Locke: riassunto. Saggio sull’intelletto umano la via dell’esperienza

Locke è il fondatore dell’empirismo inglese

RAGIONE ED ESPERIENZA:

Per Locke la ragione non possiede nessuno di quei caratteri che Cartesio le aveva attribuito (res cogitas).

Con Locke nasce la prima indagine critica della filosofia moderna. E’ critica perché è la ragione che riflette su se stessa e scopre da sé i propri limiti. Il saggio sull’intelletto umano è dunque a sua volta un prodotto dell’intelletto). E’ vale a dire la prima indagine diretta a stabilire le effettive possibilità umane e  che riconosce ad un tempo i limiti che le sono propri.

La ragione, nell’analizzare il proprio modo di procedere, prende coscienza dei suoi stessi limiti ed è chiamata a dire quali sono. Questi limiti sono connaturati alla ragione stessa, in quanto finita e in quanto legata all’esperienza. È l’esperienza infatti che fornisce alla ragione il materiale che essa adopera.

IDEE SEMPLICI E LA PASSIVITA’ DELLA MENTE:

Locke distingue a questo proposito tra idee semplici e idee complesse. Le idee semplici sono gli elementi di ogni sapere umano (gli attributi oggettivi della cosa, senza la cosa). La ragione, partendo dalle idee semplici, può allora combinarle nei ragionamenti, ottenendo idee complesse. Anche in questa sua attività deve essere controllata dall’esperienza.

La ragione controllata dall’esperienza impedisce all’uomo di avventurarsi in territori che oltrepassano l’esperienza stessa e con essa le sue reali capacità.

Idee di sensazione sono le qualità delle cose (rosso, alto etc. etc.), idee di riflessione sono tutte le attività dello spirito.

L’idea per Locke non corrisponde alla sostanza delle cose (vedi Platone), ma è il semplice oggetto del pensiero. Essa esiste solo in quanto viene pensata, non in quanto esiste nella realtà. Contro la convinzione  che vi siano idee innate Locke argomenta che se così fosse esse dovrebbero esistere anche nei bambini e nei selvaggi. Poiché tuttavia  da queste persone non sono pensate esse, non esistono in loro. Non esistono dunque idee che possono essere considerate innate.

L’analisi della capacità conoscitiva date queste premesse deve innanzitutto fornire una classificazione di tutte le idee che l’esperienza fornisce. L’esperienza fornisce solo idee semplici, quelle complesse sono un prodotto del nostro spirito. L’intelletto non può creare ne distruggere un idee semplice. Questo è il limite dell’intelletto umano: NON POTERE ANDARE OLTRE L’ESPERIENZA.

L’ATTIVITA’ DELLA MENTE E LE IDEE:

Nel ricevere le idee semplici lo spirito è passivo. Diventa attivo nel servirsi delle idee semplici, come materiale per costruire le idee complesse, ovvero, nel riunire e organizzare in vario modo le idee semplici, nelle idee complesse o generali. Le idee complesse si dividono in tre categorie:

  1.  I modi,
  2. le sostanze,
  3. le relazioni.

I modi sono le idee non sussistenti di per sé, ma solo come manifestazioni della sostanza. Le sostanze sono idee complesse (frutto della attività della mente) che vengono considerate esistenti di per sé stesse. La relazione è il confronto di un idea con un’altra. La sua analisi è fondamentale per capire l’idea di sostanza.

Sostanze

Considerando che le varie idee semplici sono costantemente unite fra loro, la nostra mente è portata a considerarle come un’unica idea semplice. Poiché non immagina come una idea semplice possa esistere di per sé si abitua a supporre che esista sotto di esse un sostrato che ne costituisca la base. Questo sostrato costituisce la sostanza (ovvero un invenzione della mente).

In parole semplici mentre la sensazione di calore o durezza, il colore, la forma di un oggetto sono idee semplici e dunque sicure perché fondate sull’esperienza, l’idea dell’oggetto che ha quel dato colore, forma, consistenza ecc. è un idea complessa.  In questo senso non siamo certi possa esistere per esempio l’idea della sedia, intesa quest’ultima come la caratteristica che rende una sedia tale.Ciò vale sia per la res extensa che per la res cogitas. Il primo è il sostrato sconosciuto delle qualità sensibili, la seconda il sostrato delle operazioni dello spirito.

La soggettività

L’attività dello spirito è anche quella del porre o riconoscere le relazioni. Nascono così le relazioni e i nomi relativi con cui si indicano le cose che sono poste in relazione. Le relazioni fondamentali sono quelle di causa ed effetto i di identità e diversità. Egli scorge l’identità nella coscienza che accompagna gli stati interni. se penso all’oggetto, penso anche a me che penso all’oggetto. Non percepisco soltanto, ma percepisco di percepire.

A tutte le sensazioni o percezioni si accompagna la coscienza che è il suo Io a sentire o percepire, ovvero, il cogito di Cartesio. Bene anche l’idea di un comune sostrato interno cui fanno capo tutte le sensazioni interne è opera di una rielaborazione dell’intelletto non fondata sull’esperienza.

LE IDEE GENERALI non indicano dunque nessuna realtà.

I nomi generali sono segni di idee generali. Le idee generali segni di un gruppo di cose particolari. Alle idee generali non corrisponde realtà alcuna. Esprimono piuttosto un certo rapporto di somiglianza tra le idee semplici particolari le uniche cui corrispondono effettivamente cose esistenti.

LA CONOSCENZA E LE SUE FORME:

L’esperienza fornisce il materiale della conoscenza, ma non è la conoscenza stessa. Essa ha a che fare con le idee, ma consiste piuttosto nel porle in accordo o in disaccordo tra loro. La conoscenza può essere in questo senso o intuitiva o dimostrativa.

  1. Intuitiva quando l’accordo è visto immediatamente
  2. Dimostrativa quando l’accordo viene reso evidente, mediante l’uso di idee intermedie dette prove. La dimostrazione è una catena di conoscenze intuitive. La certezza della dimostrazione si fonda su quella dell’intuizione. Dato che nei passaggi dimostrativi è possibile l’errore, la conoscenza dimostrativa è assai più insicura di quella intuitiva.

 

Conoscenza delle cose esistenti al di fuori delle idee (le sostanze in sé e per sé).

Se lo spirito nei suoi ragionamenti non ha a che fare se non con idee e se la conoscenza è l’accordo o il disaccordo tra le idee (il come), come è possibile conoscere le cose in sé al di là della mia percezione.

La conoscenza basandosi sull’esperienza, per Locke è vera solo se c’è conformità tra idee e cose reali, ma se le cose reali non sono oggetto di conoscenza, come sarà possibile la verifica?

Ci Sono tre realtà L’io, Dio e le cose cui corrispondono tre modi diversi di giungere ad esse

  1. IO: abbiamo la conoscenza dell’esistenza del nostro io attraverso l’intuizione. Locke si avvale del procedimento Cartesiano. Penso dunque sono.
  2. DIO: attraverso la dimostrazione. Locke rielabora la prova causale della tradizione: Il nulla non può produrre nulla, se c’è qualcosa questa è stata prodotta da qualcosa e non potendosi risalire all’infinito si deve ammettere l’esistenza di una Causa prima che ha prodotto ogni cosa.
  3. COSE: attraverso la sensazione. Per quanto riguarda l’esistenza delle cose, l’uomo non ha altro mezzo per conoscerle se non la sensazione attuale. Non c’è nessun rapporto necessario tra l’idea e la cosa cui essa si riferisce. L’idea potrebbe esserci anche se non ci fosse la cosa. Il fatto che riceviamo una sensazione dall’esterno da cui origina l’idea ci dimostra che qualcosa esiste fuori di noi. Questa certezza basta a garantire la realtà della cosa esterna.

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Non è ammissibile che le nostre facoltà ci ingannino a tal punto (principio d’evidenza). La certezza che la sensazione attuale ci dà dell’esistenza delle cose esterne pur non essendo assoluta è sufficiente per tutti gli scopi umani.

Ci sono però ragioni supplementari che dimostrano che le idee dipendono dalle cose

le idee:

La certezza dell’esistenza si ha solo nell’atto del percepire, mentre è solo ragionevole supporre che esistano anche quando noi non le percepiamo.

 La conoscenza probabile è la più estesa. E’ la conoscenza per la quale la verità si afferma per la sua conformità all’esperienza o alla testimonianza di altri uomini. Conoscenza certa e probabile determinano lo spazio della ragione, da cui va distinta la fede che è fondata soltanto sulla rivelazione.

La ragione rimane tuttavia  il criterio della fede perché solo essa può decidere sull’attendibilità e sul valore della rivelazione. La fede non può né turbare, né negare la ragione, ma solo condurla laddove lei non può arrivare da sola. Se essa prescindesse dalla ragione tutte stravaganze e i fanatismi sarebbero inconfutabili (es. i fattucchieri, cartomanti ecc.).

Conclusioni

Il tentativo di fondare una conoscenza partendo da un’analisi della conoscenza stessa come visto conduce ad uno smantellamento dell’idea tradizionale di filosofia. I classici principi metafisici, le idee di sostanza, vengono analizzate come processi mentali. L’io è frutto di un’intuizione, Dio di una dimostrazione e il mondo di una percezione attuale.

Come appena visto delle tre, quello relativo l’io in quanto fondato sull’intuizione è un processo mentale più solido di quello che porta all’esistenza di Dio. La Natura dall’altro lato è invece ragionevole che esista. Di nessuno di questi tre elementi tuttavia è possibile dimostrare l’esistenza, essendo appunto idee complesse e non semplici.

La filosofia di Locke nega qualunque valore probante alla soggettività,

finisce con il negare valore al scienza stessa. Questa infatti più che essere una conoscenza delle cose, sussiste in quanto capace di porre le cose in relazione. La legge esprime infatti non la natura intima delle cose (la sostanza), ma la necessità di una relazione tra le cose stesse. Insomma sotto il banco degli imputati costruito attorno all’esistenza finisce non soltanto la metafisica tradizionale, ma pure la scienza a lui contemporanea.

Il risultato finale è una vera e propria demolizione della facoltà umana del conoscere, cui viene sottratta solo la matematica. Questa infatti esprime relazioni necessarie tra le cose a prescindere dall’esperienza. Insomma solo ciò che è fondato sull’esperienza può essere verificato, questo l’assunto dell’empirismo. La verifica tuttavia permette solo di stabilire che le idee semplici, da cui muovono tutte le altre, esistono effettivamente oppure no. Di tutto il resto niente può dirsi con certezza. Questo il vicolo cieco dell’empirismo, questa la sfida nuova per Kant.

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