Chi ha paura di Watzlawick? Guida alla Pragmatica della comunicazione umana

[su_spacer size=”30″][su_spacer][/su_spacer] Paul Watzlawick: RI-Conoscere se stessi

Paul Watzlawick è il padre della psicologia sistemico-relazione. La sua pragmatica della comunicazione umana è uno dei testi che ha cambiato la storia della psicoanalisi. Come successe allora per il complesso di Edipo elaborato da Freud, concetti come escalation simmetrica e disconferma sono oggi di dominio pubblico.

Ora che avete sfondato il muro a testate, che cosa farete nella cella accanto?

S. L. Lec, Neue unfrisierte Gedanke

Conoscere se stessi è conoscere gli altri

L’uomo è un animale sociale. La sua natura è determinata dal rapporto con gli altri. La definizione del sé, quella che potremmo altrimenti definire «autocoscienza», è interconnessa con la percezione dell’altro. Ciò deriva dal fatto l’immagine di noi stessi viene costantemente costruita grazie al riflesso di noi nell’altro. Quest’ultimo costituisce una sorta di metro con il quale misuriamo la nostra realtà interna. Quando parliamo succede che la nostra voce ritorna all’orecchio e aggiustiamo i suoni che vocalizziamo man mano che ascoltiamo. E’ un processo automatico che dura frazioni di secondo, ma se non potessimo ascoltarci, non saremmo nemmeno in grado di parlare. Questa è poi la ragione per cui i sordi sono anche muti.

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Qualcosa del genere succede anche con l’immagine di noi. Solo che il nostro orecchio, la nostra camera di risonanza, sono gli altri, l’immagine che di noi istante per istante ci restituiscono. Può sembrare paradossale ed è in qualche misura un concetto rivoluzionario, ma la nostra interiorità, il nostro spazio interno, è costruito all’esterno. Il nostro IO è un costrutto relazionale parte di un sistema nel quale siamo centro e periferia assieme. Queste sono le premesse dell’impostazione sistemico-relazionale elaborata da di Paul Watzlawick.

L’esempio dei Greci

 Per quanto possa sembrarci rivoluzionaria l’idea di Paul Watzlawick non è affatto nuova. La convinzione che la percezione del sé sia interconnessa con l’altro ha infatti origini nel mondo greco. Socrate in particolare recupera e reinterpreta in senso umanistico l’adagio relativistico protagoreo dell’homo mensura. In particolare nello Alcibiade si legge:

  • SOCR. Rifletti anche tu. Se l’iscrizione consigliasse l’occhio, come consiglia l’uomo, dicendo: «conosci te stesso», in che modo e cosa penseremmo che voglia consigliare? Non forse a guardare verso qualcosa guardando la quale l’occhio fosse in grado di vedere sé stesso?  
  • ALC. Certo. […]
  •  SOCR. Dunque se un occhio guarda un altro occhio e fissa la parte migliore dell’occhio, con la quale anche vede, vedrà sé stesso.
  •  ALC. Evidentemente.     […] 
  • SOCR. Se allora un occhio vuol vedere sé stesso, bisogna che fissi un occhio, e quella parte di questo in cui si trova la sua virtù visiva; e non è questa la vista?
  •  ALC. Si. 
  • SOCR. Ora, caro Alcibiade, anche l’anima, se vuole conoscere sé stessa, dovrà fissare un’altra anima, e soprattutto quel tratto di questa in cui si trova la virtù dell’anima, la sapienza, e fissare altro a cui questa parte sia simile?  

 (Platone, Alcibiade I, 132d – 133c).

Conoscere sé stessi è un riconoscersi vicendevole. L’intrapsichico è sempre funzione dell’interpersonale: “L’uomo non è un’isola, un sistema chiuso, ma è un sistema aperto comunica con l’esterno, sempre in connessione con l’ambiente, con gli altri esseri umani.” (Marchetta 1992, 12).

L’Io è un crocevia di connessioni

Se l’IO è il risultato delle relazioni esterne, le patologie psichiche possono essere viste come nodi, grovigli relazionali, piuttosto che come esperienze e vissuti da disseppellire.

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Si arriva alla soluzione del problema, solo tramite la dissoluzione della logica dentro il quale è stato creato.

 Scopo della psicologia clinica, per Watzlawick, è la risoluzione di patologie relazionali. Su queste premesse nasce la Pragmatica della comunicazione umana. Scrive Watzlawick:

Ma del tutto indipendentemente dal mero scambio di informazione, ci pare che l’uomo debba comunicare con gli altri per avere consapevolezza di sé. La verifica sperimentale di questa ipotesi intuitiva ci viene sempre più fornita dalle ricerche sulla privazione sensoriale che mostrano come l’uomo non riesca a mantenere la propria stabilità emotiva per periodi prolungati comunicando solo con sé stesso (Watzlawick 1974, 74).

Ogni individuo è funzione del processo inter-relazionale. Una “cattiva” comunicazione comporterà il sorgere di una disfunzione, che emergerà come sintomo del membro designato. Quest’ultimo è l’individuo è dunque che da voce al malessere relazione, colui che assume su di sé il carico di una comunicazione paradossale e sistematicamente distorta.

Se le relazioni fossero tutte su di un piano, il disequilibrio “peserebbe” su unico punto. Il membro designato è in questo senso l’individuo su cui caricano tutte le spinte e le tensioni del sistema di riferimento. Non è semplicemente l’anello debole della relazione. E’ piuttosto il fulcro della relazione, un centro nodale, che consente al sistema stesso di mantenersi in equilibrio.

Per fare un esempio: Una donna è oppressiva nei confronti del figlio perché compensa il suo bisogno affettivo con la sua presenza. L’emancipazione del figlio necessiterebbe l’elaborazione di un “lutto”, una perdita per la madre, che probabilmente lei non è disposta a sostenere. Ecco allora che i desideri di autonomia del figlio vengono costantemente frustrati. Egli è costretto a ricevere gratificazioni solo dalle “attenzioni” della madre. Sarà un semidio solo di fronte a lei. Imparerà di contro a diffidare e temere il mondo esterno. depresso o eccessivamente ansioso dentro il nucleo familiare di appartenenza è condizione della sopravvivenza stessa di quel groviglio relazionale.

La famiglia come sistema relazionale

Watzlawick con la sua scuola di Paolo Alto provò ad applicare i principi dell’allora nascente cibernetica alla comunicazione umana. Spostò dunque l’interesse psichiatrico verso i processi e i pattern anziché verso i contenuti. L’individuo e il gruppo di appartenenza sono visti quindi in relazione reciproca come sottosistemi all’interno di svariati sistemi contestuali differenti. Per questa ragione di estremo interesse è in particolare il sistema famiglia, centro nodale delle interconnessioni individuali.

Gli assiomi della comunicazione umana

 La comunicazione, proprio per la sua complessità, offre diverse prospettive dalle quali è possibile analizzarla. Generalmente si distingue un livello sintattico, un livello semantico ed uno pragmatico. Cosicché ad un primo livello interessa la struttura della comunicazione e i suoi meccanismi. Ad un secondo il suo significato. Infine ad un terzo livello i suoi effetti sul comportamento umano. Quest’ultimo piano è poi il terreno dentro cui opera la scuola sistemico relazionale inaugurato con Watzlawick.

Autoregolazione,omeostasi, equifinalità della comunciazione

I sistemi hanno una naturale tendenza all’equilibrio, all‘omeostasi.  Tendono cioè a “correggere” le spinte disgregatrici e ad autoconservarsi. Il corpo umano stesso è un sistema di cellule che funziona in questo modo.  Chi ha un minimo di nozioni di fisiologia sa che la salute  è definibile come l‘equilibrio dinamico di tutti i processi vitali. I gruppi paiono seguire gli stessi principi di base. Essi hanno perciò una loro capacità intrinseca di autoregolarsi.

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 Si ha comunicazione quando, posto A e B, A invia un messaggio a B, il quale invia a sua volta ad A un feedback o retroazione. La comunicazione è quindi sempre circolare. È ormai accertato, infatti, che ogni messaggio inviato riceve una risposta più o meno esplicita. Quest’ultima condiziona in negativo o in positivo l’effetto del messaggio stesso. Sapete che parlare al telefono non è come dirsi le cose in faccia no? Sapete anche il perché? Guardarsi negli occhi, cogliere le reazioni dell’altro, mentre parliamo ci aiuta a corregge il messaggio mentre lo stiamo formulando. La risposta può dunque essere di rinforzo al messaggio o di obiezione allo stesso.

La retroazione – scrive Watzlawick – può essere positiva o negativa […]. In caso di retroazione negativa […] si usa questa informazione per far diminuire la deviazione all’uscita rispetto a una norma prestabilita o previsione dell’insieme – di qui l’aggettivo ‘negativa’ – mentre in caso di retroazione positiva la stessa informazione agisce come una misura per aumentare la deviazione all’uscita, ed è quindi positiva in rapporto alla tendenza già esistente verso l’arresto o la distruzione (P. Watzlawick 1974, 26).

Detta più semplicemente il feedback condiziona la comunicazione convergendo o deviando dalla direzione prestabilita dall’interlocutore. Tale fenomeno, studiato per la prima volta dalla cibernetica e applicato da Watzlawick ai sistemi relazionali.

Sistemi chiusi e sistemi aperti 

I sistemi possono essere dunque o circolari e aperti o lineari e chiusi. Nel primo caso la comunicazione è unidirezionale, da A verso B. Se sposto la prima pallina questa muoverà la seconda, che forse muoverà una terza e così via. Il movimento di B è causato da A, in un rapporto diretto e lineare. Nei sistemi circolari invece la comunicazione di A ha effetto su B, ma la retroazione di B ha effetti su A. Il sistema in questione oltre ad essere circolare è anche aperto al cambiamento.

Omeostasi, auto-regolamentazione sono dunque i principi di base di un sistema aperto. Ad essi si aggiunge l’equi-finalità.  Il principio in base al quale uno stesso risultato può essere raggiunto in modi diversi e comportamenti identici possono produrre risultati diversi.

Linguaggio analogico e numerico

L’altra importante distinzione da fare nella comunicazione è per  Watzlawick quella tra linguaggio numerico e linguaggio analogico. Nel linguaggio numerico ad ogni oggetto viene attribuito arbitrariamente un segno (una parola). In esso l’’insieme delle parole viene organizzato secondo una sintassi logica e complessa. Nel linguaggio analogico, invece, l’oggetto viene sostituito da un’immagine, un simbolo. Benché abbia strutture logico-sintattiche piuttosto carenti è di natura maggiormente intuitiva e primordiale. Un cane non ci può dire di aver fame, ma può avvicinarci la ciotola che è per lui il simbolo del mangiare.

Il linguaggio analogico permette perciò associazioni più rapide e viene recepito con una velocità maggiore rispetto a quello numerico. La comunicazione analogica spesso non passa neanche sul piano della consapevolezza. Così avviene che l’espressione del viso dice molto di più su come dobbiamo intendere il messaggio del messaggio stesso.

Gli assiomi della comunicazione secondo Watzlawick

Secondo Watslawick la comunicazione ha degli assiomi, delle caratteristiche ineludibili, che definiscono la definiscono.

Il primo importante assioma è che non si può non comunicare. Comunicare è innanzitutto un comportamento. Non possiamo non assumerne no:

“C’è una proprietà del comportamento che difficilmente potrebbe essere più fondamentale e proprio perché è troppo ovvia viene spesso trascurata: il comportamento non ha un suo opposto. In altre parole, non esiste un qualcosa che sia un non-comportamento o, per dirla anche più semplicemente, non è possibile non avere un comportamento.

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Ora, se si accetta che l’intero comportamento in una situazione di interazione ha valore di messaggio, vale a dire è comunicazione, ne consegue che comunque ci si sforzi, non si può non comunicare (Watzlawick 1974, 41-42).

Due individui fanno necessariamente un relazione. Se anche volessero non comunicare tra loro, almeno questo dovrebbero dirselo in qualche modo. Classico l’esempio degli sconosciuti in ascensore. Guardarsi allo specchio, fissare il vuoto, contare uno ad uno i piani o fissare il cellulare, sono tutti comportamenti che dichiarano con chiarezza l’indisponibilità a comunicare.

Secondo assioma: contenuto e modi della relazione

La comunicazione veicola sempre un’informazione circa il contenuto ed un’altra circa la relazione. Relazione e contenuto sono quindi i due aspetti essenziali della comunicazione umana. L’aspetto di contenuto si riferisce quindi al dato oggettivo ed è il più delle volte espresso dal linguaggio verbale-numerico. L’aspetto di relazione si riferisce al modo con cui dobbiamo intendere il rapporto tra i partner. Questo aspetto è il più delle volte veicolato dal linguaggio analogico e non-verbale. A questo livello comunichiamo un’atteggiamento protettivo, opprimente, rassicurante, aggressivo e così via.

Terzo assioma: il linguaggio è metalinguaggio di se stesso. 

Innanzitutto chiariamo cos’è questo essere “Meta-fisico, Meta-comunicativo, “meta-linguistico”, insomma, cos’è questo essere “meta” rispetto a qualcos’altro. La parole “meta” viene dal greco e significa “oltre“. E’ un oltre che è più un essere “sopra”, al di là, e tuttavia capace di giustificare l’aldiqua.

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Di norma condizione dell’essere “metà” è essere separato rispetto a ciò di cui si è meta, separato in senso categoriale, come la causa è separata dall’effetto, oppure in senso fisico, come le idee erano separate dalle cose materiali per Platone.

Nel linguaggio tuttavia niente è separabile. Tutto infatti è linguaggio e tutto è comunicazione. In questo momento proprio mentre scrivo, non sto forse utilizzando lo stesso linguaggio che uso quando parlo? Ma in questo momento l’oggetto della mia comunicazione è la comunicazione stessa. Sto facendo meta-comunicazione.

Se esiste dunque un piano linguistico esiste sempre un livello meta-linguistico e meta-comunicativo nel quale oggettualizziamo la comunicazione, rendendola contenuto di se stessa. Questo piano non è però separato. Il linguaggio è dunque meta-linguaggio di se stesso.

La meta-comunicazione

V’è mai successo in una relazione amorosa di arrivare al punto in cui “occorre dirsi le cose per come stanno”? Magari dopo una prima frequentazione non arriva forse il punto in cui occorre discutere chiaramente sulla relazione stessa? Lui magari vi confessa che è innamorato e voi gli fate sapere che “non siete disposti ad impegnarvi seriamente”. Bene quello è il momento lui o lei vi darà della stronza/stronzo, ma anche quello nel quale state meta-comunicando. Meta-comunicare non è sempre un mandarsi a quel paese, ma farlo è senza dubbio oltre che un sollievo un modo per ristrutturare la relazione.

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Bene per Watzlawick (e non solo per lui) è sempre possibile interrompere la comunicazione e discutere della comunicazione stessa. Sulla base di quanto detto prima infatti meta-comunciare significa continuare a comunicare. Si può sempre prendere un pezzetto della relazione e renderla oggetto della comunicazione. E’ anche un sospendere l’attività comunicativa ordinaria, il momento nel quale non si agisce, ma si riflette sulle ragioni profonde delle proprie azioni.

La comunicazione del sé

Ma cosa ci diciamo di così importante a livello relazionale? Cos’è la cosa più importante che continuamente “contrattiamo con l’altro”? Cos’è che all’occasione può diventare contenuto esso stesso di una comunicazione?

Mentre ad un livello più superficiale ogni comunicazione veicola un contenuto. Ad un livello più profondo questa comunicazione viene sempre accompagnata da informazioni circa l’immagine del sé. Ogni volta che entro in contatto con qualcuno è come se a livello non verbale gli dicessi sempre “Ecco come ti vedo, ecco come mi vedo io”. L’altro dal lato suo mi risponde sempre “ecco come ti vede, ecco come mi vedo”. Ogni comunicazione in altre parole è sempre una meta-comunicazione sul sé proprio e dell’altro.

Se siete ad un esame e tirando giù una battuta accompagnata da un sorrisetto e  l’insegnante vi guarda “storto” è presto fatto. Tirate via il sorriso e ritornate seri. Sapete quante cose vi siete detti in quel micro secondo? Proviamo ad esplicitare questo non-detto:

La risposta di B alla mia proposta di lettura del sarà sulla base di quanto detto sin’ora negativa o positiva. B in altre parole confermerà o rifiuterà la lettura che do di me.

 Le relazioni sono rapporti di potere

 Ma quando si comunica si è sempre sullo stesso piano? Al di là di cosa e di come lo si comunica, abbiamo sempre la sensazione di comunicare alla pari? E se fossimo noi alla risata del professore a puntualizzare che ad un esame non è opportuno ridere? Secondo voi a lui la nostra comunicazione farebbe lo stesso effetto che a noi avrebbe fatto la sua? La risposta è evidente.

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La ragione semplice per cui stessi comportamenti possono produrre risultati diversi è che le relazioni sono sempre giochi di potere. Anche inconsapevolmente ciascuno di noi lotta per la leadership, per ottenere la supremazia sull’altro. Già Hegel aveva notato come il primo incontro tra le autocoscienze è in realtà una lotta per la vita e per la morte. La “contesa” stabilisce la tipologia del rapporto. Le relazioni, possiamo dire, avvengono su di un piano e il piano o è in equilibrio o è inclinato.

Secondo Watzlawick dunque le relazioni o sono simmetriche o sono complementari o c’è reciprocità o c’è subordinazione. L’interazione simmetrica è caratterizzata dall’uguaglianza e dalla minimizzazione della differenza. Nell’interazione complementare uno dei due partner assume un ruolo di superiorità (posizione up), l’altro di sudditanza (posizione down).

Errori di “punteggiatura”

 La punteggiatura è importante si sa. “Vado a mangiare Nonna” e “Vado a mangiare, Nonna” è un caso nel quale la virgola può fare di te un uomo molto affamato piuttosto che un serial killer con tendenze al cannibalismo. Nelle relazioni in modo diverso esiste una punteggiatura ed è altrettanto importante. Da un punto di vista pragmatico quest’ultima infatti stabilisce l’andamento della sequenza delle azioni. Stabilisce il verso e la direzione della comunicazione stessa.

Nell’esempio che fa lo stesso Watzlawick possiamo immaginare la situazione nella quale sia il topolino a dire:

Ho addestrato il mio sperimentatore. Ogni volta che premo la leva mi dà da mangiare, rifiutando vale a dire la punteggiatura dello sperimentatore (Watzlawick 1974, 47).

L’azione è esattamente la stessa, ma la punteggiatura cambia totalmente il significato di quanto sta accadendo, esattamente come succedeva poco prima con la virgola.  Che sia lo sperimentatore ad addestrare l’animaletto e non viceversa sembra del tutto evidente.

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Non sempre tuttavia le cose sono così chiare. Non posso viaggiare perché ho paura dell’aereo o ho paura dell’aereo perché non voglio spostarmi da casa? Decidi di allontanarti da casa proprio quando ci sono problemi in famiglia o i problemi in famiglia nascono quando decidi di allontanarti da casa? Come si nota la lettura che si dà degli eventi è in grado di condizionare i nostri comportamenti.

Le Patologie della comunicazione

Possono essere riassunte in:

  1. Escalation simmetrica.
  2. Disconferma
  3. Doppio Legame

1- Escalation simmetrica

Il concetto di punteggiatura è importane per acquisire una delle due patologie fondamentali della comunicazione: l’escalation simmetrica. Quest’ultima come suggerisce la stessa espressione può solo avvenire in una relazione simmetrica e precisamente in caso di conflitto non risolto. E’ la classica situazione nella quale ciascuno da la colpa di quanto successo all’altro e non vuole addossare su di sé la parte di responsabilità che lo riguarda.

Succede insomma che capire chi tira e chi spinge è piuttosto complicato. Spesso vale a dire non ci si accorge che i propri comportamenti non sono conseguenza di quelli dell’altro, ma ne sono la causa. Un esempio potrebbe essere quello del marito che si chiude in sé stesso perché la moglie brontola e della moglie brontola perché il marito si chiude in sé stesso. Le relazioni si avvitano così in un circolo vizioso o esclation infinita. Per riassumere quando A e B danno letture discordanti della punteggiatura, ma soprattutto l’uno non accetta la lettura dell’altro, la relazione si avviluppa su se stessa.

2 – La disconferma

L’escalation simmetrica è tipica delle relazioni simmetriche. In una condizione di subordinazione è infatti più improbabile che la situazione si avviluppi in modo circolare. Secondo Watzlawick, le relazioni complementari sono soggette invece ad un’altro potenziale “errore” non meno grave. B può infatti fraintendere il messaggio di A. Può cioè essere convinto di stare rispondendo alla realtà di A, senza di fatto accorgersi che la sua immagine di A non corrisponde affatto al modo con cui A si rappresenta di fronte a lui. B quindi non risponde alla definizione di A, ma semplicemente dice altro di lui.

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B disconferma l’immagine di A, ovvero conferma un immagine distorta di lui: “Non c’è il mimino dubbio che una situazione simile porti alla perdita del Sé che non è nient’altro che la traduzione del termine alienazione” (Watzlawick 1974, 75):

L’impermeabilità può aversi al primo livello della discussione: al messaggio di A “Ecco come mi vedo” B risponde “Ecco come ti vedo“, in un modo che non concorda con la definizione che A dà di sé. È possibile che allora A concluda che B non lo capisce (o non lo apprezza o non lo ama) mentre B da parte sua può presumere che A si senta capito (o apprezzato o amato) da lui. In questo caso B non è in disaccordo con A, ma ignora o fraintende il messaggio di A.

La disconferma può anche avvenire in una relazione simmetrica, ma in questo caso B sarà meno coinvolto del meccanismo. La sua definizione del sé, può tranquillamente essere ricontrattata e non produce alienazione.

3 – Il doppio legame un paradosso pragmatico

Prima di spiegare cos’è un doppio legame, conviene fare luce sui paradossi. Il paradosso è il cortocircuito della ragione. E’ un ragionamento corretto che porta ad un risultato contraddittorio. E’ dunque il sentiero mediante il quale la ragione seguendo percorsi apparentemente lineari giunge a conclusioni distorte o inaccettabili sul piano gnoseologico o etico.

I tipi di paradosso

I paradossi logici sono forse i più celebri e capaci di suggestionare. Particolarmente interessante per la sua forma “contratta” è il paradosso di Epimenide di Creta il quale affermava che “tutti i cretesi mentono”. La frase “Tutti mentono” ha una sua contraddittorietà intrinseca che emerge in un paio di passaggi nel ragionamento. Se tutti mentono, infatti, lo fa anche chi dice di mentire, che dunque sta dicendo la verità, contraddicendo la sua stessa affermazione mentre la afferma.

Su questo genere di paradossi Aristotele fondò il suo principio di non contraddizione. L’affermazione “Non esiste la verità” è infatti ugualmente paradossale, perché mentre la si afferma se ne sta sostenendo appunto la validità. Esiste almeno una verità ed è che non esiste verità alcuna. In modo simile Cartesio fonda il suo Cogito: se dubito su tutto, non dubito almeno sul fatto di dubitare. Dal dubbio iperbolico si guadagna la certezza delle tre sostanze: IO, Dio e il MONDO.

Questo solo per dire che esistono paradossi che “cortocircuitano” la ragione e paradossi che la aiutano a rimettersi in marcia (terapeutici). Esistono però paradossi etici altrettanto interessanti. Cosa dovrebbe fare il soldato cui è stato assegnato il compito di sganciare la bomba atomica? Si macchina del reato di omicidio o di insubordinazione? Qualunque cosa faccia fa la cosa giusta e la cosa sbagliata contemporaneamente.

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In tutti i casi non è possibile risolvere il paradosso, perché è proprio il tentativo di risolverlo che lo crea. I paradossi vanno “sciolti”, disinnescati, non risolti. Come ebbe a dire il noto filosofo del linguaggio Ludwig Wittgenstein: “La risoluzione del problema si scorge allo sparire di esso” (Tractatus Logico-Philosophicus, pr. 6.521). Un problema che non ha una soluzione non è neanche un problema. E’ insito infatti nella “grammatica” del problema il fatto che abbia una soluzione.

La risoluzione dei paradossi

Giusto per dare un senso a quanto detto e non lasciarvi sulle spine, proviamo a sciogliere i due paradossi che vi ho sopra indicato.

Nel paradosso del mentitore il problema è considerare l’affermazione una volta come comunicazione  l’altra come meta-comunicazione sulla relazione. Se sto dicendo che “tutti mentono” non sto infatti dicendo che tutti mentono sempre e su tutto. Si mente infatti sempre su qualcosa di diverso dal mentire stesso: la menzogna non può mai essere contenuto di se stessa.

Quando al paradosso del soldato. Il vero problema è che chi mi sta dando un ordine non mi sta mettendo di fronte ad una scelta. Il comando mi pone fuori dallo spazio morale della scelta. Se scelgo di essere un soldato, scelgo di stare fuori lo spazio morale dunque. Occorre allora chiedersi se ciò che viene ordinato è in sé giusto o sbagliato.

In entrambi i casi la soluzione di scorge allo sparire del problema per parafrasare Wittgenstein. Non stiamo affatto cercando di rispondere al quesito, ma lo stiamo smantellando per così dire.

I paradossi pragmatici

I paradossi che in questa sede ci interessa analizzare sono però quelli che hanno effetti sul comportamento. D’altra parte ciò che interessa a Watzlawick è l’aspetto pragmatico della comunicazione. I paradossi che contano a livello psicologico sono dunque quelli che mi mettono di fronte all’impossibilità di assumere comportamenti adeguati. “Fai come ti pare!” ci mette di fronte ad una impossibilità di assumere un comportamento adeguato. Si tratta infatti di un comando che non può essere eseguito qualunque cosa scelga di fare. L’unico modo per eseguire il comando è non rispettarlo e l’unico modo per rispettarlo è non seguirlo.

L’interlocutore di fronte ad un paradosso sbaglia comunque e qualunque cosa faccia. Le donne spesso ci mettono di fronte questa imbarazzante posizione. Chiunque abbia un minimo di esperienza al riguardo sa già che la frase “Fai come ti pare!” non è affatto un permesso, ma linizio di una lite.

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Esempi di comunicazioni pardossali

Altri paradossi pragmatici sono per esempio il grido di rimprovero:

Sono questi tutti esempi di comunicazioni paradossali. A livelli diversi l’interlocutore è invitato a non fidarsi delle proprie valutazioni ed è posto perciò in contrasto con se stesso. Egli può interiorizzare la contraddizione scatenando conflitti tra ciò che desidera e ciò che pensa di volere, tra ciò che prova e sensi di colpa e così via.

Conseguenze psicologiche dei paradossi

Le relazioni paradossali danno luogo a doppi legami e quest’ultimo costituisce la patologia più insidiosa della comunicazione. Una singola comunicazione paradossale non fa una patologia, proprio come una rondine non fa primavera. Il doppio legame è piuttosto un modo di costruire la relazione fondata sul paradosso. Perché una comunicazione paradossale costruisca anche un doppio legame sono secondo Watzlawick necessarie infatti alcune condizioni.

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  1. Due o più persone sono coinvolte in una relazione intensa che ha un alto valore di sopravvivenza fisica e/o psicologica. […]
  2.  In un simile contesto viene dato un messaggio che è formulato in maniera tale che (a) asserisce qualcosa, (b) asserisce qualcosa sulla propria asserzione e (c) queste due asserzioni si escludono a vicenda. Quindi, se il messaggio è un’ingiunzione, l’ingiunzione dev’essere disobbedita per essere obbedita; se è una definizione del sé o dell’altro, la persona di cui è data la definizione è quel tipo di persona soltanto se non lo è e non lo è se lo è.
  3.  Infine, si impedisce al recettore del messaggio di uscir fuori dallo schema stabilito da questo messaggio, o metacomunicando su di esso (commentandolo) o chiudendosi in se stesso.

Se l’individuo ha una dipendenza emotiva nei confronti dell’altro, se non è capace di centrare su di sé il suo sistema valoriale, il paradosso sarà insormontabile. Il tentativo di “accontentare” il partner sarà fallimentare e la frustrazione che non può dichiaratamente essere espressa nella comunicazione prenderà parola in altro modo, ovvero, attraverso il sintomo.

Gli effetti sull’individuo delle patologie relazionali

Come detto la patologia individuale è secondo Watzlawick e la scuola di Paolo Alto il riflesso di una patologia sistemica. Per un individuo sottoposto a combinazioni di messaggi destabilizzanti, a comunicazioni che mettono in crisi la sua sicurezza esistenziale, con ingiunzioni contraddittorie e distruttive, il presente appare inaccettabile, impossibile, sconfina in un futuro contrario a tutte le aspettative. Tale convinzione può avere un riscontro reale, effettivo, in una situazione drammatica, oppure essere soltanto frutto di immaginazione, ma in ogni caso decisiva è la sensazione di essere in trappola, in una rete di relazioni che impongono inevitabilmente sconfitta, impotenza, disagio, nullità, paura, esasperazione, rabbia, assenza di futuro.

Le interazioni con gli altri partner divengono allora esperienze sottili, difficili da gestire. C’è da una parte il bisogno di trarsi fuori da tali relazioni, in quanto distruggono aspirazioni, desideri, possibilità, aspettative, progetti, dall’altra l’incapacità di sottrarsi a un campo di relazioni interpersonali che contemporaneamente garantisce sicurezza e annichilimento, continuità e malessere. La situazione viene segnata da un risentimento inespresso, da un’aggressività conflittuale, che non trovano la forza di esprimersi. Quanto più terrore si ha di soffocare, tanto più paura si ha di fuggire. Si cerca la sicurezza in ciò che si odia. La dipendenza ostile è il sottofondo di questa condizione esistenziale. La dipendenza è permeata di ostilità. Affetto e ostilità vengono continuamente combinati e distorti in un susseguirsi di comunicazioni ambigue e abnormi.

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La condizione di falsità, di ambiguità, di contraddittorietà diviene profonda fino a intaccare l’essere, con l’impossibilità di rimanere integri, di prendere decisioni lineari, di assumere un comportamento coerente. La caratteristica del rapporto con gli altri diventa la mancanza di completezza e di autenticità. La regola diviene quella dell’assenza di interazioni vere. La possibilità sempre imminente è quella della devastazione di ogni capacità attiva. L’ingiunzione paradossale fa fallire ogni scelta.

CONCLUSIONI

In contrasto con la psicanalisi tradizionale, che risale nel passato a ricercare le cause di un disturbo, Watzlawick e la Scuola Palo Alto si concentrano sul qui e ora. E’ più produttivo fissarsi sul presente, attraverso una causalità circolare che accerta e cerca di rompere, con i meccanismi del feed-back, ‘anelli causali’ dagli effetti ripetitivi e ridondanti (terapia breve).

Lo psicoterapeuta “breve” per poter attuare una ristrutturazione cognitivo-relazionale dovrà:

  1.  imparare a lavorare sulla lingua del proprio interlocutore;
  2. lavorare soprattutto sulla formazione delle situazioni paradossali in base al quadro che si sarà fatto;
  3. progettare il cambiamento proponendosi di sviluppare le risorse del sistema dell’interlocutore in modo tale da trasformare le regole che non permettono a un determinato sistema di funzionare.

Vengono definite “terapie brevi” perché non cercano di cambiare una struttura su basi epistemiche, ma si propongono di promuovere le risorse del sistema sul qui e ora piuttosto che su quanto è avvenuto in passato.

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https://simonafocardi.wordpress.com/2011/04/07/la-pragmatica-della-comunicazione-una-teoria-di-riferimento-basata-sulla-comunicazione/#comment-42 

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