Fine e oltre: Il riparo dalle pene degli ignoranti.

Ho già scritto un post sull’importanza di dirsi addio. Oggi vi parlerò piuttosto di cosa voglia dire prepararsi alla fine. Si tratta per così dire una volta di guardare al lato soggettivo e l’altra dal lato oggettivo della stessa cosa. Il dirsi Addio è infatti un gesto che coinvolge la relazione e richiede reciprocità. Poter mettere la parola fine ad una relazione, come anche ad un esperienza è invece un moto interiore che avviene dal lato del singolo.

 

 

Mettere la parola fine ad una esperienza o una relazione 

Si tratta del movimento preparatorio alla conclusione di un’esperienza, una stagione di vita e comunque di una chiusura. Poter mettere un punto e acquisire coscienza che quella è la fine non è semplice. Questo perché l’Io vive un pessimo rapporto con quello che Hegel definì “l’assoluto altro da sé”: il nulla. La mente umana non riesce a concepire il nulla, così come non riesce a concepire l’infinito. Sente cioè sempre il bisogno di determinare qualcosa stabilire un confine e porre un’oltre. Provando ad immaginare l’infinito, provando cioè idealmente a porsi al confine, presto ci si accorgere che quel limite è sempre idealmente valicabile. La vostra mente non riesce cioè a concepire la fine, ma pone sempre un oltre. Questo anche quando di quell’oltre non sa nulla e a prescindere dal fatto che esista.

Questa operazione mentale, che potremmo definire bias cognitivo, ci impone di guardare sempre aldi à, anche quando l’aldilà è propriamente un nulla. Oltre la siepe c’è dunque qualcosa che non conosciamo, che non siamo in grado di vedere. Questa è la nostra paura.

Sostare al confine: l’attesa della fine

Da un punto di vista emotivo l’espressione di questo rapporto è l’angoscia. L’horror vacui è il sentimento che si accompagna alla paura del nulla. Direi che si tratta del sentimento originario, dell’unica vera paura ancestrale, madre di tutte le altre. E’ un emozione forte, quanto difficile da sostenere. Tuttavia si tratta di una fase importante cui sarebbe giusto dare il peso che merita. La verità che dietro tante parole, spesso  camuffiamo la paura dell’infinito. Poniamo domande ad una risposta che ancora non c’è. Ci aspettiamo sia difficile concludere un percorso, una strada in salita, ma viviamo quel percorso “terminale” come un sacrificio verso un oltre di cui però non sappiamo nulla. 

Questa mi pare un po’ la chiave del problema. Trascuriamo cioè che siamo soggetti immersi nel tempo. Nel nostro percorso non mettiamo mai abbastanza in conto il fatto che il nostro tempo è finito. Questo non vuol dire solo che presto avremo una fine assoluta. Vuol dire sopratutto che le esperienze avvengono nel TEMPO. Ci sono cioè cose che prima erano vere e poi non lo sono più, relazioni che prima ci soddisfacevano e adesso non ci soddisfano più, luoghi, contesti che maturano.

Infine c’è una fase di mezzo nel quale le cose nuove non sono ancora accadute, mentre quelle vecchie volgono vistosamente e precipitosamente al tramonto. Quell’oltre in altre parole non resterà così per sempre, ma potrà pian piano prendere forma. Sostare in questo regno di confine, in questo misto di noia e abbandono è fondamentale. E’ da qui che si può guardare bene cosa ci aspetta ancora.

I sentimenti da evitare: l’ipotesi dell’abbandono

Menefreghismo, noncuranza, rabbia e  protesta interiore sono stati emotivi che spesso si accompagnato a questa fase di gestazione. In quella fase in cui tutto sta per cambiare, ma niente ancora succede, magari cerchiamo un appiglio, un solo punto che resti fermo. Niente però può restare fermo, perché il nostro mondo accade nel tempo. Ad uno ad uno i punti d’appoggio franano e abbiamo paura del precipizio che scorgiamo di sotto. E’ il nulla che avanza lento e costante  senza curarsi di noi. In noi trionfa allora la paura di fallire, di non essere importanti. Primeggia la paura camminare oltre e giungere a quel confine. Questa è la fase in cui allora tratteniamo il cambiamento piuttosto che governarlo. E’ una fase importante, che non ha senso contrastare. Non mi sentirete perciò dissuadervi dal farlo.

Questa tuttavia è solo la prima fase, cui si accompagna un senso profondo di ignavia. Visto che muoversi equivarrebbe a precipitare, allora forse non vale la pena muoversi. Noia è il secondo nome dell’angoscia. Eppure dietro questa non c’è veramente la paura di fallire.

La noia come secondo stadio: ci si avvicina alla fine

La noia è un sentimento insopportabile forse anche più dell’angoscia. Solo l’uomo è in grado di annoiarsi. Sente il bisogno di riempirsi le giornate, riempire i silenzi, coprire la propria solitudine. Dietro la noia c’è tuttavia un’incapacità di guardare se stessi. In questo caso però la noia che ci interessa è quella che ha a che fare con la paura di varcare la soglia. In questo caso tendiamo per così dire ad abbassare il volume dei nostri stati emotivi semplicemente per non sentire. E’ proprio la noia che tuttavia costituisce la premessa per il rinnovamento.

Ad un certo punto sentiamo quasi con sollievo l’idea della fine, come fosse l’arresa che precede la sconfitta, la possibilità che in un modo o nell’altro tutto abbia fine. Forse sarà la meno corretta, la più ingiusta, ma tutto avrà fine e questo per noi diventa un sollievo. E’ allora che tutto dentro si confonde e occorre solo non aver paura di quella confusione. Le cose che vuoi si mischiano a quelle che non vuoi, le cose che temi a quelli che infondo ti auguri, le cose che vorresti evitare con quelle che ami fare. Dovere e volere si pasticciano dentro al punto che non si sa più cosa si vuole, ma solo che ci è impossibile andare avanti eppure si deve.

Il fondo del barile: arriverà la fine, ma non sarà la fine

Tutto oscilla tra un tremito dritto al cuore e una frase che ti dici per consolarti. Questo è il punto più basso della coscienza, il più feroce. Questo è il momento quando alla sommità di un’altura decidi di lasciarti andare, senza sapere cosa ti aspetta sotto. Tutto tace tra menefreghismo e ansia. Nel frattempo vedi le cose che avresti voluto allontanarsi da te. Ancora manca quel maledetto perché. Nel frattempo il tempo corre in avanti, corre senza di te

Il punto più basso della coscienza è però anche l’inizio della sua risalita. Quello è infatti il momento in cui è possibile l’Umkerung: il ribaltamento. Avete presente quei disegni dove prima  vedete una cosa e poi d’improvviso nel vedete un’altra? Quello è il momento in cui finalmente acquisite un nuovo punto di vista sulle cose. Vi accorgete cioè che la fine è soltanto un nuovo inizio e che le cose che pensavate vi fossero negative sono state solo preparatorio al vostro nuovo io.

Bene eccoci giunti alla nostra di fine. Se avete perplessità, cercate un confronto, non esitate a contattarmi sulla mia pagina facebook. Sarò lieto di interagire con voi

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