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03/15/2017 by Alessio Farina 1 Comment

Tempo opportunità o condanna?

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L’unica cosa di cui disponiamo per la semplice ragione di dovercene disfare: il tempo.

Il tempo è un bambino che gioca a dadi. Eraclito

 Il tempo è causa del movimento. Il motivo per il quale percepiamo il divenire è che siamo in grado di porre uno accanto all’altro le “immagini” degli eventi percepiti in successione. Esattamente come succede con le sequenze di una pellicola, le immagini diventano azione solo perché disposte l’una accanto all’altra. Vivremmo in un eterno istante senza né memoria, né progettualità se non ci fosse la capacità cognitiva di associare più fatti ad un unico evento.

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Il tempo è nell’anima

Il tempo non è nelle cose, ma è nell’anima diceva già Sant’Agostino. Delle tre dimensioni il passato rappresenta infatti ciò che non è. Il futuro rappresenta ciò che non è ancora. E del presente come si può dire che è, se il motivo per cui è, è che non sarà? Il presente l’unico tempo che esiste è dunque un eterno dileguare. E’ però trattenuto nell’anima come ricordo (passato). E’ spinto in avanti come progetto o anche desiderio (Futuro).

La finitezza è il regno della possibilità. La possibilità è l’unico luogo che ci rende superiori a Dio. In Dio non c’è scelta, non c’è possibilità, non c’è divenire, non ci sono parti, non c’è mutamento. Dio è l’essere parmenideo privo di attributi. Lui “invidia” la nostra finitezza, almeno quanto non invidiamo la sua eternità.

L’eternità è innamorata delle opere del tempo. William Blacke

L’opportunità è il giusto tempo. 

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I greci distinguevano tra chronos e kairòs. Distinguevano vale a dire tra il normale scorrere del tempo e il “giusto tempo”. Kairòs è il momento decisivo capace di mutare il corso degli eventi. E’ tra gli eventi l’evento opportuno, anche provvidenziale, il punto di svolta del cambiamento. Da un punto di vista soggettivo è l’opportunità colta.  Tutti noi cerchiamo la nostra opportunità. La nostra occasione per emergere. Se ci pensate questa opportunità è via via cambiata in noi. Da bambini magari desideravamo fare colpo sui nostri genitori. Poi magari essere bravi a scuola o a pallone. Via via abbiamo desiderato emergere negli studi o nell’ambiente di lavoro. C’è chi cerca la propria opportunità di fronte ai propri figli. Chi ha smesso di scommettere sul proprio futuro. Ma cos’è l’opportunità?

 Io la definirei come l’accadere nel giusto tempo. Già l’Eclesiaste ci avvisava del fatto che c’è un tempo per ogni cosa. L’opportunità è allora un saper cogliere il momento giusto, un sintonizzare il proprio tempo interiore con quello degli avvenimenti. E’ un cogliere l’attimo direbbe qualcuno. Le relazioni vogliono maturare, per crescere. Noi stessi abbiamo bisogno di tempo per maturare le nostre scelte. Il tempo della riflessione, il tempo del riposo, il tempo dell’azione. Dov’è dunque il problema? E’ sempre l’Eclesiaste a dircelo:

Egli ha fatto bella ogni cosa a suo tempo, ma egli ha messo la nozione dell’eternità nel loro cuore, senza però che gli uomini possano capire l’opera compiuta da Dio dal principio alla fine.

Noi siamo innamorati dell’Eternità, almeno quanto l’eternità è innamorata del tempo,

per traslare la bella espressione di Blake. La nostra è una storia d’amore dal finale tragico, giacché ciascuno può incontrare l’altro solo perdendo se stesso. Siamo esseri che viviamo nel tempo, ma aspiriamo all’Eternità, all’infinito, alla perfezione. Tuttavia a guardar bene l’Eternità è un desiderio o una condanna? Forse entrambe le cose.

L’Eternità come “punizione”: la legge del contrappasso

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 La dimensione dell’Eternità non è quella dell’infinito allungarsi degli eventi. Non è un prolungamento idealmente infinito della nostra vita. Senza il tempo esistono solo gli istanti che sono per la semplice ragione che poco dopo non saranno. Abbiamo infatti detto che il tempo è un conservare nella memoria l’eterno dileguare dell’istante. L’eternità è quello stesso istante che è uguale a tutti gli altri, un tempo “scomposto”. L’istante è il contrario del divenire.

Siamo sicuri che migrando nella dimensione dell’eternità otterremmo la felicità? Non vorremmo forse vivere per sempre? Essere felici per sempre? E tuttavia, cosa c’è di più bello nel giorno di fatica se non pensare che finirà? E di un dolore? Davvero sapremmo apprezzare di più una gioia se essa si prolungasse all’infinito?

Sapete cosa intendeva veramente Dante con la legge del contrappasso?

La vera punizione per lui non è inflitta da Dio all’uomo, ma dall’uomo a se stesso. Essa consiste in un trasporre il desiderio dalla dimensione della finitezza a quella dell’eternità. E’ una sorta di criterio di universalizzazione pensato per immagini letterarie. Poniamo il caso che vi piacciano i dolci. Il loro sapore e il senso di appagamento che vi da mangiarli. Se ve li dessi da mangiare per una settimana di fila, vi piacerebbero ancora? E se ve li dessi a mangiare in eterno (ponendo che abbiate uno stomaco abbastanza ampio per contenerli tutti)? Io credo che non ci sia condanna peggiore e voi?

La noia è la punizione peggiore

 Famosa è la narrazione nei “Fratelli Karamazov” dell’incontro tra Ivan e il demonio vi riporto il testo originale qui. Bene l’immagine è quella di un ateo cui viene dato per condanna dopo la morte di percorrere un quadrilione di chilometri prima di vedersi aprire di fronte a sé le porte del paradiso.  Questo sarebbe stato il suo cammino di espiazione. “Non voglio camminare, non camminerò per principio!” disse l’uomo all’inizio. Rendendosi conto che infondo gli veniva data una scelta se accettare o rifiutare la sua punizione:

Bravo!», gridò Ivan sempre con quella strana animazione. Adesso ascoltava con inatteso interesse. «E allora, se ne sta ancora sdraiato?».

«Questo è il punto, no. Rimase sdraiato per circa mille anni, poi si alzò e si incamminò».

«Che asino!», esclamò Ivan, ridacchiando nervosamente, come se fosse intento a riflettere su qualcosa. «Fa forse qualche differenza se giace in eterno o cammina un quadrilione di verste? O è un bilione? Ci metterebbe un bilione di anni per coprire quella distanza, vero?

Dopo aver atteso per mille anni alla fine si alzò e camminò e dovette aspettare un bilione di anni per raggiungere il paradiso.  La meta ha trasformato l’eternità in un tempo che il semplice stare sdraiato non dava. E voi al suo posto cosa avreste fatto? Non era in sé l’eterno istante dello stare seduti la condanna peggiore?

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Il tempo è un dono

Ecco e se vi dicessi invece di amare? Sapreste immaginarvi sazi e felici se foste immersi nel sentimento del vostro amore più immenso per l’eternità? Si vero? Bene anche per Dante. I beati passano l’eternità a contemplare Dio, irradiati dalla sua luce e divino amore. Paiono non annoiarsi mai!

Conclusioni

Io non penso che il tempo sia un inganno. Penso piuttosto che sia un dono. Non credo neanche all’immortalità dell’anima però. Siamo però i proprietari legittimi del nostro tempo. E’ un bene prezioso, effimero, destinato a finire. Una fiamma che brucia e consuma mentre sfavilla. Perdiamo il nostro tempo in ogni caso. Ecco, presto mi accorsi che l’unica cosa di cui potevano veramente privarmi era il tempo, ma anche che esso sarebbe andato vi in ogni caso.

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Filed Under: Passioni dell'anima, Riflessioni Tagged With: condanna, Dante, eclesiaste, Eraclito, eternità, fratelli karamazov, kairòs, legge del contrappasso, opportunità, Sant'Agostino, Tempo

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