Comunisti lo si era: qui o nell’aldilà?

Si era comunisti perché si credeva di poter cambiare il mondo.

Si era comunisti perché dopo che per secoli ci dissero che eravamo tutti figli di Dio, ci si convinse che quanto potevamo pensare, potevamo altre sì realizzare. Marx fu del resto il miglior interprete di Hegel. Nessuno riflette mai sul fatto che il materialismo storico è il proseguimento della dialettica, l’antitesi o il negativo dello Spirito e dell’idealismo. Il comunismo è tuttavia anche l’invernamento del cristianesimo. Non è sottolineato mai abbastanza quanto gli ideali più profondi del comunismo di cui il più importante è la realizzazione dell’uomo non sia altro che il “paradiso in terra”. Non siano altro che la riconciliazione universale di cui cui parlava Hegel.

Si era comunisti, perché si credeva che l’errore era stato spostare nell’aldilà il paradiso.

Ciò che la religione prometteva come regno dei cieli in un’era e un non-luogo (utopia) non meglio precisato i comunisti promettevano di realizzarlo subito. Non bisognava umiliare l’uomo proiettando fuori di lui le qualità in sommo grado. Questo però vuol dire che il comunismo, esattamente come il cristianesimo, parte da un idea positiva dell’uomo. L’uomo è concepito come un essere comunitario che trova proprio nelle comunità (comunione) la sua possibilità di realizzazione. Questo è un assunto un po’ fragile.

Sono molto più plausibili le ipotesi di Hume o Schopenhauer sull’uomo. L’essere umano non è un animale sociale, ma fragile e dipendente dagli altri. Non sta in branco perché sente il bisogno di condividere con il prossimo, ma perché è debole. L’unico prossimo che rispetta è il SUO prossimo, ovvero l’altro essere umano con cui stabilisce rapporti di parentela o patti. Il più importante di questi patti è il patto sociale. La realtà dei fatti è allora che la natura umana non è originariamente solidale, ma anarchica e crudele. L’uomo pensa solo alla propria di sopravvivenza e non a quella della specie. Nessuno nota come i momenti di difficoltà ci fanno diventare egoisti piuttosto che solidali? Come non appena saltino i vincoli sociali imposti dalla legge si diventi in realtà violenti? La morale ha piuttosto il compito di limitare la natura aggressiva dell’uomo, facendo perno su un’altra sua esigenza quasi genetica: la sopravvivenza. La sua esigenza di strutture gerarchiche è allora in lui naturale, quanto lo è ubbidire e combattere.

Si era comunisti perché la sete di giustizia, il sentimento di fratellanza,  non poteva aspettare la fine dei giorni, perché si pensava che l’oppressore giocasse su quell’attesa, per tenerci in catene.

L’uomo scommise se stesso e sulla propria indignazione perché non si accettavano le ragione del vincitore. Lo fece perché il misero avesse il suo cordoglio, perché la colpa dell’ultimo, fosse la colpa di tutti. Si sperava che al reietto fosse data una ragione. Si sperava in un’assoluzione universale, che il progresso potesse essere per tutti e che l’uomo potesse smettere di lottare. Capite?Speravamo di eliminare le ragioni che in realtà permettono all’uomo di elevarsi dal suo stato di bestia, le stesse che gli impediscono di accanirsi contro quelli della sua specie. Quale altro animale attacca, uccide e tortura un essere della sua stessa specie? Solo l’uomo. E’ pur vero che egli è anche l’unico animale che non ha competitori naturali, l’unico che non è minacciatile da altre specie, però il fatto resta.

Eliminare la struttura gerarchiche della società, liberare lo schiavo dalle proprie catene, vuol dire aprire ad un regno di violenza e terrore, anarchia e infine distruzione dello stesso genere umano. Le ragioni dello schiavo sono o diventare egli stesso il padrone o perire, non liberare il mondo dalla schiavitù. Bisogna allora garantire all’operaio una giusta condizione di vista, non la libertà assoluta. Libertà di fronte alla quale lo schiavo prova piuttosto orrore e angoscia. Egli non sente affatto il bisogno di liberarsi dalle proprie catene. Sapete quanto è difficile sopportare il nulla? Vivere senza regole, futuro o speranze?

 

Tutti noi abbiamo sperato che un mondo migliore fosse possibile

Abbiamo sperato che l’amore prevalesse sull’egoismo, che si potesse cambiare, perché cambiare era dovuto. Tuttavia credo che il migliore dei mondi possibili che aspettavamo non è utopico nel senso che è impossibile da realizzare ma auspicabile. Una volta realizzato il regno dei cieli in terra rischiamo piuttosto di scoprire che è per noi un inferno. L’annientamento dell’individuale dentro lo spazio dell’universale (totalitarismo). L’utopia ha il suo carattere regolativo, solo finché si mantiene negativo, non realizzato.

Si era comunisti perché non si accettava il reale

Questo è forse il più grande errore del comunismo. Ritenere che il reale debba essere trasformato. Pensare cioè che si parte da una condizione di ingiustizia prodotta dagli assetti sociali che vada riparata. Emerge ancora una volta il mito del buon selvaggio che fu già di Rousseau: il problema non è l’uomo, ma la struttura, i rapporti di classe, sanati i quali si sanerà anche l’uomo. Non si dovrebbe negare il reale, ma tentare di comprenderlo.

Si era comunisti perché si pretendeva che l’ideale, il sogno della ragione, potesse essere più reale del reale stesso.

Una volta nella storia si poté sognare, senza rimandare a futuri da venire, a promesse messianiche, ma contando solo sulle capacità umane. Oggi scopriamo che l’oppresso, all’occasione si fa oppressore. Lo schiavo non auspica più giustizia, ma solo di togliere lo scettro del comando a chi lo possiede. Scopriamo che i migranti di allora, sono gli aguzzini di oggi, che gli operai nelle fabbriche si fanno sostenitori del merito, che non è di tutti il diritto alla ricerca della felicità, che a molti non è dato neanche sperare, che la felicità è solo di chi riesce a procurarsela, che il proprio benessere può sopportare, in nome del realismo, la fame e la tortura. La nascita diventa un diritto, la patria un possesso, la terra un dominio e qualcosa diventa mio, la mia terra, la mia casa, e lo si nega agli altri.

Insieme ai comunisti oggi muore l’illusione che l’uomo potesse essere qualcosa di diverso, che esso potesse essere capace di produrre l’ideale, l’universale, la riconciliazione.

L’uomo oggi si abbandona al reale, arrabattando qua e la, gli spiccioli per il mutuo, fiori per il suo funerale. Oggi l’uomo si scopre egoista, arrogante con il più debole, impotente con il più forte. Insomma credo che in definitiva il comunismo soffra dello stesso vizio di fondo che prima dell’idealismo e poi del cristianesimo: la visione positiva dell’uomo. L’idea centrale è che lo stato di grazia cui sia aspira, sia esso il paradiso nell’aldilà, che il comunismo nell’aldiqua, non sia affatto uno stato di redenzione, ma la condizione di partenza dell’uomo. Da questa condizione di partenza l’uomo s’è distaccato perché gli era nociva. L’uomo libero ed eguale a tutti gli altri uomini prova solo ad eliminare l’altro uomo o a stabilire dominio su di lui.

Hegel che era idealista ma non fesso immagina questo stato di cose come una lotta per la vita e per la morte. Le due autocoscienza come prima cosa nell’incontrarsi non solo non si riconoscono, ma tentano di uccidersi a vicenda. Solo dopo provano a sottomettersi. La struttura gerarchica, la schiavitù, le ingiustizie non sono lì per un “errore” nella costruzione sociale. Sono lì perché senza questo rapporto di dominio, nel quale come mostrò Hegel le ragioni del servo sono forti almeno quanto quelle del signore, vi sarebbe lo stato di guerra perenne.

Insomma forse aveva molto più senso mantenere la riconciliazione nell’aldilà, come ideale negativo, cui tendere senza mai raggiungere. Posta così quanto il cristianesimo somiglia alla dialettica negativa di Adorno?

Bene eccoci giunti alle conclusioni. Se voleste commentare o scambiare con me due chiacchiere sull’argomento non mi resta che rimandarvi alla mia pagina Facebook. Potete commentare anche qui sotto, sarò lieto di rispondervi 🙂

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