltre: “Se non speri, non troverai l’insperato” (DK22, 18).

Introduce così l’idea che il pensiero ricco di speranza è il solo che può indagare sulle realtà che ancora non si vedono. Si può solo scoprire, infatti, qualcosa che prima se ne stava nascono. E’ del tutto evidente che se questo qualcosa fosse presente a tutti non si tratterebbe affatto di una scoperta. Chi ricerca la verità, cerca cose nascoste, perché altrimenti non ricercherebbe affatto. Conserva allora come motore il suo desiderio di trovare la verità e la speranza che essa sia riposta esattamente laddove l’andava cercando. Questo è  il senso filosofico e umanistico della scoperta scientifica.[/su_spoiler]

La legge del divenire: lotta e armonia 

Se tutto muta, l’unica cosa che non cambia però è il suo stesso mutare. E’ dunque la natura stessa del mutamento l’elemento universale che andavamo cercando. Quest’ultimo non è infatti casuale, ma segue una legge ben precisa: la legge del divenire. Essa consiste essenzialmente di due momenti: quello della lotta e quello dell’armonia.

Il polemos: la lotta dei contrari

Per Eraclito il divenire è il trasmutare di ogni cosa nel suo contrario (e solo in quello!). Ciò equivale a dire che di ogni cosa esiste sempre il suo contrario e che ciascuno passa continuamente nell’altro:

Le cose fredde si riscaldano, le cose calde si raffreddano, le cose umide si disseccano, le cose secche si umidiscono (DK22, 126).

Il divenire è dunque un passaggio degli opposti, un dileguare nel proprio contrario. Gli opposti non sono soltanto vicendevolmente collegati, ma sono anche in eterna lotta tra loro. Una lotta che è lotta per la vita e per la morte verrebbe da dire, giacché il dileguare dell’uno è il sorgere dell’altro. Il polemos, la contesa, è allora il primo nome del principio: “La guerra è madre di tutte le cose e di tutte regina” (DK, 22, 53), diceva Eraclito.

La lotta non è però l’unico momento. Il conflitto non è infatti puro caos, guerra di tutto contro tutti. Ogni elemento confligge, come detto, con il suo contrario e solo con quello. Esiste dunque un legame tra gli opposti che mentre li oppone li lega assieme. Esiste vale a dire un rapporto tra contesa e armonia. Sul modo di intendere questo rapporto sono però possibili almeno due interpretazioni. Una che per semplificare attribuiamo a Hegel e l’altra a Nietzsche.

Armonia come riconciliazione degli opposti: l’interpretazione di Hegel

Contesa e armonia potrebbero essere visti come due momenti separati e successivi di un unico movimento.  Era per esempio questa la visione di Anassimandro. Dall’uno si separavano i molti per coppie di contrari, che poi ritornavano all’uno in un movimento circolare e infinito. La separazione sarebbe dunque opposizione all’uno. Rappresenterebbe una lacerazione nella trama originaria del tutto (tesi), in una sola parola l’antitesi. L’armonia consisterebbe, allora, in un ritorno all’unità dalla contesa. Rappresenterebbe il momento della riconciliazione degli opposti in un’entità superiore, in una sola parola la sintesi. Il movimento del divenire sarebbe dunque quello di tesi (unità originaria), antitesi (separazione, lotta) e sintesi (riconciliazione, armonia).

Ciò che è opposizione si concilia e dalle cose differenti nasce l’armonia più bella, e tutto si genera per via del contrasto (DK 22, 8).

Ad un primo livello la realtà apparirebbe una continua contesa. La verità di questa contesa (inveramento) consisterebbe tuttavia nell’armonia. Questa interpretazione del divenire di Eraclito è resa celebre e dispiegata nelle sue implicazioni dal grande Hegel. Fu lo stesso a scrivere: ” Non v’è proposizione in Eraclito che io non abbia accolto nella mia logica”.

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Armonia come eterna lotta: l’interpretazione di Nietzsche

Esiste però un’altra interpretazione dell’armonia. Questa non prevede che il divenire sia percorso da momenti interni. Alla luce di questa interpretazione, il polemos è esso stesso l’armonia in quanto legge necessaria e quindi giusta. Questa è la tesi cui protende, tra i giganti del pensiero, Nietzsche. Non esiste per lui un movimento di ritorno all’unità, né un unità originaria da cui la lotta si diparte. L’armonia consisterebbe in un persistere nella molteplicità delle cose. La realtà è in questa chiave di lettura presenza e persistenza degli opposti. L’armonia è  il loro l’equilibrio, giacché questi nel loro opporsi, si legano assieme. E’ la loro stessa tensione a costituirne l’armonia. Come nelle punte dell’arco è la corda tesa che genera l’unità del movimento (lo scoccare della freccia), così è il legame che tiene insieme gli opposti.

Questi sono in eterna lotta tra loro, lotta che rappresenta il destino di tutte le cose.  La contesa è allora anche giustizia (dike), poiché il polemos coincide con la natura stessa del mondo. E’ giustizia che scaturisce secondo necessità. Il mondo è così e non potrebbe essere diversamente:

Bisogna però sapere che la guerra è comune a tutte le cose, che la giustizia è contesa e che tutto accade secondo contesa e necessità (DK22, 78).

Sulla base di questa tesi, i contrari sono dunque sì eternamente legati, ma non in quanto conciliati. Al contrario sono legati nella loro eterna contesa. Data questa chiave di lettura si capisce meglio in quale senso, tra tutti gli elementi Eraclito abbia scelto proprio il fuoco.

Il fuoco come principio di tutte le cose

E’ vero che il pensiero di Eraclito è denso di suggestioni teoriche. E’ altrettanto vero però che egli resta un pensatore del suo tempo, legato alla materialità del principio. Quella costruita da Eraclito non è né una logica, né una dialettica in senso moderno. Resta piuttosto una ricerca della physis. La logica non esisteva ancora. Armonia e contesta sono modi della sostanza primordiale o sue manifestazioni.  Per Eraclito l’elemento primordiale è dunque il fuoco.

Esso ha le caratteristiche del perenne mutare è distruzione purificatrice. Riflette bene quelle del principio di cui parla Eraclito. Sussiste per il suo stesso dileguare la materia di cui si nutre. Il mutamento quindi è un uscita dal fuoco e un ritorno al fuoco. Il fuoco tuttavia è un principio attivo, intelligente, creatore, “Questo mondo, che è lo stesso per tutti, è e sarà fuoco eternamente vivo, che con ordine regolare, regolarmente si spegne e con ordine regolare si spegne” (DK22, 30).

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Il fuoco è chiamato Dio, come per i suoi predecessori lo era il principio materiale. Eraclito tuttavia immagina l’elemento divino come dotato di conoscenza è razionalità e in questo si differisce dagli altri eleati. Il principio è infatti definito appunto logos, razionalità. La legge che governa tutte le cose riassumendo è dunque, polemos, dike e logosLotta, giustizia/armonia, ragione.

3) Principio è il logos

In che senso il divenire è razionale o meglio la razionalità è quello stesso divenire? Abbiamo già visto che ogni cosa è eternamente legata al suo contrario. Sarebbe però meglio dire però che ogni concetto contiene in sé il suo contrario (come un ché di nascosto da dispiegare). Eraclito parla infatti di freddo e caldo, secco ed umido. Non si sta perciò riferendo a oggetti concreti, ma a concetti per l’appunto.

E’ la stessa parola concetto dunque a farci entrare nel regno del Logos. Non posso pensare nessun concetto, senza pensare con esso il suo contrario, così come visivamente non posso porre un limite, senza pensare un’al di là oltre esso. Si dice che è nella struttura stessa del ragionamento il fatto che esso si sviluppi per coppie di contrari. Eraclito sostiene in aggiunta che questa struttura del divenire è identica per il pensiero e la realtà. L’unica verità è il logos che li determina entrambi.

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La conoscenza di sé

La ragione che muove le cose è dunque per Eraclito la stessa che muove il sé della coscienza. L’indagine sulla natura rimanda quindi ad una indagine su sé stessi. La prima delle condizioni di una buona ricerca per Eraclito è per questa ragione la conoscenza di sé: “Io ho indagato me stesso” dice in uno dei suoi frammenti. La ricerca delle cose naturali è la premessa per il raggiungimento della chiarezza che l’uomo può raggiungere intorno a se stesso. La ricerca nell’interiore dell’essere umano rivela tuttavia l’abisso della sua stessa profondità : “Tu non troverai i confini dell’anima, per quanto vada innanzi, tanto profonda è la tua ragione” (DK22, 45). La legge ultima dell’Io (che è la stessa che governa la natura) appare una profondità sempre più lontana e ad un tempo sempre più intima.

La seconda concezione della ricerca è inoltre la comunicazione fra gli uomini: “Bisogna sempre seguire ciò che è comune a tutti, perché ciò che è comune è generale (DK22, 2). L’uomo deve  dirigere la sua ricerca non soltanto a sé stesso, ma anche a ciò che lo collega agli altri: il logos che costituisce la più profonda essenza del singolo è anche ciò che lega gli uomini tra loro, in una comunanza di natura. Questo logos allora è per Eraclito anche legge della cittàL’uomo singolo, la comunità, la natura.

Pare infine che l’anima per Eraclito fosse immortale e che ritenesse, in linea con l’orfismo, che questa si reincarnasse e che il suo elemento fosse il fuoco. Fiamma di vita si dice ancora oggi!

Conclusioni

Eraclito, come visto, è il primo filosofo di cui si possa apprezzare una argomentazione sistematica. E’ pur vero che di lui ci pervengono molti più frammenti. La natura aforistica della sua trattazione rende poi necessaria una integrazione costante dell’interprete. Questo come visto si riflette in letture del suo pensiero discordanti. Resta un filosofo sui generis il cui pensiero cattura la fascinazione non soltanto di grandi filosofi dopo di lui, ma della stessa gente comune. Panta rei, è oggi un motto comune ancor prima che una massima filosofica. Il suo pensiero rivela tematiche complesse, capaci di una sensibilità ancora oggi attuale.

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