Fichte: riassunto dal criticismo all’idealismo trascendentale

Dal criticismo all’idealismo: Fichte post kantiano

Fichte è un profondo conoscitore di Kant. Subito dopo la pubblicazione delle sue critiche si aprì un dibattito incentrato essenzialmente sui seguenti punti:

  1. La cosa in sé
  2. Dualismo fenomeno noumeno
  3. Dualismo forma materia
  4. Rapporto tra apriori e aposteriori

Questi sono i temi che maggiormente vengono messi in luce all’indomani della pubblicazione delle critiche kantiane, da pensatori come Reinhold, Maimon ecc.. Queste critiche finiranno con il culminare nell’idealismo. Lo stesso Fichte inizia la sua elaborazione sulla scia di una rivisitazione del pensiero kantiano.

Il problema principale è quello del rapporto tra fenomeno e noumeno. Questo rapporto nel sistema kantiano, lo ricordo, restava inconoscibile eppure necessariamente anticipato in ogni atto conoscitivo. Lo sforzo che poi culminerà con l’idealismo è allora quello di introiettare il noumeno all’interno della conoscenza, ovvero, superare la dicotomia tra sapere e realtà.

Premesse

L’io è considerato da Fichte principio formale e materiale della conoscenza. La sua attività determina il pensiero della realtà oggettiva, ma anche la realtà stessa nel suo contenuto materiale. La deduzione per Kant è trascendentale nel senso che giustifica la validità di condizioni soggettive. Per Fichte invece la deduzione è assoluta o metafisica, in quanto dall’Io stesso non deduce soltanto le condizioni soggettive, ma anche la realtà dell’oggetto stesso. In Kant la deduzione mette capo al rapporto tra l’IO come pura appercezione e l’oggetto fenomenico. Per Fichte invece è il principio assoluto che pone il soggetto e l’oggetto fenomenici in virtù della sua attività creatrice (intuizione trascendentale).

I principi o momenti della deduzione per Fichte

Il problema generale è quello della ricerca di un principio. Tale principio come già perAristotele deve essere incondizionato. Se dipendesse infatti da qualcos’altro non sarebbe appunto primo, ma derivato da questo qualcos’altro da cui dipende. Il principio deve però essere anche attivo. Nel senso di avere possibilità di agire.

Esso non può essere allora un oggetto. La cosa infatti è sempre in virtù dell’atto che la pone. Non può neanche essere finito, in quanto se così fosse sarebbe limitato e dunque determinato da qualcos’altro.

Il principio deve perciò essere un atto incondizionato che si pone da sé.

Questo principio è l’autocoscienza l’Io che pensa se stesso mentre pensa qualcosa fuori da sé.

L’io in quanto atto che pone (pensa) se stesso e l’oggetto fuori da sé è per Fichte della libertà. Nell’atto conoscitivo l’io pone se stesso in quanto cosciente di sé, ma contrappone ad un tempo un oggetto esterno. La realtà della cosa, allora, senza la consapevolezza di un Io che la percepisce è almeno per noi un nulla. Solo in questo senso è possibile affermare che la realtà è posta dall’Io quale prodotto della sua attività.

Mentre per il criticismo di Kant il noumeno aveva realtà separata dalla coscienza, per l’idealismo questa impostazione non ha alcun senso. Ciò che è completamente separato dalla coscienza, è dunque in sé completamente altro dall’Io, è per la coscienza un nulla di cui è impossibile parlare. Insomma del del noumeno non si può dire nulla, allora nulla si dovrebbe dire, nemmeno che esiste.

Possiamo dire che qualcosa esiste infatti soltanto rapportandolo alla nostra coscienza. A sua volta la coscienza è tale solo in quanto è coscienza di sé medesima ovvero autocoscienza. L’essere-per-noi (dell’oggetto) è possibile soltanto sotto la condizione della coscienza e questa solo sotto la condizione dell’autocoscienza: la coscienza è il fondamento dell’essere, l’autocoscienza il fondamento della coscienza.

Nella dottrina della scienza l’intenzione è quella di passare dall’idea di una conoscenza come amore per il sapere, ad una scienza che rappresenti questo stesso sapere assoluto e perfetto.

Per fare ciò occorre per Fichte trovare un principio di validità che si fondi sul principio stesso. Nella dottrina della scienza devono dunque essere contenuti i principi per fare scienza e non contenuti nuovi. Deve perciò essere gettata una nuova luce sulla conoscenza, tale che mostra i processi e le strutture attraverso cui si sono creati i contenuti. Questo tipo di indagine dimostrerà soltanto che il principio: “E’ soltanto il sapere universale pervenuto al sapere di sé medesimo, alla consapevolezza e al dominio di sé“.

L’intuizione intellettuale è il principio del sapere

L’intuizione intellettuale secondo Fichte è presente in tutti gli atti della conoscenza. Essa è il principio del sapere: la coscienza, come coscienza di qualcosa. Mentre la coscienza si rivolge ad un oggetto. L’intuizione intellettuale è  coscienza di sé. Il raggiungimento di tale consapevolezza (del concepire sé dietro la concezione dell’oggetto) è il compito della filosofia. Essa quale avvia un metodo costruttivo e genetico. La genesi non è quella dell’essere, ma quella della coscienza del sapere dell’essere.

Il sapere concreto si presenta come unità, totalità di elementi, non distinguibile. Bisogna allora analizzare, ovvero scomporre questa totalità nelle condizioni necessari, in modo da vederla risorgere di fronte alla coscienza proprio a partire dalle condizioni secondo cui è stata scomposta. Vedi allora quali sono dunque i principi della conoscenza.

IL PRINCIPIO DI IDENTITÀ

L’io puro indica la legge unitaria e formale della ragione. La filosofia deve dunque muovere dal principio di identità A=A.  Tale principio che sin dai tempi di Aristotele era stato posto a fondamento di ogni filosofia per Fichte non è affatto il principio primo, ma presuppone l’esistenza dell’Io che lo pone. Se A è dato deve essere formalmente identico a se stesso. Il principio che sin dai tempi di Parmenide non necessita di alcuna ulteriore giustificazione. Assume tuttavia per via ipotetica l’esistenza di A e la sua validità dipende da tale assunto.

Esso non può dunque costituire il principio primo della scienza. E’ infatti l’Io che pone l’esistenza di A, che senza l’identità dell’Io sono Io non si giustifica. Il rapporto di identità è dunque posto dall’Io nella misura in cui giudica se stesso. In tale giudizio riconosce innanzitutto la propria esistenza. L’Io non può porre il rapporto di identità se non pone prima se stesso, ovvero se non pone la sua esistenza. L’esistenza dell’Io ha dunque la stessa necessità del rapporto logico A=A, in quanto L’io non può affermare nulla senza affermare la sua esistenza (non è posto da altri ma si pone da sé).

TALE AUTOCREAZIONE COSTITUISCE L’INTUIZIONE INTELLETTUALE CHE L’IO HA DI SE’ STESSO.

L’essere dell’Io inoltre, essendo un atto e non un fatto è il risultato della sua libertà. L’Io è TAT/HANDLUNG attività agente/prodotto della sua attività. I medievali dicevano che il prodotto dell’attività dell’intelletto sono le idee, quello dell’attività di di sono le cose. Ecco risulta più agevole si può pensare a questo per intendere l’attività creatrice dell’IO rispetto al NON-IO.  In questo modo il principio di identità è sia un principio logico che ontologico, anzi di più si tratta di una logica che fonda l’ontologia.

IL PRINCIPIO DI CONTRADDIZIONE

L’Io oppone a sé il NON-IO, ovvero, il suo opposto (oggetto, mondo, realtà). Il mondo è dunque per Fichte opposto all’Io. Il secondo principio non è deducibile dal primo.

– Si oppone ad A un NON-A che si nega quale predicato di A. La loro opposizione è possibile solo in quanto i due termini sono pensati nell’Io e rientrano, pur opponendosi, nell’unità della coscienza che li ha posti entrambi. L’unità di A e Non-A è l’unità nella diversità, come aveva già visto Eraclito. Questa unità del conoscere si costituisce in virtù della diversità. Quest’ultima dunque insieme all’unità è un carattere fondamentale della conoscenza.

Se infatti il pensiero rimanesse nella forma dell’identità con se stesso non diventerebbe concreto sapere di qualcosa. L’oggetto per la coscienza esiste, infatti, soltanto quando viene identificato con determinazioni o predicati. Determinazioni che nel porsi negano determinazioni contrarie (Omnia determinatio est negatio). Se un qualcosa è bianco, non sarà rosso, blu ecc.

Dato uno spazio (l’Io) infinito e perciò stesso indeterminabile. Nel momento in cui si pone al suo interno un oggetto verrà però  internamente differenziato tra lo spazio occupato dall’oggetto e quello non occupato. Tale oggetto costituisce allora un limite, che per un verso esclude tutte le altre modificazione di quel dato spazio (un triangolo non è un quadrato), per altro verso pone la differenza rispetto ha tutto ciò che è fuori da esso.

Lo spazio che prima appariva indiscriminato è adesso distinto in un pieno e un vuoto, un io determinato e un non-io ancora da determinare.  L’io procede nella sua attività sulla base di questo movimento di posizione e opposizione che è poi il movimento della conoscenza stessa. L’intuizione intellettuale attraverso la quale il sapere si costruisce è legata all’identità e all’opposizione, all’affermazione e alla negazione.

L’IO NELL’OPPORSI AL NON-IO SI TROVA LIMITATO DA ESSO

Il terzo principio pone la situazione concreta del mondo, quella da cui parte ogni sostanza individuale nell’atto di conoscere. Una molteplicità di Io finiti hanno di fronte a loro una molteplicità di oggetti altrettanto finiti. Avendo posto il Non-io, l’Io si è determinato rispetto ad esso e dunque limitato, differenziato e con ciò reso finito. Esso adesso è un io divisibile (o empirico) esattamente come lo è il Non-io che viene a costituirsi di fronte a lui.

L’Io è determinato da ciò che determina. L’Io è ciò che è solo opponendosi a qualcos’altro da lui. Se l’uno negasse in modo assoluto l’altro, non sarebbe in realtà possibile neanche il posizionamento. Senza posizionarsi tuttavia non sarebbe cosciente e dunque non sarebbe. Ecco che allora la relazione reciproca tra i due termini non è assoluta, ma solo parziale.

In base a ciò è errato presupporre una realtà determinata, sia l’Io o l’oggetto.

Sia il realismo dogmatico (dalla cosa si deduce la sostanza) che l’idealismo dogmatico (dalla sostanza si deduce la cosa) non tengono presente il momento centrale della sintesi che è l’unità dei due momenti (unità come processo indefinito di avvicinamento). L’oggetto particolare è l’unità delle funzioni del sapere, ma questo si esercita e realizza mediante l’oggetto.

Non occorre attribuire alla coscienza tutta la realtà e considerare l’oggetto come una sua funzione, né viceversa attribuire all’oggetto tutta la realtà, ciò che importa è la posizione e l’opposizione, l’agire e il patire, ovvero le categorie della determinabilità reciproca.

Soltanto quando questo rapporto è considerato sotto le categorie di causa e sostanza la relazione si sbilancia a favore dell’uno o l’altro termine. Se attribuiamo realtà al Non-io, come ad un ché di indipendente, allora il Non-io sarà causa del patire dell’Io, come sostanza. Se invece muoviamo dall’Io come sostanza, allora ciò che prima era considerato come il risultato di un’azione estranea e indipendente, diviene autolimitazione dell’Io. Per quest’ultimo tra patire e agire non c’è differenza qualitativa, ma quantitativa (il patire è un attività diminuita). Le due concezioni sono però omogenee, in quanto avendo assolutizzato uno dei due termini non riescono a spiegare l’altro nella sua diversità e nel suo opporsi e finiscono coll’annientarlo.

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Per l’idealismo critico trascendentale l’opposizione non si risolve rimanendo nell’attività teoretica. Lo si affronta innalzandosi praticamente al di sopra delle barriere e riconoscendo nelle barriere l’espressione di un compito morale. Il non-io è lo strumento della realizzazione dell’io che si fa libero attraverso la sua attività. La ragion pratica è l’imperativo categorico della ragion pura. E’ l’attività teoretica è un dovere comandato dalla legge morale. L’Io è infinito in quanto raccoglie in sé il finito, ma tale attività è un continuo sforzo (streben) che non si conclude mai. L’io è libero perché si fa libero; è libero in quanto non è posto e tuttavia deve opporre a se qualcosa per realizzarsi.

LA DOTTRINA DELLA CONOSCENZA:

LA DOTTRINA MORALE:

Dall’azione reciproca dell’Io sul non-Io nasce la conoscenza. Perché  il non-Io pure essendo un effetto dell’Io appare alla coscienza come un qualcosa di sussistente per sé? Come si spiega che l’Io è causa di una realtà di cui non ha esplicita coscienza? E se essa non ha realtà autonoma cosa la distingue da un sogno?

L’immagine produttiva che per Kant era l’attività con la quale l’intelletto schematizza il tempo secondo le categorie, fornendo le condizioni formali dell’esperienza in Fichte produce i materiali stessi della conoscenza.

Il Non- Io pur essendo un prodotto dell’Io non è una parvenza ingannatrice, ma una realtà di fronte cui si trova ogni Io-empirico, il processo di conoscenza è percià un processo di interiorizzazione del Non-Io. La centralità della libertà, come concetto pratico, esercizio della libera volontà, rende l’idealismo di Fichte un idealismo etico. L’io si deve realizzare come libera attività infinita, e dunque risolvendo in sé ogni realtà.

Nell’atto del pensare, l’unità tra materia (dato sensibile) e forma (strutture trascendentali) non si realizza mai.

Nel tentativo di penetrare la materia strutturandola secondo rapporti formali, la riflessione, infatti, si vede rinviare ad un processo infinito, in base al quale raggiunto un risultato è spinta ad andare avanti.

Ma proprio in questa irrequietezza, che non s’arresta in nessuno dei suoi risultati, consiste l’essenza del pensiero e la sua funzione. Per Fichte, nonostante il dato e il pensato non si con-giungeranno mai, tale congiungimento è sempre ricercato. Esso la ragion d’essere del pensare stesso, l’essenza della sua libertà (e la libertà è ciò che distingue l’io dalle cose). Fichte sostituisce con queste considerazioni l’Io della ragion pratica a quello della ragion pura, determinandolo principalmente come libertà di fronte alla propria interna legge morale.

E’ l’Io che infatti impone a se stesso l’esigenza di comprendere in sé ogni realtà. E’ l’Io che pone vale a dire la libertà non come un suo attributo, ma come un dovere morale. La libertà è per questa ragione un’aspirazione all’infinito. E’ un desiderio di identità tra il proprio essere e l’essere delle cose. tale aspirazione conduce l’Io all’oggetto (conoscere è infatti un appetire l’oggetto, un renderlo simile al soggetto). Nel primato del dovere (come libero esercizio della libertà) quale ragione e motivazione al sapere si esprime l’essenza della libertà: la legge morale ordina alla ragione di penetrare con le proprie leggi la sfera dell’empirico.

Se la conoscenza presuppone, ma non spiega il perché di un Io che ha di fronte a sé un non-io finito, perché l’Io pone il non-io realizzandosi come io conoscente finito?

Il motivo è di natura pratica: “agiamo perché conosciamo, ma conosciamo perché agiamo”. L’io pratico è la ragion d’essere dell’Io teoretico (idealismo etico). Noi esistiamo in quanto agiamo e il mondo esiste soltanto come teatro delle nostre azioni.

Agire significa imporre al non-Io la legge dell’Io, ossia forgiare noi stessi. Il mondo alla luce di liberi progetti razionali. L’agire assume la forma del puro dovere, rappresenta l’imperativo del trionfo dello Spirito sulla materia, mediante la sottomissione dei nostri impulsi alla ragione. trionfo raggiunto mediante la costituzione della realtà esterna plasmata secondo il nostro volere. Per realizzare se stesso l’Io (libertà) deve agire moralmente, secondo il proprio dovere. Nella sua azione egli non potrebbe essere libera se essa non incontrasse una quale resistenza, un’opposizione al proprio dovere, un ché di negativo.

Solo mediante il posizionamento del Non-Io, l’Io si realizza quale attività morale. Tale realizzazione è però un tentativo di superare il limite (l’ostacolo è la materia, l’impulso sensibile), tramite il quale L’Io mira a farsi “infinito” come suo dovere. La realizzazione di tale fine non è individuale ma collettiva e il dotto ha il compito di MAESTRO ed EDUCATORE del genere umano.

L’ESPOSIZIONE DEL 1802-1802: L’ASSOLUTO

Il sapere che si analizza scopre il proprio fondamento, cui è però impossibilitato ad accedere in quanto esso rappresenta un non- sapere. Questo fondamento è chiamato assoluto e rappresenta l’origine (non l’oggetto) del sapere. Esso è principio di ogni essere e sapere, soggetto e oggetto. Unità anteriore ad ogni scissione (risulta dunque un tamponamento del versante soggettivo e un’accentuazione del momento oggettivo o naturale: Idealismo della ragione a-soggettivo).

Il sapere è manifestazione dell’essere, non è un prodotto dell’individuo, ma gli individui ne hanno in qualche misura accesso. All’interno del sapere e mediante esso resta dunque un’eccedenza d’essere rispetto al sapere.

L’assoluto è Dio come libertà che deve particolarizzarsi nel mondo. Il sapere pur dovendo raccogliere il mondo in forma oggettivata (un immagine infedele), serve a raccogliere il molteplice delle sue particolarizzazioni e fra in modo che esso acquisisca il tratto della razionalità.

L’ESPOSIZIONE DEL 1804:

L’assoluto non è comprensibile esso è piuttosto un non sapere e può essere approssimato solo per via negativa, ovvero, definendo l’ambito del sapere e rimandando ciò che sta al di là di là di questo sapere.

La conoscenza dell’assoluto è una radicalizzazione del sapere che giunge a negare se stesso, le cui caratteristiche vengono concepite come la semplice differenza.

Il mondo sensibile è fenomeno, manifestazione dell’assoluto che nell’atto in cui si manifesta ne fa risaltare l’assenza e l’assoluta irriducibilità rispetto alla semplice manifestazione. Il fenomeno tuttavia rimane sempre un che di essenziale in quanto la fenomenizzazione dell’assoluto è necessaria alla sua realizzazione. Il sapere è il razionale dispiegarsi della totalità e comprensibilità la dottrina non esibisce nella luce del sapere l’autodispiegamento dell’assoluto, ma la sua ricostruzione (e ciò preserva la differenza tra l’Io e l’Assoluto).

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