Baruch Spinoza: Vita e opere
Il filosofo del Seicento che trasse le conseguenze più coerenti, e al tempo stesso più profonde, del cartesianesimo, creando un sistema filosofico geniale e originalissimo, è Baruch Spinoza. Baruch d’Espinoza (secondo la grafìa ebraico-spagnola del suo nome) nacque nel 1632 ad Amsterdam, da famiglia ebraica ivi emigrata dall’originaria Spagna (o dal Portogallo). Si formò nella Sinagoga della sua città natale, dove studiò nella lingua originale e in modo approfondito non solo i libri sacri del giudaismo, la Bibbia e il Talmud, ma anche la filosofia ebraica medioevale, in particolare il neoplatonico Ibn Gebirol (Avicebron), autore del Fons vitae,oltre all’aristotelico Mosè Maimonide.
Frequentò, dal 1652, la scuola dell’umanista Francesco van Enden, ex gesuita e quindi esperto della cultura tradizionale.
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In questo periodo apprese in particolare le opere di Giordano Bruno. Conobbe inoltre direttamente la filosofia di Cartesio. Nel 1656 Spinoza fu espulso dalla comunità ebraica a causa delle sue opinioni su Dio, gli angeli e l’anima.
Si trasferì pertanto a Rijnsburg, presso Leida, dove apprese il mestiere di ottico (fabbricante di lenti), che esercitò per tutto il resto della vita. Qui strinse amicizia con alcuni scienziati particolarmente aperti alle idee moderne e compose una prima stesura di quello che sarà il Breve trattato su Dio, l’uomo e la sua beatitudine. Nel 1661 scrisse il Tractatus de intellectus emendatione, comunemente considerato il suo «discorso sul metodo», rimasto incompiuto e non pubblicato durante la sua vita. Tra la fine del 1661 e l’inizio del 1662 rielaborò il Breve trattato e cominciò a scrivere l’Ethica.
Richiesto da un tale Casearius di insegnargli la filosofia cartesiana, Spinoza espose tale insegnamento in una riesposizione dei Principia philosophiae di Cartesio secondo l’«ordine geometrico», a cui aggiunse come appendice i Cogitata metaphysica. Trasferitosi nel frattempo a Voorsburg, piccolo sobborgo dell’Aja, Spinoza divenne amico di Giovanni de Witt, esponente della borghesia democratica e tollerante dal punto di vista religioso, allora al governo della repubblica olandese appena riconosciuta dal trattato di Westfalia.
La stesura del Tractatus theologico-politicus
Lo stesso de Witt fece avere a Spinoza una pensione statale. In difesa della libertà religiosa e della democrazia Spinoza scrisse il Tractatus theologico-politicus. Il testo fu pubblicato anonimo, per consiglio degli amici, nel 1670, ma fu subito riconosciuto come opera di Spinoza. Venne quindi attaccato dalla Chiesa calvinista per via dell’interpretazione razionalistica che vi si dava della religione. Nel frattempo, in seguito all’invasione francese dell’Olanda, cadde il governo dei fratelli de Witt, che furono addirittura assassinati dalla folla. Si insediò la monarchia degli Orange. Spinoza per prudenza cambiò dimora e si stabilì in casa di un amico pittore, all’Aja. Qui si dedicò al completamento della sua opera principale, l’Ethica ordine geometrico demonstrata, iniziata già nel 1661, ma pubblicata postuma nel 1677.
Qui venne raggiunto dall’invito del principe del Palatinato a ricoprire una cattedra nell’università di Heidelberg. Spinoza tuttavia rifiutò per timore di subire limitazioni alla sua libertà di pensiero e per non essere distratto dai suoi studi. In questo periodo, inoltre, egli ricevette la visita di Leibniz e scrisse la sua ultima opera, il Tractatus politicus, rimasto incompiuto. Spinoza morì di tubercolosi all’Aja nel 1677, a soli 45 anni. Alla fine dello stesso anno vennero pubblicate, grazie a un dono di amici, le sue opere inedite.
TRATTATO SULL’EMENDAZIONE DELL’INTELLETTO:
Spinoza nell’opera che avrebbe dovuto essere una sorta di Discorso sul Metodo di ispirazione cartesiana finisce col raccogliere la somma della sua teoria esistenziale e filosofica. Spinoza muove da una
critica incisiva ai beni normalmente agognati dall’uomo. Fa comprendere come siano “vani”, perché
- Non appagano l’animo,
- Sono transeunti ed esteriori,
- Generano inquietudine.
La consapevolezza della loro natura ingannevole spinge l’uomo verso una nuova esistenza e liberando la mente dalle catene che essi pongono alle sue facoltà.
Spinoza con la sua teoria non intende colpire i beni comuni. Non è un asceta. Intende soltanto criticare la loro pretesa di universalità e assolutezza. Non vanno assolutizzati né trattati come fini dell’esistenza, in quanto sono in realtà dei mezzi.
Per il filosofo il bene corrisponde nella ricerca della perfezione ideale. Questa è data dalla conoscenza di Dio. Occorre perciò lasciare il certo (i beni volgari) per l’incerto. Il Dio di Spinoza tuttavia è simile a quello giudaico cristiano, ovvero, un entità antropomorfa che coincide con la persona. Per Spinoza l’infinito e l’eterno si identificano con il cosmo (panteismo) e la gioia suprema è l’unione della mente con la natura.
LA METAFISICA:
Nell’Ethica ordine geometrico dimostrata Spinoza enuncia i capisaldi della sua teoria. Nella convinzione che la Natura si organizzi secondo un ordine geometrico matematico (Galileo) egli dà alla sua opera una strutturazione e un andamento rigidamente dimostrativo (divisione in assiomi, premesse dimostrazioni e conclusioni) e delle formulazioni rigide e definitorie. Ciò nella convinzione che solo il linguaggio matematico possa occorrere alla comprensione delle più alte verità.
Il problema principale tuttavia resta quello posto in essere dalla metafisica cartesiana e il concetto di sostanza.
Cartesio insistendo sull’autonomia della sostanza aveva finito per riferirla non più agli individui, bensì a Dio. Questo essendo causa di se stesso, non riceve l’esistenza da qualcos’altro. Tuttavia nella metafisica cartesiana sostanza sono anche la res cogintans e la res extensa. Queste due hanno bisogno solo della sostanza di Dio.
Spinoza andando oltre Cartesio intende per sostanza “ciò che è in sé e per sé si concepisce, vale a dire ciò il cui concetto non ha bisogno del concetto di un’altra cosa da cui debba essere formato”. La sostanza deve unicamente a sé la propria esistenza. Per esistere non ha dunque bisogno di altri essere (auto sussistenza e autosufficienza). Essa inoltre è concepibile solo per mezzo di sé. Non esistendo concetti più generici sotto cui porla e che la potrebbero definire, trova infatti in sé la sua definizione e la sua condizione di pensabilità. La sostanza gode di un autonomia ontologica e concettuale.
DIO SIVE NATURA:
Data questa definizione di sostanza essa risulta:
- Increata;
- Eterna;
- Infinita;
- Unica (e quindi anche indivisibile).
Essa non può che essere Dio. Pensare Dio significa pensare a una realtà che avendo in sé la propria ragion d’essere non può non esistere (prova apriori). Inoltre siccome le cose che esistono, o esistono per virtù propria e in ragione di altre cose che ne determinao l’esistenza, deve per forza esistere un ente necessario che ha in sé le cause del proprio esistere (prova a posteriori). La teologia spinoziana si separa dalla tradizione, nella misura in cui identifica Dio come ciò che non è fuori dal mondo, ma nel mondo e costituisce con esso, quell’unica realtà globale che è la natura (Dio ovvero Natura).
Infatti se la Sostanza è unica, essa sarà come una circonferenza infinita che ha tutto entro sé. Le cose che sono, per questa ragione, sono o sostanza o manifestazioni della sostanza.
ATTRIBUTI E MODI:
Gli attributi sono le qualità essenziali della sostanza. Essa essendo infinita avrà anche infiniti attributi. Di questi infiniti attributi l’uomo ne conosce soltanto due, ovvero, la res cogitans e la res extensa. Queste non sono dunque sostanze autonome, ma appunto manifestazioni dell’unica sostanza che è Dio e insieme mente e natura.
Il fatto che degli infiniti volti della sostanza noi ne conosciamo soltanto due più che essere una deduzione matematica o frutto di una dimostrazione, viene fornito come dato dell’esperienza ovvero assunto come circostanza di fatto. Questo rappresenta un punto debole del suo impianto logico-deduttivo assai rigido.
La sostanza è ad ogni modo paragonabile ad un prisma le cui infinite facce sono i suoi attributi. Insieme agli attributi troviamo anche i modi che nient’altro sono che la concretizzazione della sostanza. Le idee sono i modi della sostanza pensante, le cose quelli della sostanza estesa. Esistono poi modi infiniti e modi finiti. I modi infiniti sono le proprietà permanenti degli attributi, i modi finiti sono le determinazioni particolari degli attributi.
La sostanza in Spinoza è dunque Natura, prima come Natura naturante (Dio o la sostanza e i suoi attributi come causa) e dopo come natura naturata (L’insieme dei modi, come effetto). Il che equivale a dire che la Natura è madre e figlia di sé medesima, causa ed effetto. Dio è il principio, ma anche le cose determinate dal principio stesso. Questa è l’idea di una natura che abbia in sé i propri principi.
In Dio infine libertà e necessità coincidono. Egli è libero i quanto non limitato da altro, ma è necessitato perché costretto dalle leggi della sua stessa natura (leggi geometrico-matematiche).
PARADOSSI DELLO SPINOZISMO:
Che cos’è la sostanza?
La sostanza non genera le cose, ma esse seguono dalla sostanza, come da una premessa seguono le conclusioni. La sostanza non è infatti un’entità antropomorfizzata, come lo è il Dio cristiano, ma coincide esattamente con l’ordine geometrico-matematico che dà significato e sostanza a tutte le cose. La Natura non è l’insieme delle cose, ma l’ordine intrinseco che le regola e le struttura secondo precise e immutabili concatenazioni.
-
che rapporti esistono tra la sostanza e i suoi modi?
Spinoza scarta sia la teoria creazionista che quella emanazionista. La creazione infatti suppone intelletto, volontà, arbitrio, scelta, tutte cose che non ha senso riferire al Dio-Natura. Egli rifiuta anche la dottrina dell’emanazione, secondo la quale le cose finite si generano per sovrabbondanza d’essere. L’ordine geometrico è la sostanza stessa delle cose. La necessità, matematicamente pensata, diventa quindi, per Spinoza, la fondamentale categoria esplicativa della realtà. La sostanza è nient’altro che una formula immutabile da cui scaturiscono necessariamente le varie cose. Il mondo nient’altro è che un eterno seguire di determinate conseguenze da determinate premesse.
CRITICA AL FINALISMO:
Secondo Spinoza ammettere l’esistenza di cause finali è un pregiudizio dovuto alla costituzione dell’intelletto umano. Gli uomini ritengono di agire in vista di un fine. Poiché trovano a loro disposizione un certo numero di mezzi per i loro fini, sono portati a considerare le cose naturali come mezzi. Dato che sanno che questi mezzi non sono stati prodotti da loro, credono infine che siano stati preparati per loro uso da Dio.
Gli uomini credono che Dio abbiamo creato il mondo per legare gli uomini a sé e per essere onorato da essi. Visto che essi vedono che la vita produce mali, cominciano a credere che questi derivino dallo sdegno della divinità. Sebbene l’esperienza mostri che vantaggi e danni sono equamente distribuiti tra i rei e i giusti, gli uomini anziché abbandonare questo loro pregiudizio, preferiscono crearne uno nuovo. Ammettono quindi che il giudizio di Dio superi di gran lunga quello umano e che la sua giustizia incomberà un giorno sui rei.
Il finalismo tuttavia
- confonde l’effetto con la causa (non l’ambente conforme a l’uomo, perché creato così da Dio, ma l’uomo all’ambiente perché adattatosi),
- rende imperfetto Dio (perchè lo vincola ad uno scopo) e
- lo antroporfizza.
PENSIERO ED ESTENSIONE: IL PARALLELISMO
La riduzione ad uno del dualismo cartesiano non elimina tuttavia il problema del rapporto tra pensiero e natura estesa. Che è poi il problema gnoseologico della verità. Gli attributi della sostanza sono infatti reciprocamente indipendenti e come tali non possono influenzarsi a vicenda.
Qual’è allora la corrispondenza tra la mente e il corpo? Le cose in natura sono legate dalle stesse leggi che regolano le idee della mente (l’ordine geometrico della sostanza). Ciò garantisce corrispondenza tra pensiero ed essere. Nell’uomo poi i processi mentali e i moti del corpo sono esattamente la stessa cosa vista da due punti di vista differenti. Il corpo è nient’altro che l’aspetto esteriore della mente, la mente l’aspetto interiore del corpo.
Per Spinoza, ciò che garantisce la correlazione tra mente e corpo è l’ordine unitario dell’essere. Quest’ordine è appunto la Sostanza, la struttura unitaria e matematica del cosmo. Di conseguenza il monismo psico-fisico di Spinoza sottintende in realtà un monismo metafisico. Il pensiero l’estensione non sono due sostanze, ma due attributi diversi di una medesima sostanza, quindi due traduzioni distinte simultanee di una stessa realtà.
L’ETICA
L’etica spinoziana parte dalla tesi della naturalità dell’uomo. Come per l’eliocentrismo la terra non è più al centro dell’universo, per Spinoza l’uomo non è più al centro della creazione. Non è più un Dio in terra, ma un essere tra gli altri esseri. Sarà soggetto allora allo stesso ordine di natura.
La prima legge naturale, che nell’uomo è etica, è allora la legge di autoconservazione. L’uomo la chiama Volontà quando è riferita alla mente. Quando riferita al corpo si chiama appetito. Quando questo diventa cosciente di sé si chiama cupidigia. Seguono letizia che il passaggio da una perfezione minore ad una maggiore e la tristezza, che è il suo contrario. Dalla tavola degli affetti primari Spinoza ricava gli affetti secondari. Primi fra tutti Amore e Odio, che subentrano quando letizia e tristezza sono causati da oggetti esterni. Con questa operazione riesce a naturalizzare l’etica, ovvero legarla all’ordine geometrico.
Lo sforzo di autoconservazione spinge infine l’uomo alla ricerca dell’utile. Egli si illude del libero arbitrio, ma come accade per Dio anche per l’uomo, la sua libertà è necessitata dall’asservimento alle leggi della propria natura. L’unica forma di libertà è quella di porsi come soggetto attivo e come tale sviluppare la propria tendenza all’autoconservazione, che altrimenti resterebbe un istinto di cui resteremmo chiavi. La virtù è dunque una tecnica razione del ben vivere, che si concretizza in una retta considerazione dell’utile, ossia in un calcolo intelligente in vista del meglio oggettivamente possibile.
I GENERI DELLA CONOSCENZA:
La cognizione di primo genere scaturisce dalla percezione e dall’immaginazione che si identifica con la conoscenza pre-scientifica del mondo. L’errore consiste nella sua inadeguatezza, come privazione di conoscenza. L’atteggiamento etico corrispondente è la schiavitù delle passioni.
La conoscenza di secondo genere scaturisce dalla ragione e si fonda sulle idee comuni. Ovvero idee chiare, distinte e che riproducono le caratteristiche strutturali delle cose. Essa si identifica con la scienza e l’ideale etico corrispondente è quello di una vita secondo ragione e virtù.
Il terzo genere è la conoscenza intuitiva che si identifica con la metafisica stessa, ossia con la visione delle cose nel loro scaturire da Dio. Essa è la suprema intuizione con la quale si coglio l’uno nei molto e i molti nell’uno.
Ai sensi e all’immaginazione il mondo appare molteplice, contingente, temporale, per l’intelletto esso si configura come qualcosa di unitario, di eterno. L’universo può allora essere considerato sub-specie temporis e sub specie aeternitatis. L’amore intellettuale di Dio è la letizia che nasce dalla conosce dell’ordine necessario delle cose che è la sostanza stessa. Il misticismo di Spinoza è in realtà una metafisica geometrizzante, per la quale termine dell’unione mistica col Dio non è altro che la struttura matematica dell’universo. Perseguire l’utile in modo razionale e vivere nella miglior maniera possibile, rapportandosi serenamente al Tutto eterno e necessario di cui si è transitorie manifestazioni: ecco la beatitudine per Spinoza,
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