L’eutanasia: una questione ancora aperta:
L’eutanasia è la buona morte (εὔ-, bene e θάνατος, morte). È il procurare intenzionalmente la morte di un individuo la cui qualità della vita sia compromessa in modo irreversibile. Il tema dell’eutanasia è tornato in auge con il caso di DJ-FABO. Già prima di lui furono tristemente famosi il caso di Pergiorgio Welby e del padre di Eluana Englaro. Ma è giusto che sia sempre l’emergenza a metterci di fronte al problema? O forse la cronicizzazione frutto del progresso medico richiede che ci si occupi della questione in modo dettagliato?
Quando si parla di eutanasia il primo errore da non fare è dividere tra “buoni” e “cattivi”. Non ci sono assassini favorevoli all’eutanasia o torturatori contrari. Di fronte a noi abbiamo solo tragedie che determinano scelte drammatiche in tutti i casi. Siamo degli osservatori esterni di un dramma intimo che andrebbe innanzitutto rispettato. Questo a prescindere da come la pensiamo.
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Perché non è consentita l’eutanasia?
La nostra legislazione non vieta esplicitamente il suicidio, tuttavia l’art. 5 del codice civile parla chiaro:
Gli atti di disposizione del proprio corpo sono vietati quando cagionino una diminuzione permanente della integrità fisica (1), o quando siano altrimenti contrari alla legge (579 c.p.), all’ordine pubblico o al buon costume (32 Cost.).
Non disponiamo in assoluto del nostro corpo. Ancorché nessuno può togliermi un capello senza il mio consenso, non posso nemmeno tagliarmi un braccio senza motivo. La nostra dimensione privata è sempre in relazione a quella pubblica. In molti casi è il senso comune a lasciare interagire le due sfere. In caso di conflitto, però, serve una legge che dirima la questione. Legge che in questo caso manca. Nello specifico l’istinto di sopravvivenza ci suggerisce che è bene dissuadere il singolo dal tentativo di suicidarsi. Un buon amico e un bravo psicologo ci liberano quasi sempre dal dilemma etico dell’impedire coattivamente l’autolesione (contenzione fisica o farmacologica). Esistono però dei casi limite in cui vietare il suicidio non è così scontato. I martiri sono per esempio simbolo di virtù e santità, così come coloro che sacrificano la loro vita per salvare il prossimo. Infine c’è l’eutanasia, suicidio sui generis, perché richiede l’aiuto di una terza persona.
Eutanasia, accanimento teraputico, interruzione delle cure: che confusione!
Sono certo che se sei arrivato sin qua l’articolo ti è piaciuto.
L’eutanasia non è però da confondere né con l’accanimento terapeutico, né con l’interruzione volontaria delle cure.
L’accanimento terapeutico
Come suggerisce la stessa espressione si riferisce ad un eccesso di cure in pazienti che non hanno possibilità di migliorare le loro aspettative di vita. L’idea di non accanirsi fa tuttavia parte del senso comune. Su di essa c’è un consenso ampio. Nessuno infatti oggi mette più in discussione che sia giusto “arrendersi” quando l’organismo ha già ceduto. Ho scritto un articolo in proposito che puoi trovare qui. In questo senso hanno “giovato” l’aumento delle malattie croniche e l’introduzione delle cure compassionevoli o terapie del dolore.
L’interruzione volontaria delle cure
Avrete senz’altro notato che ogni procedura invasiva in Ospedale è preceduta dalla firma di un consenso informato. Già all’art. 32 della costituzione si legge:
“Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”
Il consenso al trattamento va quindi chiesto, salvo casi eccezionali, volta per volta e può essere revocato in qualsiasi momento. È sempre possibile chiedere l’interruzione delle cure e l’accompagnamento alla morte. Lo si può fare tutte le volte che le cure si ritengano eccessive o che la prognosi non lasci speranza.
I finti casi di eutanasia
Fatte queste precisazioni, sarà facile comprendere come né il caso di Welby, né quello di Eluana, siano casi di eutanasia. Per loro è stato infatti possibile procedere in territorio italiano, fatto salvo l’iter giuridico tortuoso che hanno dovuto affrontare. Che si tratti di assistenza alla respirazione invasiva o alimentazione artificiale il paziente ha il diritto a che le cure possano essere interrotte. Ha diritto, inoltre, a non provare dolore (Legge 15 marzo 2010 , n. 38).
Il caso Welby
Il caso Eluana
IL CASO DI DJ FABO E’ UN CASO DI EUTANASIA?
Adesso non hai più scuse, forza un bel like! :).
Arriviamo però al caso tristemente in auge del dj Fabo, soggetto tetraplegico e ceco a causa di un incidente. Dalle immagini si capisce che il paziente è tracheotomizzato e supportato da un punto di vista respiratorio. Googlando purtroppo non ho trovato altre informazioni al riguardo. Poniamo però che quello somministrato sia solo un supporto alla respirazione di cui il paziente potrebbe però fare a meno. Ci troveremmo di fronte un caso evidente di eutanasia: Il soggetto interessato ci sta esplicitamente chiedendo di essere aiutato a morire. Come nel caso di Welby e del padre di Eluana, il soggetto sta reclamano un diritto. Poteva tentare scorciatoie, ma ha scelto la via della lotta e della legalità.
L’eutanasia come “scelta terapeutica”: è possibile?
Fatta questa premessa: La questione a mio giudizio è: può l’Eutanasia essere considerata una scelta terapeutica? Può essere intesa come parte integrante della cura? E cosa vuol dire curare un paziente? Questo a mio giudizio è l’unico senso che si può dare alla legalizzazione dell’eutanasia. Veniamo tuttavia alle questioni morali:
Si tratta di un omicidio?
No, perché è il paziente che inietta da solo la dose letale di farmaco. È piuttosto un aiuto al suicidio. Eravamo tutti d’accordo sul fatto che bisognasse impedire alle persone si suicidarsi, no? No appunto! Ve lo dicevo che c’erano dei casi limite. I medici, il personale infermieristico e tutta la struttura stanno rendendo possibile il gesto, di fatto ne sono coresponsabili.
C’è una volontà esplicita del diretto interessato all’eutanasia?
Si che c’è ed è chiara, lucida e fondata su basi razionali. Dovremmo allora rivedere la nostra posizione sul suicidio? Escluderei subito dalla discussione tutte le condizioni in cui il desiderio di morire non è legato a deficienze fisiche. Non stiamo qui a discutere se sia giusto impedire di morire ad un soggetto malato di depressione. Però il problema resta e come. Dj Fabo ha considerato la sua condizione non degna di essere vissuta: era tetraplegico. Un uomo paralizzato dalle gambe in giù potrebbe chiedere di voler morire allo stesso modo? E un ceco soltanto? Una persona dipendente dall’ossigeno? Dall’insulina? Insomma chi decide qual’è la condizione degna di essere vissuta?
Vorrei lasciare aperta la domanda, per la semplice ragione che a mio giudizio non è possibile decidere in astratto. È necessario che quella dell’eutanasia non diventi una brutta bandiera per la lotta dei diritti del malato. Però è altrettanto necessario regolamentare casi limite come quelli di Dj Fabo. E’ necessaria vale a dire una legge sul trattamento di fine vita. Per farla c’è bisogno del contributo di tutti. Di chi è a favore e di chi è contro, perché possa essere redatta una legge equilibrata ed equa.
In conclusione
Ci stiamo per salutare,che ne dici di lasciarmi un segno di apprezzamento?
La mia idea è che bisognerebbe innanzitutto ridurre la questione circa l’eutanasia ai veri casi di eutanasia. Non sto dicendo che non occorra fare il possibile per dissuadere chi ha scelto di morire. Soltanto che alla fine della fiera la scelta è la sua. La vita non è degna di essere vissuta in tutte le circostanze. Non è un dono. Nessuno me l’ha regala. Se anche così fosse, devo poter aver il diritto di restituirla indietro quando voglio. Chi può decidere sul proprio corpo se non il legittimo proprietario? In uno Stato laico chi altri può essere considerato il proprietario della propria vita se non il diretto interessato?
In tutti i casi bisognerebbe mostrare rispetto per le scelte individuali. Capisco che non sia corretto dire che disponiamo in tutto del nostro corpo, neanche rispetto alla possibilità di danneggiarlo. Esiste pur sempre una componente sociale della nostra disposizione su noi stessi (basti pensare al concetto di “buon costume”). Credo la scelta andrebbe demandata al rapporto terapeutico tra paziente e medico caso per caso. L’eutanasia dovrebbe infine poter essere intesa come possibilità estrema della cura e non come sua negazione.
Addio Dj Fabo ci rivendiam più tardi!
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Francesco Iervolino says
Bellissima riflessione, mi trova totalmente d’accordo
Maria Grazia Di Cristofalo says
Credo che in assenza di criteri imparziali ed oggettivi sia difficile potere decidere su quali basi una vita sia degna o meno di essere vissuta…
Alessio Farina says
La questione a mio giudizio e a chi spetti la scelta o se in assenza di criteri imparziali, che a mio avviso non troveremo mai, sia giusto comportarsi come se fosse degna di essere vissuta in tutti i casi. Insomma vivere è un un dovere etico o una scelta? E se anche fosse un dovere etico, esiste un’etica universale tale che possa essere imposta senza derogne? O derogne dovrebbero essere considerate possibili e regolamentate in un testamento biologico?