Il forestiero e Julian. L’incontro con San Gwann

Non aveva parole per dire quell’emozione e non la disse.

Julian non conosceva la misura del suo sguardo e non guardò. Per il resto neanche stava a sentire quel rumore intorno a lui. Qualcosa dentro lo aveva turbato ma non capiva bene cosa. Aveva troppi motivi per stare male, ma non erano quelli a premere dentro di lui. E allora si accasciò in un angolo della carreggiata, mentre le luci della strada e i rumori della via facevano da eco all’urgenza del suo cuore. 

Gwann, il forestiero, lo vide per caso e con una insolita aria investigativa esclamò: «Che ci fai qui a quest’ora?». Julian lo guardò, dapprima distratto. Poi, invece, fissò attentamente lo sguardo su di lui. Fu incuriosito dall’espressione del suo volto. Non era di quelli troppo severi, sapeva che non avrebbe giudicato. Non era di quelli troppo pietosi, sapeva che non avrebbe chiesto felicitazioni o ringraziamenti. Era uno sguardo sereno, interessato, caloroso ed anch’esso indescrivibile come i suoi perché. Era uno sguardo nel quale era facile immergersi e perdersi per sempre.

Come i bambini smettono di piangere, quando qualcosa di buffo li attira per poi riprendere, quando la concentrazione cala, così lo fissò per un po’ e poi riposò lo sguardo nel vuoto, riprendendo il suo lamento interiore. L’altro, lo sconosciuto, non s’imbarazzò a quel fare maldestro e non curante. Non accennò nemmeno ad andarsene, ma ripeté con voce calma e serena: «Hai bisogno di qualcosa?».

La voce però gli si spezzò immediatamente dentro come un urlo.

Il forestiero sembrò pentirsi subito di quella domanda così banale. Era ovvio che Julian non stesse aspettando nulla accasciato com’era sul ciglio della strada. Restituì l’imbarazzo del suo pentimento e lo guardò con quello. Julian notò l’inciampo nelle sue parole, gli parve buffo, gli parve sincero e finalmente gli scappò un sorriso. Sembrò quel leggero venticello che si avverte nei giorni dell’arsura. Nulla di eccezionale ma piacevole quanto inaspettato.

Contento della reazione Gwaan, il forestiero, riprese animo e proseguì con voce solerte: «Si certo che non ti serve il mio aiuto che domande faccio delle volte! Chiedevo soltanto se potevo fare qualcosa per te». L’entusiasmo non gli fece neanche notare di aver riformulato con parole diverse lo stesso concetto. Julian però alzò finalmente lo sguardo e lo guardò fisso negli occhi. Erano occhi sinceri, opachi, profondi come la notte che li avvolgeva.

A quel punto il suo viso si trasformò d’un colpo. Sentiva poteva fidarsi. Poteva lasciarsi andare abbandonarsi alle braccia di uno sconosciuto. Il suo tono si fece tenuto e serio, attento lo fissò quasi volesse arrivare con lo sguardo sin dentro la sua anima e forse anche più in là. D’improvviso Julian ruppe il suo silenzio e la sua voce spezzò d’un colpo il discorso dell’altro: «Si puoi fare qualcosa. Resta con me stanotte!». Detta quella frase ripiombò nel silenzio di prima, di nuovo, assente, di nuovo, smarrito. Non sapeva il perché di quella richiesta strana, né del perché avesse dovuto accontentarlo. Nel proferire quelle frasi si accorse solo alla fine che era stato un pensiero bizzarro il suo.

Penso tante cose dentro sé, ma non le disse. Che senso aveva essersi allontanati così tanto dalla festa di Maria per poi chiedere ad un perfetto sconosciuto di fargli compagnia. Lui le aveva chiesto di baciarlo, ma poi era semplicemente scappato, senza neanche attendere la risposta. Cosa poteva adesso la compagnia di quello sconosciuto? In cosa lo avrebbe giovato?

Forse avrebbe dovuto tacere anche dentro sé. Ascoltare il flusso dei suoi desideri, senza chiedere oltre, senza rovinarli come era solito fare. 

Ma questo proprio non sapeva farlo. Julian era solito razionalizzare tutto, programmare ogni cosa, affinché gli eventi non lo cogliessero mai impreparato. C’era qualcosa però che non sapeva proprio controllare ed era lì di fronte a lui. Non aveva neanche un nome, non glielo aveva nemmeno chiesto e forse neppure gli importava.

Il forestiero dal lato suo, non pensò proprio nulla. San Gwaan non si chiese il perché di quella domanda e forse neanche la capì. Ne ascoltò il significato minimo come si fa sotto esame quando sai di non sapere, come si fa in una buona conversazione. Guardò attentamente dov’era, usci dalla tasca il suo orologio vide l’ora. Lo guardò di nuovo fisso e titubante. Lo guardò e non capì. Non capì e non chiese, non chiese e t’acque, t’acque eppure rimase. Rimase accanto a lui tutta la notte e senza neanche dire una parola. Era fatto così Gwaan, non amava fare domande, sentiva di infastidire se stesso, mentre ci provava. Si accorse solo allora di non essersi nemmeno presentato, ma a quel punto non aveva più importanza.

Erano le cinque del mattino, ma erano già state le quattro e prima ancora le tre.

Julian aveva ceduto per la stanchezza, non si sa bene a che ora. Già tutto tremante si girava e accartocciava per il freddo. Gwaan, invece, era rimasto immobile a fissare il vuoto, interrotto solo da qualche luce che veloce tagliava la strada. Si distrasse per qualche secondo, per il cicaleccio degli alberi. Non che non avesse voluto dormire, solo non voleva, non poteva. Aveva paura a farlo, temeva per sé. Sentiva quella nausea infinita non per questa o quella cosa, ma per ogni cosa e per tutte le ore della notte.

Aveva chiaro che era il suo stato d’animo ad incontrare quello del giovane ragazzo accasciatosi sulle sua ginocchia. Una strana emozione lo avvolse, come non succedeva da tempo. Temeva che posando il suo respiro e addormentando la sua ragione quelle voci silenziose si sarebbero impossessate di lui. Aveva paura di lasciarsi andare. Temeva che se quelle pulsioni le avesse lasciate scorrere dentro di lui tutto sarebbe stato rovinato per sempre. 

Avrebbe voluto piangere o forse ridere, ma non gli riuscì né questo, né quello. Avrebbe voluto non pensarci, ma neanche quello gli riuscì. Doveva forse smettere di fissarlo e andarsene, tanto già dormiva da un pezzo. Qualcosa di quello sguardo lo aveva però come addomesticato. Il suono di quel respiro lo accompagnò tutta la notte e lo distrasse più e più volte durante la notte.

San s’era talmente rilassato per quella presenza, che invece non ebbe tempo per pensare nulla.

Cadde in uno strano torpore che d’improvviso annebbiò la sua mente e tutto scomparve in uno strano buio. Tutto era lento e tutto era rilassato. Non capiva il motivo, ma in quel gesto si vide riconosciuto e di quel riconoscimento si perse. Al primo movimento deciso dell’altro, chiese a voce alta: «Dormito bene amico mio?». Non aveva idea del fatto che il forestiero di fronte a lui non aveva chiuso occhio tutta la notte. Si era addormentato proprio in quel momento. San Gwaan si stropicciò gli occhi per un momento. Un po’ smarrito, riprese lentamente i sensi focalizzò il punto da cui veniva quel suono e rispose: «Cosa?». Julian rinnovò la domanda, ma distrattamente, non gli interessava neanche più la risposta. A quel punto aveva già punto capito che il forestiero non aveva chiuso occhio disse: «Di certo io ho dormito meglio di te, amico mio!».

Julian ragionò poi sul fatto che la risposta poteva suonare scortese. Ai silenzi del forestiero aggiunse allora con tono serio e deciso: «Grazie per avermi fatto compagnia stanotte!». San Gwaan lo guardò, neanche stavolta disse nulla. Non si stupì affatto del cambiamento repentino d’umore. Non confrontò neanche quell’espressione tranquilla e serena che aveva di fronte con quella della notte prima. Sapeva come andavano queste cose. Conosceva bene i rigurgiti dell’anima. Forse era a lui che toccava ringraziarlo per quel momento di rara intimità. Julian avvicinò la sua mano per spostargli i capelli arruffati dal viso.

Qualcosa in quell’esatto momento passò dritto dalla bocca al cuore senza che ci fossero parole in mezzo. 

Il silenzio si riempì di colpo di sguardi intensi e famelici. Le labbra tremarono e piombarono le une sulle altre come le calamite sul frigorifero. Fu un bacio lento. L’emozione della prima volta forse o forse l’incontro di uno sconosciuto. San non seppe dirlo. San non sapeva nulla di quell’uomo di fronte a lui. Doveva sentirsi stupito di quel gesto, ma niente dentro di lui lo stupì o sorprese. Niente lo rallentò.

Il forestiero capì, capì tutto e di nuovo non chiese nulla pretese soltanto il suo nome e disse stavolta il suo: “sono Gwaan” disse “Va e non cadere più!”. Julian si alzò di colpo da quella staccionata, si guardò intorno ancora confuso e infreddolito per la nottata. Non c’era nessuno intorno a lui. Il forestiero era sparito. Chi era quell’angelo caduto da cielo? Lo aveva forse sognato? Qualcosa però era rimasto di quell’incontro. Di quel bacio intenso e caldo. Uno strano calore aveva riscaldato la sua anima e dissuaso dal gesto estremo.

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