Lettera al mio non Professore

Mi rivolgo a lei mio caro Professore.

Professore ci conosciamo poco e però tra tutte le persone lei è, senz’altro, quella più significativa. Ho sbobinato le sue lezioni su Hegel. Per due mesi mi sono svegliato e andato a coricare col suono della sua voce. Credo di averlo capito e le sono già solo per questo immensamente grato. Hegel mi è piaciuto perché dietro quel linguaggio e quei concetti così pesanti si nasconde un’idea semplice. Il suo sguardo è sempre e comunque rivolto alle figure più umili. E’ rivolto a quei luoghi della coscienza che per la loro profondità sono sempre in grado di toccare il fondo. Hegel guarda a quelle anime che nell’umiliazione e persino nella rassegnazione trovano però la via per ridare alla coscienza un nuovo inizio, allo Spirito la sua storia.

Non so perché ho deciso di scriverle professore, né se mai le farò avere questa lettera. Quel che più mi urta è l’idea che possa essere fraintesa. Le scrivo per trovare un amico, uno guida, un esempio. Le scrivo per appigliarmi a qualcosa che conservi ai miei occhi l’integrità morale, che vedo continuamente consumarsi nei convegni e nelle riunioni dei dotti, salotti borghesi dell’ultima ora.

C’è qualcosa di peggiore che commettere il male professore ed è cercare di convincere che sia bene.

C’è qualcosa più perverso che girare tronfi come pavoni per i corridoi dell’università sentendosi al di là del bene e del male mio caro professore. E’ profanare l’umiltà, svilire la filosofia, ridurla alla sofisticata arte del compromesso, al velenoso quanto disonesto linguaggio della malafede. Dall’università ho imparato che la gente meno vale e più ama darsi delle aree.

Leggendo le biografie “scientifiche” del professore, in alcuni casi mi scappa persino da ridere. Eppure questo linguaggio barocco, questa cecità superba, questa auto-celebrazione sciocca quanto prepotente, è forse l’espressione profonda del nostro secolo.

Lo spirito volge ad oriente e ancora l’occidente qua e là innalza cieca le sue cattedrali e i suoi castelli. Ma tanto più grandi sono quei torrioni e tanto più grande sarà il tonfo della loro caduta. Ancora ci si ostinata a portare avanti, dietro la coltre del perbenismo, l’idea di un mondo che non c’è più. Più si sente franare dal fondo la terra e più arrogante si fa il suono della campana che ci richiama all’ordine. E’ finito il tempo in cui occorreva criticare, denunciare e smascherare, ora bisogna solo stare a guardare. Il figlio di Socrate e Platone si dirige passo, passetto verso la sua fossa.

A lei lo dico per come viene da dentro. Sono stanco di tutto questo. Sono stanco della gente che se ne va fiera come fosse il primo della fila, quando invece è solo l’ultimo di una grande, nauseante carnevalata. Che lo faccia la gente comune è un danno, ma che lo faccia un filosofo è una disfatta.

Viviamo realmente in un mondo estraniato, ancora più estraniato in quanto consapevole della propria estraniazione professore.

Ho imparato personalmente a guardare in basso. Il potere corrode e svilisce e occorre tanta, troppa forza per andare avanti in un mondo che semplicemente ti prende in giro e che sa esattamente di stare facendo ciò. Io personalmente mi tiro fuori… l’accademia dei potenti non mi è mai piaciuta.

“Arrivare” non mi è mai interessato e tutto quello che ho ottenuto fin’ora è stato un effetto collaterale della passione e dell’entusiasmo che metto nelle cose e che ora sento cedere sempre di più alla rabbia, alla delusione e alla rassegnazione. Ho creduto che la facoltà di lettere e filosofia fosse un luogo dove certi valori, certi interessi fossero rispettati. Ho ritenuto professore che fosse una sorta di spazio “non contaminato”, nel quale proprio l’inutilità di ciò che si faceva rendesse semplice la ricerca assoluta e disinteressata dell’essenziale.

Ora ho visto il volto coperto della luna, quello che resta nascosta alle luci della notte. La gente è divorata dall’ansia di arrivare, si è dimenticata di ciò che ha imparato sui libri e le parole che vanno predicando dall’alto dei loro pulpiti, hanno mutato radicalmente il loro significato conservando intatto il loro aspetto e questo le rende ancora più perverse. La gente parla di etica e monta su ragionamenti macchinosi e contorti per occultare la propria ignoranza e smania di successo; parla di inclusione ed esclude e sottomette il debole.

Di finti Socrate pronti a tirar fuori da te la verità, per riempirti delle loro fesserie ne ho piene le tasche!

Come se ciò non bastasse ci sono poi gli assistenti della prima e dell’ultima ora. Coscienze nobili che apprendono abbastanza in fretta il sinuoso linguaggio dell’adulazione e “la cui obbedienza cela una malignità sempre pronta alla ribellione”. Costoro balbettano argomenti che non gli appartengono e superano in arroganza i loro maestri. “La presunzione, infatti, ha ingannato molti, e la falsa illusione ha sedotto la loro ragione (Siracide, 3.24)”.

Ho scoperto che neanche quel posto è rimasto intatto e che forse l’unica cosa che si può mantenere intatta e il proprio cuore. Bisogna badare bene a conservare dentro di sé l’entusiasmo per le cose e la voglia di sperare, bisogna non darsi in pasto a questa gente. Ci sono cose che hanno un valore infinito e che non vanno cedute ne commerciate. Ci sono gesti, azioni che sono capaci di rivelare all’uomo la sua essenza e che alla sua essenza ricordano il respiro del divino, l’impronta lasciata in eredità ad Adamo.

Quel mondo non mi appartiene, non ho mai cercato ne gloria ne onori e però rispetto e tutto ciò che chiedo ed è  tutto ciò che pretendo:

In questa sua arroganza, che con un tozzo di pane crede di tenere in pugno l Io-stesso di un altro e di averne perciò assoggettato l intima essenza, la ricchezza trascura la ribellione interiore di quest altro, trascura la totale avversione per ogni catena. <span class="su-quote-cite"><a href="http://ilbarattolodelleidee.org/2016/10/19/hegel-la-fenomenologia/" target="_blank">La Fenomenologia dello Spirito</a></span>

 Le parole e i gesti feriscono come spade, e lasciano cicatrici difficili da risanare e avvolte difficili anche solo da riconoscere dentro se stessi. Le persone hanno solo bisogno di essere riconosciute e nel riconoscimento sentirsi meno sole. L’essenziale viene continuamente umiliato e offeso in questa sorta di mondo invertito nel quale tutti noi viviamo.

Ho il compito, ho il dovere, di guardare a chi sta in basso, a chi non ce l’ha fatta, a chi è rimasto ferito, a chi ha rinunciato o anche solo smesso di credere. Ho il dovere di servire l’ultimo perché io stesso non restituisca ad altri il torto per prima subito. C’è troppo silenzio in questo mondo riempito di inutili parole, e troppa solitudine che si accumula nei cuori delle persone. Devo dare voce a quella solitudine e unirla alla mia, perché sia meno sola. Devo. Questo è il mio compito, questo credevo, e nonostante tutto continuo a credere, significhi insegnare. Niente e nessuno mi sottrarrà da questa verità, perché l’ho vista col cuore e la inseguo con la mente. Mi è costata difenderla, e mi costa ancora perché la vedo sempre e continuamente oltraggiata, ma non posso sopportare e mai sopporterò chi usa il suo potere per darsi un’importanza che non ha e che non merita, chi si arrampica sul più debole per farsi strada, chi cerca nell’altro sempre e solo se stesso. La serietà è un dovere, ma prendersi troppo sul serio è il primo modo per venire meno a questo dovere.

“La fede è la garanzia di cose sperate, prova delle realtà che non si vedono” San Paolo

Non credo alle grandi rivoluzioni. Credo alle piccole cose. Ognuno di noi ha il dovere storico e morale di consegnare alle generazioni future quel messaggio universale che da sempre ci passiamo. Chi per sua sfortuna ha affinato la vista ed è in grado di vedere non può voltare indietro lo sguardo. Può solo, suo malgrado, “pensare l’inessenziale”, fissarlo nella memoria di un’epoca, con la speranza che la generazione futura ridia vigore a quella fammela.

Mi guardo in giro ed è sempre più raro, ma ci sono luoghi dove ancora esiste la genuinità, la carità e l’amore; luoghi che vanno difesi dalla scelleratezza dei materialisti di tutte le età.

Guardando lei però mi consolo, quel posto non è proprio da buttare e qualcuno che semplicemente fa il proprio dovere senza per questo sentirsi un eroe o “l’uomo dei due mondi” ancora c’è. C’è il bellissimo film di Lina WertmullerIo speriamo che me la cavo”, che conclude con delle parole che le ripeto volentieri: “Perché la scuola fa schifo, ma lei no!”. Ogni volta che mi scoraggio cerco, nella mia mente, tutti gli esempi di quelle persone che vanno “in direzione ostinata e contraria”, non è molto lungo l’elenco, ma come dire… anche uno solo basterebbe a “salvare il mondo”. Ecco che allora anche a lei devo un “Grazie”, che non ha parole.

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