Scorpione e tartaruga: una favola da un significato inaspettato!

Lo scorpione e la tartaruga

“Lo scorpione e la tartaruga” è una fiaba spesso attribuita ad Esopo, di cui tuttavia esistono molte varianti. Essa probabilmente risale al  Panchatantra una raccolta di favole di animali risalenti all’India del III secolo a.C. Per la sua immediatezza e capacità di destare stupore è ormai entrata nell’immaginario collettivo. A tal punto che gli 883 ci dedicarono una canzone.

La storia

Un giorno, camminando tranquillamente, uno scorpione giunse nei pressi di un piccolo fiumiciattolo.
Tutto preoccupato iniziò a pensare: “Come farò a passare sulla sponda opposta, sono uno scorpione, non so nuotare!”.
Proprio mentre stava pensando questa cosa si accorse che poco distante da lui vi era, tranquilla e pacioccosa, una piccola tartaruga.

Avvicinandosi lentamente, per non spaventarla, riuscì ad arrivare a pochi centimetri da lei ed a quel punto le disse: “Buon giorno giovane tartaruga. Non avere paura di me! Avrei bisogno che tu mi facessi un favore per cortesia”. La tartarughina, subito preoccupata alla vista dello scorpione, fece qualche passo all’indietro e nel frattempo rispose “Scorpione, che tipo di favore vorresti mai chiedermi?”.

Lo scorpione allora le rispose: “Devo assolutamente passare dall’altra parte di questo fiume, ma come tu ben saprai, noi scorpioni non siamo capaci di nuotare e sicuramente morirei nell’impresa. Se invece tu fossi così gentile da farmi salire sopra di te potresti farmi attraversare questo fiume in pochi minuti e con il minimo sforzo!”. Sorpresa la tartaruga rispose:

“Non ti farò mai salire sopra di me, se per errore dovessi pungermi non avrei la minima possibilità di salvarmi da morte certa! Cerca un altro modo per attraversare il fiume se proprio devi attraversarlo!”.

Udite queste parole lo scorpione rispose: “Ma tartaruga, perché mai dovrei pungerti? Rifletti un momento, se ti pungessi mentre mi aiuti ad attraversare il fiume morirei di sicuro anche io in quanto non so nuotare e affogherei in pochi secondi!”. La tartaruga rifletté qualche momento e dopo aver ancora parlato un po’ con lo scorpione si convinse che anche lui aveva molto da perdere. Quindi accettò di aiutarlo ad attraversare il fiume. Così fece salire lo scorpione sulla sua schiena. Entrò in acqua ed incominciò a nuotare verso la sponda opposta. Arrivati a metà tragitto lo scorpione esclamò “Scusami!”.

Un attimo dopo la tartaruga sentì il pungiglione dello scorpione entrare dentro di lei. Capì che entro pochi istanti sarebbe morta. Racimolò le ultime forze e chiese: “Perché l’hai fatto?”. Con tono gelido lo scorpione le rispose: “perché è la mia Natura“.

Morale della favola

La favola di Esopo narra dello scorpione e della rana. Esiste però una variante ottocentesca, che preferisco,in cui si parla della tartaruga. Questo racconto ha certamente un significato immediato. La Tartaruga gioca la parte dell’altruismo, lo scorpione dell’egoismo e della malafede. I buoni restano buoni e i cattivi anche. Il finale appare inaspettato e alla domanda “perché”, la risposta pare stupire per la sua banalità: “E’ la mia natura”. Cu nasci tunnu un po’ moriri quatratu (“chi nasce tondo non può morire quadrato”) dice un vecchio proverbio siciliano. E questa pare la morale della favola.

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A me pare tuttavia che la storia racconti molto di più. Ci si dimentica infatti che il finale è tragico anche per lo scorpione. Questi non vedrà mai l’altra riva del fiume, quella per cui s’è tanto dato da fare. Quella per cui c’ha rimesso la vita. Si trascura, inoltre, il fatto che probabilmente l’argomento con il quale lo scorpione cerca di convincere la tartaruga, appare inoppugnabile anche allo stesso scorpione. Pare averlo detto prima a sé stesso e poi all’animale che ha di fronte: “Non posso pungerti”. “Posso farcela” avrà pensato. Il rammarico, lo smarrimento, la pena e il senso di colpa avranno assalito lo scorpione prima della dipartita.

Lo scorpione dal mio punto di vista non punge la tartaruga perché è cattiva.

La storia descriva la specifica condizione umana la cui natura è limitata. E’ quindi finita e indotta all’errore. In quest’ottica, l’aldilà rappresenta un desiderio di guadagnare lo spazio oltre il confine. Lo scorpione allora ricorda  il “vizio” tutto umano di voler sfidare le proprie capacità senza curarsi delle conseguenze. Il prodotto oscuro di una ragione che nel ribellarsi alla natura, ne sperimenta in definitiva la forza ineludibile.

Credo quindi che più in radice la storia dello scorpione rifletta quella di Adamo. L’uomo che per acquisire la sapienza del bene e del male rinuncia al paradiso. La sfida ai propri limiti a quelli imposti da Dio, che conclude con la disfatta eterna.

La tartaruga probabilmente è la parte migliore di noi, quella che continua a sperare e a credere che nonostante tutto ci sia del buono in noi. Non è un’altra persona. Nello sfidare la sorte prendiamo in giro noi stessi prima che il prossimo. E’ tuttavia anche l’animale che ha una corazza spessa un dito a difenderla e che tuttavia viene colpita nell’unico punto fragile. Punto che viene centrato solo per via del fatto che è la stessa ad aver abbassato le difese.

La tartaruga è la nostra stessa speranza, la fede o l’immaginazione. E’ la parte di noi che vuole fidarsi, che vuole sognare e vuole credere a dispetto dell’evidenza e delle cose scontate. E’ in una sola parola la capacità di anticipare ciò che è di là da venire. Colei che può agevolmente offrirsi di portarci verso l’altra riva.

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