Rinascimento in filosofia: riassunto.

Il rinascimento in Filosofia è un periodo caratterizzato dalla riscoperta dell’epoca classica. Di seguito fornisco una sintesi sistematica.

IL RINASCIMENTO

COORDINATE STORICHE GENERALI DEL RINASCIMENTO (1400-1500):


CULTURA:

 

 

LA NUOVA CONCEZIONE DEL SAPERE:

1) Unitaria era la lingua (gli scolastici parlavano in latino),

2) Unitario era la concezione dell’impero (si pensi all’Impero romano, all’impero di Carlo Magno [centro la Francia], al Sacro Romano Impero [dinastia degli Ottoni; centro la Germania] e ai tentativi di riunificare l’impero di Carlo V, e Filippo II [Centro la Spagna[), 3) Unitaria era la visione del mondo cristiana. Ovviamente non si sta dicendo che tale universalità era nei fatti realizzata, ma piuttosto che questo era l’ideale cui tendere.   

Il tratto saliente era l’unità dello scibile umano intorno alla teologia, rispetto alla quale tutte le altre discipline erano a suo sostegno (ancillae theologiae).

Il periodo rinascimentale invece opera una rottura storica con l’universalismo medievale:

1) Nascono gli stati feudali (Francia, Inghilterra, Germania, Spagna, i comuni in Italia),

2) comincia il movimento di nazionalizzazione della religione cristiana che culminerà nella riforma protestante (Lutero).

Si afferma così una laicizzazione del sapere (in rottura con il sapere enciclopedico della scolastica medievale) e una lenta affermazione dell’individualismo (visione per la quale al centro dell’interesse storico culturale si trova l’individuo).

3) Alla scomposizione dell’idea di impero (frammentato negli stati nazionali) e di Chiesa (frammentata dallo scisma protestante), corrisponde una frammentazione della cultura. Le varie discipline (arte, scienza, filosofia etc. etc. rivendicano una loro autonomia e libertà operativa).

Il processo di laicizzazione e autonomizzazione affonda chiaramente le sue radici nella mentalità degli intellettuali laici (non ecclesiasti: non preti). Questo non significa che la cultura rinascimentale  è anticristiana, ma solo il fatto che la Teologia comincia a non essere considerata più come il completamento del sapere umano, ma sempre più una disciplina a se stante.

Mentre il medievale è per lo più trascendentalista  (crede nella trascendenza di Dio dal mondo) il rinascimentale è un immanentista (resta convinto delle verità di fede, ma è propenso a guardare il divino che c’è nell’uomo e nel mondo.

IL RAPPORTO TRA MEDIOEVO E RINASCIMENTO:

– Il rinascimento si autodefinisce tale (rinascita), proprio perché intende segnare una rottura netta col passato (l’espressione medio-evo è coniata dagli stessi rinascimentali). Molti degli stereotipi che si hanno sulla definizione e lo studio del medioevo risalgono perciò proprio a questo periodo. La tesi della completa rottura viene poi rinvigorita  dalla successiva opposizione tra illuministi (che celebravano i valori rinascimentali, intendendo il rinascimento come la crociata della ragione contro l’oscurantismo medievale) e romantici (che invece difendevano la religiosità e lo spirito comunitario del medioevo, apprezzandone il misticismo).

Burckhardt (autore della tesi di una distinzione tra umanesimo e rinasciemnto) è uno dei piùillustri schematizzatori di questa tesi che intende il rinascimento come una completa rottura con il periodo precedente. Il rinascimento avrebbe emancipato l’uomo da una visione metafisica della vita, lacerando il velo “di fede, d’ignoranza infantile e di vane illusioni”. Egli elabora perciò una serie di opposizioni: religiosità-irreligiosità; astrattezza-realismo; spiritualismo-sensualismo, dogmatismo-scetticismo, trascendentista e universalistico/ immanestista e antropocentrico.

– Questa tesi viene superata nel novecento, nella cosiddetta “teoria della continuità”, che rifiuta di contrapporre rigidamente Medioevo e Rinascimento e si concentra perciò sui momenti di continuità. La rinascita allora comincerebbe assai prima con lo sviluppo dei comuni.

– la critica contemporanea tenta di mediare queste due tesi con la teoria della “originalità nella continuità”, non nega cioè che nel medioevo ci sia notevoli anticipazioni dello spirito rinascimentale e tuttavia considera il Rinascimento un periodo di rinnovamento non riducibile alla sensibilità medievale.

Infine occorre certamente distinguere tra Rinascimento e Età moderna,(Galieli, Bacone) il rinascimento resta un periodo di mezzo tra Medioevo e Modernità. Un movimento che affonda le sue radici nel passato (medioevo), ma che propone una spinta propulsiva verso la modernità.

LA VISIONE DELL’UOMO:

Per il rinascimentale l’uomo è artefice del proprio destino nel mondo. La caratteristica dell’uomo (ciò che lo rende diverso dagli altri animali). Pico della Mirandola definisce l’uomo “libero e sovrano, artefice di se stesso”. La frattura con il medioevo risulta quindi evidente: mentre quest’ultimo pensava che l’uomo fosse parte di un ordine cosmico già dato, ordine che si dovesse soltanto conoscere intellettualmente e rispettare, l’uomo rinascimentale che l’uomo debba costruire e conquistare il proprio posto nell’essere.

L’UOMO E DIO:

Nel rinascimento l’idea dell’uomo artefice del proprio destino non assume però, come avverrà in seguito, un significato anti-reliogoso. Anzi la natura dell’uomo viene glorificata proprio perché è quella che più si avvicina alla potenza creatrice di Dio. Inoltre è Dio stesso che concede all’uomo tale superiorità: “dopo che Dio ebbe creato gli uomini, li benedisse e li fece padroni di tutte le cose create e sovrani e signori assoluti sulla terra” (Garin). Il riconoscimento di Dio tuttavia avviene non all’interno di una concezione teocentrica, bensì antropocentrica. Ovvero nel rapporto tra Dio e l’uomo, viene adesso considerato centro l’uomo e Dio periferica.

L’UOMO E LA LIBERTÀ’:

In questa visione, dunque, benché l’uomo sia artefice del proprio destino, eserciti cioè la libertà di determinare se stesso, non è concepita come potenza illimitata. La virtù umana deve infatti fare i conti con  la Fortuna, con il Caso, ma sopratutto con la Provvidenza. In questa fase tuttavia il rapporto tra ciò che è in potere dell’uomo e ciò che non lo è è sbilanciato a favore dell’uomo.

 L’UOMO NEI CONFRONTI DELLA VITA:

L’uomo si intende un anello di congiunzione tra il mondo terreno e quello divino (“copula mundi”), essere finito che però tende all’infinito e perciò sintesi vivente del tutto e centro del mondo. Egli rifiuta perciò l’ascetismo medievale (l’idea che la virtù consistesse in un allontanamento dal mondo e in una elevazione spirituale a Dio) e concepisce il proprio stare nel mondo, come impegno attivo e non come fuga. Egli sottolineano perciò l’aldiqua, non disdegnando i piaceri della vita e l’importanza del denaro. Non è un caso che ricompaiono all’orizzonte le morali eudaimonistiche, che pongono come fine dell’uomo la felicità intesa come realizzazione armonica e completa delle capacità umane.

RINASCIMENTO COME RITORNO AL PRINCIPIO:

– La “rinascita” era intesa da medievali nel senso di un “ritorno a Dio, ovvero restituzione a quella vita che egli ha perduto a causa del peccato originale. Nel rinascimento il concetto indica invece  il rinnovamento globale dell’uomo nei suoi rapporti con se stesso, con gli altri e con Dio.

L’UMANESIMO:

Coincide con l’inizio della rinascita e condivide con tutto il rinascimento la necessità di £tornare al principio”. Gli umanisti più che preoccuparsi di costruire, completare o perfezionare la filosofia degli antichi (come era avvenuto per Tutto il medioevo), erano interessati a restituirgli l’antico splendore. Il ritorno al principio è per l’umanista un ritorno ai testi originali degli antichi. Nella convinzione  che l’antichità possa costituire un criterio un ideale cui ridare purezza.

Il PLATONISMO RINASCIMENTALE:

In questa ottica sopratutto nelle Accademie si ha una vera e propria riscoperta di Platone. Esso veniva apprezzato in particolar modo perché facilmente si contrapponeva all’aristotelismo scolastico (si pensi a S. Tommaso) e nutriva dunque le esigenze di un rinnovamento. A facilitare la riscoperta di Platone fu anche l’afflusso del corpus completo dei suoi dialoghi (di cui fino al allora si conosceva sono il Menone, il Fedone  e il Timeo). Platone continuò ad essere comunque letto in chiave neo-platonica (con la mediazione di Plotino) e dunque come filosofo più vicino al vero spirito religioso.

L’ARISTOTELISMO RINASCIMENTALE:

Benché la vitalità maggiore si svolgesse nelle Accademie, anche le Università, tuttavia ancora legati agli schemi della scolastica, subirono l’effetto del rinnovamento culturale. In quest’ottica nasce l’aristotelismo rinascimentale, inteso come esigenza di ricoprire Aristotele.

Scartata l’interpretazione “ortodossa” di S. Tommaso, l’aristotelismo si divise sostanzialmente i due filosi. Gli averroisti e gli alessandrini, che discussero allungo sul problema dell’immortalità dell’anima.

Per gli averroisti esisteva un unico intelletto attivo, separato dalle cose ed immortale, cui ritornava l’intelletto attivo del singolo individuo: gli averroisti concepivano dunque l’individuo concreto come mortale.

Gli alessandrini non solo consideravano l’individuo mortale, ma negavano l’esistenza di un intelletto separato e immortale, giudicando che nulla esiste o sopravvive al corpo, essendo l’anima funzione del corpo, indissolubilmente legato ad esso.

TEORIA DELLA DOPPIA VERITÀ’:

Entrambe le posizioni (sopratutto quella degli alessandrini) contraddicevano i dogmi della chiesa. Le due interpretazione di Aristotele sarebbero dunque apparse entrambe implausibili per l’uomo del medioevo. Il ritorno all’antico ha perciò come effetto l’elaborazione della teoria della doppia verità. Essa infrangeva l’assunto medievale (elaborato dai dialettici) che le verità di ragione dovessero confermare e preparare alle verità di fede, anche se non giunge ancora  adire che nel caso in cui ci sia un opposizione si debbano preferire le verità di ragione a quelle di fede.

La filosofia può anche condurre a soluzioni false in teologia (nel caso specifico Aristotele si era sbagliato sulla concezione dell’anima), ma vere in filosofia, benché un credente sarebbe certamente dovuto giungere a ritenere in questo caso errate le verità filosofiche. Che il filosofo rinascimentale credesse veramente a questa teoria o la usasse solo per giustificarsi di fronte alle autorità clericali, fatto sta che grazie ad essa molti studiosi del periodo poterono difendersi dagli inquisitori ecclesiastici. Poterono professare con una certa libertà le nuove dottrine, facilitando il processo di laicizzazione della cultura.  

La nascita di un platonismo accademico e un aristotelismo rinascimentale, favorì e facilità la storica contesa (agli occhi di un contemporaneo stupida) su quali dei due colossi della classicità (Platone o Aristotele) fosse il più grande. Tale polemica ha tuttavia effetti sull’interpretazione dei due filosofi che per lungo tempo si incentrò sul  sottolineare le differenze tra i due filosofi, piuttosto che i momenti di continuità.

 

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