Socrate: riassunto. Maestro di vita

Socrate punti tematici essenziali: 

La vocazione di Socrate fu la ricerca della verità intesa come esame incessante di sé stesso e degli altri. Egli non scrisse nulla. Riteneva infatti che la ricerca filosofica non potesse assestarsi in una dottrina scritta. In quanto cammino comune la verità trova  la sua forma nel dialogo concreto tra gli individui. E’ inoltre in continuo divenire.

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Socrate è contro la parola scritta

La parola scritta fissa la verità in un qualcosa di dato. Genera inoltre l’illusione in chi la legge di avere acquisito delle conoscenze. Questo allontana infine dal desiderio stesso della ricerca (mito di Theut, Fedro, Platone). Socrate non è interessato allo studio della natura, ma allo studio dell’uomo. Ritiene infatti che tutte le ipotesi sull’origine delle cose siano inattendibili. “L’uomo è misura di tutte le cose”, come già diceva Protagora: deve essere il centro dell’indagine filosofica. Questo distingue Socrate dalla filosofia naturalistica prima di lui.

 “Conosci te stesso”

Socrate, per le ragioni dette sopra, fece proprio il motto dell’oracolo delfico: “Conosci te stesso”.  E’ la frase cui sempre si associa Socrate. L’espressione è ormai divenuta un motto popolare. La premessa di ogni riflessione su di se. Per Socrate tuttavia la conoscenza di sé è legata a doppio filo con la conoscenza dell’altro. La ricerca della verità, se è un conoscersi, non può però essere solitaria. Il rapporto con gli altri è dunque necessario all’indagine filosofica. L’imperativo indica la conoscenza di sé come massima aspirazione e premessa di ogni altra conoscenza.

Così come l’occhio per vedere sé ha bisogno di guardare allo specchio, l’anima ha bisogno per interrogare se stessa di un’altra anima.

Rapporti con la sofistica

Molti temi della filosofia socratica sono a ben vedere di derivazione sofistica. Furono infatti proprio i sofisti a centrare l’attenzione sul dialogo, intendendolo come arte dell’avere ragione. In comune con il sofismo Socrate ha inoltre la convinzione che la sapienza tradizionale è vacua. Per avviare l’uomo alla verità, bisogna prima distruggere il suo castello di certezze. La differenza tra la retorica e la filosofia, consiste però nel fatto che la seconda ha come obiettivo la ricerca della verità. La retorica (l’ironia) tuttavia costituisce un momento della dialettica socratica. La pars destruens è seguita sempre da una pars construens. Questa è la principale differenza rispetto al sofismo.

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IL NON SAPERE

La condizione della ricerca è la coscienza della propria ignoranza. Sapiente è soltanto colui che sa di non sapere.

L’oracolo di Delfi lo definì un giorno il più sapiente. Considerando il fatto che egli non sapeva nulla, rifletté su tale frase. Ne concluse che, dato che tutte le conoscenze sono illusorie, egli era il più sapente di tutti. Almeno possedeva questa conoscenza: il fatto di non sapere nulla. “So di non sapere” è dunque l’altra espressione cui solitamente si associa Socrate.

L’affermazione è anche in polemica contro coloro che pretendono di saperla lunga sull’uomo, coloro che vivono dogmaticamente su salde certezze di vita, mai messe in discussione. Il dubbio è la via che conduce alla verità. Solo chi sa di non sapere cerca la verità. Il non poter mai raggiungere la sapienza assoluta è un limite, ma anche lo stimolo ad indagare.

L’IRONIA

Consiste nella dissimulazione. Ed è l’approccio iniziale di Socrate con il suo interlocutore. Egli è più sapiente della persona con cui intende discutere. Per quanto grandi siano le sue conoscenze, l’altro non sa della vacuità del suo sapere. Socrate è sempre ad un livello superiore rispetto agli altri, perché sa di non sapere. La sua ignoranza è allora l’arma con la quale smaschera la falsa conoscenza.  E’ per questo ironia e non semplice finzione. Non finge di essere ignorante, anzi lo è, solo che questa ignoranza e la sapienza più alta. Con l’arma del dubbio Socrate incalza l’interlocutore distruggendo la sua presunzione di sapere. 

LA MEIEUTICA

L’interrogare non è però un vuoto demolire le ragioni dell’avversario. E’ piuttosto un negare per costruire poi elementi di verità. Socrate muove sempre dalla definizione data dall’interlocutore. Dispiega la contraddizione contenuta in essa e la lascia cadere. L’avversario è quindi costretto a proporre una nuova versione di verità, che verrà nuovamente posta in discussione. Questo dispiegare le contraddizioni dei concetti è ad un tempo un conoscere i concetti stessi.

Il processo della ricerca è meieutico

L’avversario è infatti incalzato da Socrate a proporre e riproporre la sua definizione. Si scorge perciò il travaglio della ragione. Il processo con il quale essa partorisce la verità. Meieutica è il termine che descrive il parto della ragione. La negazione è perciò ambivalente, distrugge, ma pone le premesse per ricostruire. Serve perciò a porre l’interlocutore entro la giusta disposizione d’animo. Demolite le sue certezze l’interlocutore è pronto a cominciare con genuinità il cammino della verità. Per Socrate non esistono verità date. La verità è semmai questo stesso procedere dialettico.

Il movimento dialogico è dell’affermare, negare  e ri-affermare (e se vi ricorda Hegel non siete sulla cattiva strada). La verità non è nel dialogo, ma è il dialogo stesso. Dialogo che è inteso come dia-logos, la ragione dei due, accordo o consenso tra gli interlocutori.  La verità è l’uomo stesso. Occorre per così dire tirare fuori dall’interlocutore l’uomo. Socrate si definiva perciò una levatrice, un’ostetrico di anime.

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L’OGGETTO DEL DIALOGO:  La Virtù.

Oggetto dei dialoghi di Socrate erano sempre le virtù. Egli soleva chiedere ai dotti, come agli uomini comuni, cosa fosse la santità, l’empietà, la giustizia, la bellezza, la viltà ecc. ecc. La domanda principale di Socrate era dunque “che cos’è la virtù”. 

La meieutica in atto

L’interlocutore suole rispondere con degli esempi d’azioni virtuose, empie, giuste, ecc. Socrate nelle sue obiezioni mostra come quelle definizioni fossero tutte inappropriate. La domanda “che cos’è?” ha dunque il significato negativo di spogliare l’interlocutore delle sue certezze. Ma ha anche quello positivo di condurre al concetto della cosa. Il movimento dialogico, negazione dopo negazione, conduce allora dal particolare all’universale, dall’astratto al reale. Egli contrapponeva inoltre i lunghi discorsi oratori dei sofisti con delle domande brevi e precise (branchilogie).

COS’È  LA  VIRTÙ PER SOCRATE? 

 In cosa consiste dunque il contenuto positivo del suo messaggio? La virtù:

1) è ricerca e scienza,

2) è unica per tutti ed insegnabile,

3) coincide con la felicità e la vita civica (politicità).

Il primo punto fonda uno dei principi cardine del pensiero greco, che è pensiero dell’identità immediata. Il bello, il buono e il vero coincidono in un unico piano. Questi si sovrappongo in modo da mescolarsi tra loro ed essere cumplicati assieme (piegati nel medesimo spazio). La ragione è pratica e teoria assieme. L’etica è un estetica, intesa nel senso letterale di ex-etica, etica portata fuori, ma esprime anche la verità.  Il bello è buono ed è anche vero: in una sola parola è giusto. Ciò che è vero appare anche come tale, per questo è condivisibile/insegnabile. La domanda “cos’è la virtù” è anche la domanda “cos’è la verità” e descrive il cammino della scienza.

 La virtù è una

La sapienza (sophrosyne) è conoscenza (sophia) ma anche saggezza pratica (pronesis). I molteplici attributi sono  modi con cui si dice l’essere direbbe Aristotele. Sono forme di un un’unica sostanza, che è per l’appunto la virtù. Essa è unica per tutti. La virtù quindi può essere conosciuta, praticata e detta, è in tutti e tre i piani dell’essere (ontologico, pratico e logico).

Differenza tra etica e morale

Il punto di vista dell’etica socratica è quello di un bene che è incarnato nell’azione. Non esiste dunque la virtù in sé (Socrate non è Platone!). Non esiste perciò un buono, un giusto universale, ovvero, uguale in ogni e tempo e in ogni luogo, ma esiste un meglio, un bene oggettivamente possibile. Esiste sempre una scelta tra casi concreti, un migliore e un peggiore tra più alternative, un soppesare tra misure omogenee. Questa è poi la differenza tra il punto di vista etico e il punto di vista morale. La domanda etica per semplificare è quella che risponde alla domanda “cosa è giusto fare in questa situazione?”, quella morale “cos’è il giusto?”.

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La virtù per Socrate è intesa come la piena realizzazione dell’uomo.

La virtù è’ intesa inoltre come condizione della sua felicità. Se l’uomo è ragione, la sua essenza sarà la ricerca della verità e questa sarà anche la sua felicità. La virtù, mirerà al bene per l’uomo, ovvero a ciò che gli è utile. Quella socratica non è perciò una morale ascetica, ma edonistica. Essa propone all’uomo la felicità data dalla ragione. Essa mirerà allora non alla realizzazione del singolo ma del bene comune. In quanto essenza dell’uomo è la sua razionalità ma anche la sua politicità.

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I PARADOSSI DELL’ETICA DI SOCRATE:

Se il bene coincide con la conoscenza di ciò che è buono, utile, nessuno pecca volontariamente (intellettualismo etico). Nessuno vuole infatti voglia arrecarsi una danno volontariamente. L’errore è concepito non come allontanamento volontario dal bene, ma come errore di calcolo. Insomma, se la virtù è conoscenza, il vizio è ignoranza. Se la virtù ci rende felici e il male infelici, detta alla buona, nessuno, sano di mente, sceglierebbe consapevolmente l’infelicità: Nessuno compie il male volontariamente. Esso è piuttosto risultato di una cattiva conoscenza, di una illusione. Rimuovere l’illusione e lasciar emergere la verità è compito proprio del filosofo.

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